Nonostante un avvio di stagione disastroso, la McLaren è riuscita a raddrizzare il tiro e a correggere quella che sembrava essere una traiettoria destinata a percorrere un’unica, discente direzione. Tuttavia, nonostante le tantissime migliorie, anche la MCL60 non è stata esente da quegli stessi problemi ed errori in cui sono incappati gli altri competitor, portando a risultati non sempre all’altezza delle aspettative. Cerchiamo di capire quali sono gli scenari futuri che si prospettano dinanzi agli occhi, e alle matite, dei tecnici di Woking.
Ad inizio campionato, nessuno avrebbe probabilmente scommesso un centesimo su una potenziale rinascita competitiva della McLaren, parsa in enorme difficoltà sin dalle primissime battute. E invece, contro tutto e tutti, ci tocca riconoscere la squadra britannica quale vera e grande sorpresa di questa prima metà di stagione e, questo, almeno fino all’ultimo Gran Premio del Belgio, dove le vetture color papaya hanno segnato una prestazione bella solo a metà.
Ma dove risiede il perché di questo risultato a due facce?

La risposta, in realtà, potrebbe quasi apparire banale, mentre la sua soluzione è ben distante da poter esser definita tale. La causa di una prestazione così singolare è da ricercarsi, in maniera quasi analoga a quanto si può affermare per la diretta concorrenza, nella ormai nota teoria della “coperta corta”, ovvero di quella condizione, tanto estrema quanto spiacevole, in cui ad ogni cambiamento relativo ad uno specifico parametro tecnico della vettura corrisponde una alterazione, più o meno drastica a seconda della situazione, nel comportamento della stessa e che varia a causa dei mutati valori di carico aerodinamico, bilanciamento e via discorrendo. Nel caso della MCL60, si è scelto di far leva sulla configurazione che meglio ha reso nel corso degli appuntamenti che hanno preceduto la trasferta in Belgio, pertanto puntando su un assetto apparentemente sicuro e collaudato che fa leva su un alettone posteriore ad alto carico aerodinamico, in particolare se confrontato con quelli predisposti dagli altri team, e che bene ha reso nelle imprevedibili e umide condizioni che hanno caratterizzato il week-end almeno fino alla Sprint del sabato.

Tuttavia, questa posizione di apparente vantaggio si è ribaltata completamente una volta mutate le condizioni climatiche alla domenica, dove l’aria umida e carica d’acqua ha lasciato il posto all’asciutto, esponendo tutte le debolezze della MCL60 in mondovisione. Pur avendo deliberatamente puntato su una condizione da bagnato, la vettura di Woking presenta un “magazzino ricambi” non poi così fornito, in cui a mancare sono proprio le diverse configurazioni d’ala normalmente richieste nell’arco di un campionato — esageratamente — lungo come questo e ricco di layout di tracciato tra loro diversissimi. Sotto stessa ammissione del Team Principal Andrea Stella, la McLaren non dispone, infatti, di un alettone posteriore più scarico di quello attualmente montato sulla monoposto, pur anticipando l’arrivo di una nuova versione meno carica da utilizzare sia a Monza che a Las Vegas a partire proprio dalla tappa italiana, sottolinenando anche come, ad un retrotreno più scarico, sarebbe inevitabilmente corrisposta anche una riduzione in termini di efficienza aerodinamica complessiva, un aspetto, questo, ricercato quasi a livello spasmodico da parte dei vari team, pur senza produrre una gran confusione e poche gioie nella maggior parte dei casi.

Un errore sul quale sono caduti quasi tutti riguarda, infatti, proprio quest’ultimo e dibattutissimo aspetto tecnico su cui la Red Bull RB19 poggia le basi. Al fine di ricercare una maggiore efficienza che, per una vettura da corsa, corrisponde al ben noto rapporto tra spinta, in questo caso rappresentata dalla deportanza, e resistenza all’avanzamento, i team hanno provato a caricare o, soprattutto, scaricare determinati elementi a seconda della configurazione di base da cui essi partivano, dunque andando sempre a ricercare il miglior compromesso tra carico aerodinamico e drag al fine di contrastare lo strapotere della monoposto anglo-austriaca. All’atto pratico, però, tanto che si tratti di Aston Martin, Mercedes, Ferrari o, come nel nostro caso, di McLaren, nessuno è davvero riuscito a ottenere quel che voleva a causa di compromessi svantaggiosi che hanno restituito un peggioramento del comportamento in curva e del consumo degli pneumatici quali risultati primari, con entrambi i fattori direttamente dipendenti proprio dalla fluidodinamica della vettura.
Da un punto di vista complessivo, la MCL60 è forse la vettura in assoluto più simile alla dominante, veloce e, almeno per ora, perfetta RB19, a cui si accosta con facilità per via delle somiglianze estreme nella disposizione dei cinematismi e dei relativi sistemi di leva di secondo e primo genere all’avantreno e al retrotreno, dove figurano rispettivamente una architettura pull-rod e push rod proprio come nel caso della monoposto firmata dalla compagine coordinata dal sapiente Adrian Newey. Anche aerodinamicamente parlando le somiglianze tendono a sprecarsi, pur non raggiungendo, almeno al momento in cui scriviamo, il livello di raffinatezza e, soprattutto, varietà a cui ci sta abituando il veicolo anglo-austriaco, lasciando però una enorme porta aperta su quello che è il reale potenziale di un progetto che potrebbe presentare moltissime e interessanti sorprese da qui in avanti. Tuttavia, a dare l’unico e imparziale giudizio sarà sempre la pista, in quanto non è possibile automaticamente associare una buona riuscita degli aggiornamenti soltanto in base a delle sensazioni o a delle somiglianze presenti tanto in superficie quando sottopelle, pur instillando enorme curiosità negli occhi degli attenti osservatori che, siamo certi, non sarebbero dispiaciuti nel rivedere la squadra di Woking finalmente dove meriterebbe di essere.
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