Emerson Fittipaldi è il primo pilota brasiliano Campione del Mondo. Vince due titoli, nel 1972 e nel 1974, sufficienti a farlo diventare simbolo tra i simboli del suo amato Paese.
“Amo il Brasile e la sua gente. Non perché è la mia terra, ma perché mi piace il loro modo di fare e di affrontare la vita. Penso, ad esempio, che gli inglesi la prendono troppo sul serio. Ecco, mi piacciono i brasiliani perché sono degli estroversi: scherzano senza malignità e cattiveria, su tutto e tutti”.
Queste parole sono di Emerson Fittipaldi, il pilota di San Paolo del Brasile, con origini italiane e russo-polacche, Campione del Mondo di Formula 1 nel 1972 e 1974.
Emerson ha sempre condiviso la passione per i motori con suo fratello Wilson, di tre anni più grande di lui. Sin da bambini il loro sogno è quello di costruire auto da corsa, studiare ingegneria per progettarle. E da ragazzi, costruiscono dei kart, apprezzati, vittoriosi e richiesti, senza sostegno alcuno da parte dei genitori, decisamente contrari alla strada intrapresa dai figli che, intanto, avvolti e travolti dai loro sogni, hanno abbandonato gli studi.
Dai kart passano alle auto e, ben presto, vengono affascinati dalle monoposto. Con i guadagni della loro officina e tante, tante rinunce, Emerson riesce a mettere insieme una somma di denaro appena sufficiente per raggiungere l’Inghilterra, acquistare una monoposto usata e alimentare il suo sogno: “Mi ero reso conto che in Brasile, che ancora non aveva grosse tradizioni in campo automobilistico, era difficile “sfondare” e farsi un’esperienza”.
Sui circuiti europei può finalmente scaricare sull’asfalto la sua passione. Si mette subito in evidenza con la Formula Ford, ma il problema è la situazione economica, che non gli consente la spesa per riparazioni e ricambi. Grazie al suo talento, però, viene notato e aiutato da un preparatore inglese, che provvede alle riparazioni necessarie in cambio di un aiuto in officina. Uno scatenato e “affamato” Emerson vince tre gare di Formula Ford e nel 1969 passa in Formula 3, conquistando, con una Lotus, otto gare su dodici.
Viene notato da Frank Williams e Colin Chapman. Si accorda con quest’ultimo. “Chapman è un uomo eccezionale e sempre pieno di nuove idee”, dice, ma il rapporto tra i due, inizialmente, è piuttosto difficile. Hanno entrambi una forte personalità e, solo quando si mettono a remare nella stessa direzione, fanno rotta verso il successo.
Esordisce in Formula 1 nel ‘70, a Brands Hatch, concludendo ottavo. Alla sua quarta corsa, a Watkins Glen, approfittando dei problemi tecnici degli avversari, rimonta in seconda posizione, dietro la BRM di Rodriguez. Lo segue il ferrarista Ickx, che vede avvicinarsi. Emerson non sa che è doppiato e, per non farsi raggiungere, accelera. Raggiunge e sorpassa Rodriguez a pochi giri dal termine e taglia il traguardo da vincitore. Un mese prima, a Monza, si era trovato di fronte alla cruda realtà delle corse: il suo compagno di squadra Rindt, durante le prove, rimane vittima di un incidente. Simile a quello occorso poco prima a Fittipaldi, che, chissà per quale disegno del destino, si era concluso senza conseguenze.
Nel 1970 la Nera Signora appare improvvisamente, e ancora con una certa frequenza, sui circuiti del Mondiale. Va a scegliersi ogni volta il pilota che vuole, senza fare distinzioni tra il Campione e l’esordiente, tra i colori delle monoposto, tra le prove e la corsa. Ogni concorrente ne è consapevole, ma l’istinto della passione prevale sulla ragione. Anche se ogni volta che un tuo collega perisce ti senti smarrito e ritrovarsi non è semplice.
I tifosi di Emerson lo chiamano simpaticamente “Il Rato”, a causa dell’aspetto che gli danno i suoi incisivi. Tra i piloti del Circus lega con Jackie Stewart, di cui ascolta i consigli: “Stewart è un vero amico. Durante una cena mi ha rivelato molte cose riguardanti la nostra attività: i rapporti con gli sponsor, con i tifosi, come condurre una trattativa pubblicitaria”.
Dopo un ‘71 senza vittorie e parecchi problemi tecnici, finalmente la Lotus gli mette a disposizione una versione molto competitiva della sua monoposto. Infatti, la Lotus nera e oro, come i colori del suo sponsor, nelle mani di Fittipaldi diventa quasi imbattibile, assurge a icona della Formula 1. A Monza, Emerson conquista la sua quinta vittoria stagionale e si corona del titolo iridato con due gare d’anticipo.
Il Brasile festeggia il suo Campione, lo accoglie in trionfo. Emerson, ora è “O Rey”, il pilota da battere. Seguendo le orme di Stewart, impara a vendere la sua immagine. Inizia a stipulare contratti pubblicitari un po’ con tutti.
Nel ‘73 conclude al secondo posto un Mondiale vinto da Stewart, che si ritirerà a fine stagione. Arriva la crisi petrolifera, e il mondo delle corse viene preso di mira. Parecchi piloti cambiano squadra, anche Fittipaldi, che va alla Texaco-Marlboro, un nuovo team con monoposto costruite dalla McLaren.
Nel 1974, sulla biancorossa vettura “Benzina-Sigarette”, Emerson infiamma il Mondiale e manda in fumo le speranze degli avversari. Batte Clay Regazzoni e la sua Ferrari all’ultima corsa, a Watkins Glen, dove i due partivano a pari punti. Gli basta un quarto posto, contro un Cavallino disorientato, nel week-end decisivo. Ed è nuovamente festa grande, per lui e il suo Paese. Diventa testimonial di qualsiasi oggetto: occhiali, jeans, benzina, volanti, caffè, sigarette, eccetera.
Dopo un ‘75 niente male, concluso al secondo posto, Emerson va alla poco competitiva Copersucar-Fittipaldi, squadra fondata un anno prima da suo fratello Wilson. In tanti anni, non vincerà mai più un Gran Premio. Molti si chiesero perché il Campione fece una scelta così. In pochi conoscevano il sogno che, sin da bambini, legava i due fratelli.