La recente trasferta sul suolo monegasco ha fornito, a causa della conformazione stretta e angusta dello storico circuito, l’irripetibile possibilità di dare un’occhiata ravvicinata alle aree del fondo delle principali vetture del campionato, inclusa la chiacchieratissima e imprendibile Red Bull RB19, nonché sulla fresca e aggiornata Mercedes W14. Consegnando, con buona pace degli addetti ai lavori, un quadro molto più chiaro sul corrente stato dell’arte in materia di effetto suolo.

Il fon­do di una vet­tura da com­pe­tizione è, da sem­pre, uno degli ele­men­ti più ricer­cati e meglio celati all’interno del com­p­lesso sis­tema tec­ni­co che ne rego­la le prestazioni. Essendo esso nat­u­ral­mente mascher­a­to a causa del­la vic­i­nan­za con l’asfalto, diviene di dif­fi­cile osser­vazione da parte del­la con­cor­ren­za che, per questo, è costret­ta a scegliere vie tra­verse pur di capire per­ché un’auto fun­ziona meglio di un’altra quan­do pos­ta in con­dizioni di gara.

Ma per­ché il fon­do è così impor­tante? Per capir­lo, fac­ciamo un pic­co­lo pas­so indietro.

Ph. Scud­e­ria Fer­rari Press Office ©

Nell’economia aero­d­i­nam­i­ca di una vet­tura, nor­mal­mente cos­ti­tui­ta da tre macro aree sud­di­vis­i­bili in alet­tone ante­ri­ore, alet­tone pos­te­ri­ore e fon­do, quest’ultimo risul­ta essere in gra­do di incidere sul ses­san­ta per­cento, o più, del cari­co totale svilup­pa­to. Per tale ragione, ancor più se si par­la di vet­ture ad effet­to suo­lo e, dunque, da fon­do a sezione forte­mente vari­abile, risul­ta nat­u­rale capire quale sia la stra­da migliore attra­ver­so cui gener­are il mag­gior quan­ti­ta­ti­vo di down­force pos­si­bile. In più, essendo il fon­do attra­ver­sato da un flu­i­do a bas­sa pres­sione, che rimane tale tan­to più la vet­tura è vic­i­na all’asfalto, si può sfruttare l’enorme ben­efi­cio derivante da un impor­tante liv­el­lo di cari­co che viene prodot­to pagan­do pochissi­mo in ter­mi­ni di resisten­za. In virtù di questo ragion­a­men­to appare, dunque, chiaro il per­ché del recente sposta­men­to degli equi­lib­ri tec­ni­ci dalle super­fi­ci esterne del­la vet­tura, comunque dotate di una loro impor­tan­za in mate­ria di log­i­ca di ges­tione dei flus­si, ver­so quelle più interne e nascoste.

Di con­seguen­za, non deve stupire se qualche tec­ni­co sia sta­to bec­ca­to, real­mente o ideal­mente, col naso all’insù inten­to a osser­vare la mirabile opera com­pi­u­ta dai tec­ni­ci di Red Bull e Mer­cedes sui grup­pi di estrazione delle loro mono­pos­to. Il “fat­tac­cio”, venu­tosi a creare a causa del soll­e­va­men­to, medi­ante gru, delle vet­ture di Lewis Hamil­ton e Ser­gio Perez, rispet­ti­va­mente inci­den­tate nel cor­so delle FP3 e delle qual­i­fiche del Gran Pre­mio di Mona­co, non ha fat­to cer­ta­mente piacere ai team prin­ci­pal delle squadre inter­es­sate, Toto Wolff in prim­is, che non han­no esi­ta­to a far ricor­so a espres­sioni alquan­to col­orite per deno­tare l’unicità del­la situ­azione. Da un pun­to di vista squisi­ta­mente tec­ni­co, quan­to avvenu­to cos­ti­tu­isce, invece, un’occasione più uni­ca che rara per osser­vare da vici­no quali sono le scelte fat­te in mate­ria di fon­do vet­tura, non sen­za che ci si sof­fer­mi su quale prin­ci­pio esse siano state operate.

