Stefano Domenicali, presidente della Formula 1, ha recentemente tentato di raddrizzare il tiro sulla questione della riduzione delle prove libere, riuscendo forse, tuttavia, nella difficile impresa di peggiorare la sua posizione iniziale. La correzione del tiro, infatti, è stata solamente parziale, poiché sostanza e intento non mutano: spettacolizzare sempre, spettacolizzare tutto, anche a costo di relegare uno sport a consumo pornografico di una ejaculatio praecox.
Nella giornata di domenica, sulle piattaforme social di Hammer Time, avevamo commentato con accento critico le dichiarazioni rilasciate dal presidente e CEO della Formula 1 Stefano Domenicali in merito al proposito di voler “limitare al minimo” i turni di prove libere per andare incontro ad una crescente spettacolarizzione dei week-end di gara nella loro totalità.
Come novello profeta di una nuova inesorabile epoca tutta highlights e hype-show, il manager di Imola aveva sottolineato, ai microfoni di Sky Sport MotoGP Italia, come le free practices non interessino ai fan, ma solo agli ingegneri. I molteplici dubbi, la diffusa preoccupazione per il destino della Formula 1 e l’acceso dibattito che tali dichiarazioni hanno suscitato sono state le ragioni che hanno spinto lo stesso Stefano Domenicali ad un ulteriore chiarimento in merito.
“Non si tratta di sbarazzarsene, ma di rendere tutte le sessioni più coinvolgenti. È stato scritto troppo: stiamo discutendo su come far funzionare meglio i formati di sprint e discutendo a livello di commissione le idee più ampie. Non sull’abolizione, poiché sappiamo che le prove sono importanti per team e piloti, ma su idee come punti o premi per renderle più coinvolgenti”.
Punti e premi a profusione come alle giostre, stato di lotta permanente, nessuna percezione dei rischi potenziali. La correzione del tiro è solamente parziale, la sostanza non muta e l’intento neanche: spettacolizzare sempre, spettacolizzare tutto. È in quest’ottica miope, dal business come unico fine, che i vertici del Motorsport stanno tentando di rendere accattivante il proprio “prodotto” agli occhi delle “nuove generazioni”, dei “nuovi tifosi”, intraprendendo un cammino di pericoloso snaturamento e svuotamento del patrimonio sportivo. Completamente riformulabili risultano quindi essere, come scorie di un inutile passato, la ritualità e le tradizioni di una determinata realtà.

Sia chiaro, non che ogni tipo di trasformazione rappresenti in sé un morbo, ma l’orizzonte di senso e la direzione verso cui esse vengono pensate, questi si, devono e possono essere messi sotto giudizio. Ridurre le competizioni motoristiche, così come lo sport in generale, ad un fast food, ad un’accumulo di merci-spettacolo pronte per essere voracizzate con rapidità dal tifoso-consumatore, significa depredare lo sport di valori fondamentali quali l’attesa, la preparazione, lo studio, il sacrificio, che da sempre hanno trovato dimora nel cosmo delle corse. Come se la ricerca, in tutte le sue declinazioni, fosse diventata una noia, un male da estirpare.

Piuttosto, dunque, che assecondare, a ogni costo, questa deriva dell’intrattenimento a fruizione immediata, inevitabilmente orientata verso un allontanamento dai nuclei essenziali del Motorsport, ci chiediamo se ad essere necessaria non sia, invece, una profonda interrogazione sui possibili modi per illuminare questi nuclei, nella prospettiva di ri-educare le “giovani generazioni” alla cultura dello sport, ad un campo in cui a farla da padrone non siano disattenzioni perpetue e stimoli ossessivi. Riscoprire nel patrimonio culturale sportivo coordinate alternative per il vivere.

Ma poi, in conclusione, siamo davvero sicuri che una frenesia istituzionalizzata risulterebbe così eccitante? Proprio quella cultura dello sport che si sta cercando di polverizzare ha probabilmente insegnato, negli anni, che “il prodigio”, l’atto che desta meraviglia nel suo accadere e suscita seguito, monta nella cura, matura nella lentezza di un’invisibile preparazione, non si produce nell’ossessiva ricerca di show.
D’altronde, alle volte, basterebbe saper ascoltare la lingua per meglio orientarsi. Il verbo latino “spectare”, da cui spettacolo, ha il significato di guardare, ammirare ciò che attrae lo sguardo, essere rivolto verso, e sicuramente ciò che ha guidato lo sguardo di noi tifosi e appassionati — che abbiamo fatto delle corse una metafora dell’esistenza — è un lungo e passionale innamoramento, non il consumo pornografico di una ejaculatio praecox.
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