Verstappen s’incorona re del “ring” della Formula 1 nella domenica dell’occasione persa, della corferma e dell’imprevedibilità.
Va bene, non fa più notizia. Ma come si fa a non evidenziare un dominio assoluto? Il “dominatore” si potrebbe chiamare, il temuto e invincibile Max Verstappen. Quell’avversario che nessuno, ma proprio nessuno, riesce a sconfiggere. Ancor più temuto di quella McLaren del 1988, che faceva davvero paura.
L’ha superata, Red Bull, quella McLaren. Quella monoposto di Senna e Prost che si è fermata solo a Monza, per un nastro intrecciato di coincidenze e, forse, di destino.
E oggi, come statistica, fa sicuramente poco rumore, perché quelli erano altri tempi, quelli di una Formula 1 più umana, più spietata, più mistica e inedita. Eppure, tra 35 anni, questo “oggi” sarà paragonato a un nuovo ciclo che subentrerà in Formula 1 chissà per mano di chi e per quanto.
Andare troppo in là, comunque, mette ansia. Restiamo alla domenica ungherese. Se non ci fosse il Dominatore, quanto sarebbe interessante, questo campionato? La McLaren è subentrata all’Aston Martin. Quello che poteva essere considerato un exploit è stato smentito con il secondo posto di Norris.
Perez, forse pizzicato dal pepe aggiunto in AlphaTauri, aggiusta un week-end partito col “botto”. Il sir delle sette bellezze diventa re del sabato e butta — anche se lontanissima, ma comunque mai dire mai — l’occasione dopo neanche una curva per una partenza disastrosa. Chiude quarto, ancora davanti al sesto Russell, ma comunque davanti a chi in questa stagione è una meteora, spaesata nello spazio definito da cordoli e rettifili.

La meteora Ferrari. Sempre sotto i riflettori, illuminata dalle luci delle polemiche e delle riflessioni, dalle parole e le buone intenzioni. Per poi… Puff. Sparire e sprofondare quando è lei a essere chiamata a dover emanare luce.
La crescita della McLaren, è la dimostrazione che cambiare in corso d’opera non è mai una missione impossibile. Sempre se lo si fa con cognizione. Perché c’è chi, ancora, l’arma con cui lottare e difendersi nelle battaglie in pista, non l’ha capita.
La Ferrari è imprevedibile, facile da interpretare quanto un articolato pensiero filosofico o matematico. Un’incognita costante, che deve fare i conti con altre undici gare. Pesanti, ad oggi, come un macigno. Perché l’Hungaroring doveva esserle amica. E invece…
Ma lasciatemi chiudere col sorriso. Non posso non fare un plauso per il primo Gran Premio che ha segnato il ritorno di Ricciardo in Formula 1. Davanti a Tsunoda, superstite dell’effetto domino innescato da Zhou, e con una AlphaTauri. Almeno lui non ha deluso le aspettative.
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