Anche in questo caso abbi­amo deciso di avvaler­ci delle illus­trazioni prece­den­te­mente uti­liz­zate al fine di descri­vere le dif­feren­ze intrin­seche tra i con­cetti del­la F1-75 e quel­li del­la RB18, essendo le rispet­tive dis­cen­den­ti stret­ta­mente col­le­gate a queste ultime pur pre­sen­tan­do dif­feren­ze che, più nel caso del­la mono­pos­to anglo-aus­tri­a­ca che di quel­la ital­iana, per­me­t­tono di avere un quadro chiaro sul com­por­ta­men­to di questi intri­cati sis­te­mi flu­ido­d­i­nam­i­ci. La RB19 prende, infat­ti, quan­to già vis­to sul­la prog­en­i­trice e lo ele­va ad un ulte­ri­ore liv­el­lo di com­p­lessità ed effi­cien­za, facen­do leva sui medes­i­mi strat­a­gem­mi di micro-aero­d­i­nam­i­ca, per­lop­iù cos­ti­tu­iti da una serie di spigoli forte­mente seghet­tati e, di con­seguen­za, da una con­tin­ua alter­nan­za di rien­tranze e sporgen­ze che ser­vono a garan­tire una cor­ret­ta espan­sione dei flus­si e una sta­bil­ità degli stes­si all’aumentare delle veloc­ità, evi­tan­do l’innesco di fenomeni di pom­pag­gio che provo­cano perdite di cari­co e aumen­ti improvvisi del­la resisten­za. Il sis­tema in ques­tione, tan­to intri­ca­to quan­to effi­cacis­si­mo, con­trasta net­ta­mente con la sem­plic­ità di quel­lo uti­liz­za­to da Fer­rari già sul­la F1-75 e, verosim­il­mente, sul­la SF-23, dove una sezione cen­trale dal dis­eg­no molto lin­eare e pro­gres­si­vo sug­gerisce che il cari­co, come già abbon­dan­te­mente appu­ra­to, viene ricer­ca­to solo in parte nel fon­do, ormai divenu­to un ele­men­to palese­mente debole di una vet­tura con­cettual­mente dis­tante dai prin­cipi car­dine dell’effetto suo­lo amplificato.

Net­ta­mente dif­fer­ente da quest’ultimo è, invece, il fon­do real­iz­za­to da Mer­cedes per la W14 che, nel­la più recente inter­azione, si avvic­i­na molto a quan­to già mostra­to da Red Bull. L’ispirazione al lavoro dei rivali appare estrema­mente evi­dente, in par­ti­co­lar modo se si osser­vano sia il dis­eg­no intero del­la zona cen­trale, ad anda­men­to irre­go­lare e carat­ter­iz­za­to da tran­sizioni molto accen­tu­ate, sia il modo in cui la sezione pos­te­ri­ore del­la stes­sa viene cuci­ta attorno al dif­feren­ziale che finisce per spuntare ver­so il bas­so, alla maniera del­la RB19, in una sor­ta di porzione semi­cir­co­lare che, pur non essendo così evi­dente come sul­la vet­tura di Mil­ton Keynes, per­me­tte di capire quan­to si sia lavo­ra­to in mate­ria di dis­tribuzione del­la pressione.

Le immag­i­ni, visive e non, che sono state for­nite nel coro di quel par­ti­co­lare fine-set­ti­mana cos­ti­tu­is­cono una fotografia ben pre­cisa, soprat­tut­to a liv­el­lo tem­po­rale, del­lo sta­to dell’arte del­la cor­rente For­mu­la 1 in mate­ria di fon­do vet­tura e, dunque, di svilup­po dell’effetto suo­lo. A tal propos­i­to, res­ta impos­si­bile non evi­den­ziare quan­to dif­fer­en­ti siano sta­ti gli approc­ci scelti da cias­cu­na squadra che, anche in base ai lim­i­ti tec­ni­ci e eco­nomi­ci a dis­po­sizione, ha real­iz­za­to sis­te­mi più o meno sem­pli­ci attra­ver­so i quali gener­are un quan­ti­ta­ti­vo di cari­co diret­ta­mente pro­porzionale al val­ore desider­a­to in sede prog­et­tuale e che restano, dunque, indis­sol­u­bil­mente col­le­ga­to al con­cet­to di base del­la vet­tura. Per tale moti­vo, non deve stupire, almeno fino ad un cer­to pun­to, l’approccio sem­plicis­ti­co uti­liz­za­to dal Cav­alli­no nel­la real­iz­zazione delle delu­dente SF-23, pur las­cian­do una sfilza di domande aperte sui reali per­ché dietro la scelta, evi­den­te­mente non pro­dut­ti­va, di puntare così poco su un’area acca­d­e­mi­ca­mente nevral­gi­ca come il fon­do vet­tura.

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