La colpa non è stata più della pista. Quella che doveva essere favorevole, e che invece ha evidenziato ancora una volta i tanti difetti di una SF-23 diventata di colpo quarta forza. E in generale, in che cosa possiamo sperare? Molto semplice: che anche Perez possa permettersi di sognare. Che ci sia qualcosa di cui parlare.
Per la Ferrari è stata una domenica difficile. Frutto di momenti difficili. Uscire come quarta forza da un fine settimana in cui si dava per scontato che la SF-23 uscisse con le ossa meno rotte rispetto al Bahrain è indubbiamente la più grande nota dolente dell’Arabia Saudita. Nota dolente che alza il polverone delle riflessioni, delle domande che urgono risposte, in cui il verbo “capire” è una costante fastidiosa di una situazione che non si riesce ad accettare.

La colpa non è stata più della pista. Quella che doveva essere favorevole e che invece ha evidenziato ancora una volta i difetti. Cosa c’è da salvare da una gara così? Il non degrado gomme? Certo, mica eravamo a Sakhir. Cosa c’è da salvare da una gara così? Niente. Nulla, o quasi. Come la performance che non c’è stata e che fa tagliare il traguardo in sesta e settima posizione, alle spalle di Mercedes.
Alle spalle di Aston Martin. Alle spalle di Red Bull.
Nemmeno le scelte prese in merito a una Safety Car sono da salvare. Nemmeno il rimbalzo decisionale sulla conquista di un podio, sono da salvare. Un po’ come le tempistiche con cui le decisioni arrivano, ma a questo siamo abituati. Cosa c’è da salvare? La scoperta Aston Martin e la riscossa di Alonso, che regalano qualcosa da dire con gli angoli della bocca tenuti all’insù.
Cosa c’è da sperare? Per rispondere a questa domanda, lasciamo da parte la Ferrari almeno per un momento. Diamole il tempo dello stop post-trasferta oceanica, come suggerito da Charles. Quello che c’è da sperare, in primis, è che non sia un mondiale Verstappen-centrico. Che anche Perez possa permettersi di sognare. Che in qualche modo ci sia una sfida come quella in Mercedes nel 2016.

Che ci sia qualcosa di cui parlare. Perché Red Bull è di un altro pianeta. E i suoi piloti corrono, sentendosi come quando ci sentiamo noi quando la notte guidiamo in un’autostrada deserta. Soli. E liberi.
Ph. Scuderia Ferrari Press Office ©️