Il corpo antico della Formula 1 rischia di sgretolarsi. L’innovazionismo forzato concede la percezione dell’imminente collasso di una tradizione ed a partire dal 2025 la presenza di Monza e Spa-Francorchamps nel calendario è avvolta da nubi di dubbio. Ma un futuro convinto di poter barattare con agilità i luoghi sacri della nostra memoria sportiva con appuntamenti-cartolina, tende alla frana.
Nel bel mezzo di un radicale processo di trasformazione riguardante la Formula 1 nel suo essere e nella sua immagine, si rende sempre più chiaro quanto sia necessaria un’opera di mediazione fra innovazione e tradizione.
All’interno dell’attuale scenario l’istanza di innovazione sta sicuramente trovando in Stefano Domenicali, CEO e Presidente del Formula One Group, il proprio portavoce, sostenuto dagli interessi di business di Liberty Media.
Se, infatti, nelle ultime settimane è stata la sua visione spettacolarizzante del Motorsport a destare scalpore e preoccupazione circa i destini del format di gara della Formula 1, il manager italiano sta operando su più fronti per traghettare la massima categoria automobilistica verso una più che discutibile mutazione.

Tale processo riguarda evidentemente anche una ridefinizione dei confini geografici del campionato, sempre più imbottito e aperto ad accogliere ulteriori appuntamenti-cartolina poco fertili per un arricchimento sportivo, ma molto utili in termini di marketing.
In quest’ottica le parole dell’ex team principal della Ferrari, riportate da Motorsport Week, testimoniano, ancora una volta, il pugno duro nei confronti di un patrimonio storico che tarda (colpevolmente) ad adeguarsi ad futuro unilateralmente delineato.
“Quando le piste storiche guardano solo dietro c’è qualcosa che non va bene, se invece hanno una buona base per guardare avanti con un futuro diverso è bellissimo. Per questo motivo, con i cosiddetti Gran Premi storici ci stiamo concentrando per capire qual è la loro visione del futuro. Essere arroganti e credere di avere un futuro garantito perché si corre da 100 anni non è sufficiente. Credo che in questo momento tutti lo stiano capendo, e non stiamo facendo alcun gioco, siamo molto trasparenti con loro, stiamo dicendo che se vogliono essere nel calendario devono fare le cose che riteniamo giuste per loro e anche per la Formula 1. È chiaro che negli ultimi due anni la percezione di questi luoghi storici è cambiata, perché si sono resi conto che il panorama è diverso”.

L’Autodromo italiano sorto all’alba dei ruggenti anni Venti, tempio di passione e teatro di gesta epiche, nel mese di Marzo ha lanciato un grido d’aiuto per voce del Presidente ACI Angelo Sticchi Damiani.
Passa infatti da una radicale ristrutturazione dell’impianto ed un ingente sforzo economico di difficile sostenibilità la propria permanenza nel Circus. Tutto richiesto in tempi rapidi dall’organizzatore.
Il circuito belga, tra i più amati da piloti, team e appassionati, non se la passa meglio ed anni di combutta con il F1 Group hanno fatto sì che il suo destino sarà dipendente, in buona parte, dal rientro del Gran Premio del Sud Africa:
“Non è un segreto che stiamo ancora vedendo se c’è la possibilità di andare in Africa, perché è l’unico continente che manca”, ha infatti dichiarato Domenicali.

Insomma, nel giro di due anni potremmo rischiare di vedere fuori dai giochi due focolari sacri delle corse in auto. Luoghi in grado di esporne il cuore e custodirne la fiamma, vie da cui sono passate emozioni collettive e cultura sportiva. Se il pericolo di “cannibalizzione americana” della classe regina viene scongiurato dal manager italiano, urge lo stesso interrogarsi sulla scia di macerie che questo nuovo corso oligarchico del progresso, insensibile alla memoria (ed alla differente condizione economica dei vari Stati), lascerebbe dietro sé. Trascendere i confini dell’abituale e tendere alla trasformazione non è un problema, ma farlo in fretta e furia, senza dolcezza verso chi fatica a tenere il passo, lo diventa.
“Il progresso, quello coatto, si intende, è un viaggio con più naufraghi che naviganti”, scriveva il sudamericano Eduardo Galeano, e chi non si impegna a vitalizzare l’avvenire ascoltando il passato è come un pendio senza radici: consegnato alla frana.
Speriamo qualcuno se ne accorga in tempo.
Ph. Red Bull Content Pool ©