Nonostante le premesse, la Ferrari SF-23 è parsa ben lontana dal brillare nella notte del Bahrein, mostrando un degrado anticipato e un passo gara a tratti molto distante da quello delle due RB19. Analizziamo il perché di queste problematiche attraverso un attento esame che coinvolge tanto la dinamica intera del veicolo, quanto i dati mostrati dalle telemetrie.
La prima gara di questa stagione 2023 non sembra aver consegnato un’immagine particolarmente limpida della Ferrari e della sua SF-23. Oltre a patire un ritiro per presunti problemi alla centralina, la nuova nata di Maranello si è contraddistinta più per le ragioni sbagliate che per quelle giuste, in special modo a causa di un passo ben distante dall’essere ideale e un consumo delle mescole parso ben più accelerato di quello della concorrenza. Le ragioni di tale prestazione sono, in realtà, abbastanza profonde e per quanto non si possa esprimere un giudizio circa le eventuali problematiche in materia elettronica, diversamente si può fare per tutto quel che concerne la dinamica del veicolo, la sua impostazione e i dati acquisiti al termine della corsa.
Partendo da un discorso di natura esclusivamente concettuale, la SF-23, pur essendo un’evoluzione della F1-75, non si discosta troppo dal concetto già visto sulla progenitrice. Da un punto di vista logico, la strada seguita da Red Bull è molto più semplice e diretta di quella, più ardita e complessa, scelta da Maranello, che ha dovuto, tuttavia, far ricorso ad una così diversa configurazione esterna per ovviare alla problematica direttamente posta dagli ingombri in altezza legati ai pacchetti radianti che, ricordiamo, sono disposti a sandwich all’interno delle pance. La Ferrari era e resta, insieme alla Haas, l’unica vettura dotata di airscope a sezione triangolare e questo si deve prevalentemente alla mancanza di un elemento radiante nella zona sovrastante l’unità termica, che risulta essere la più magra di tutte al fine di favorire un più pulito passaggio dell’aria verso l’alettone posteriore. E quest’ultima considerazione assumerà una più completa importanza non appena ci si addentrerà in quella che è la logica fluidodinamica e costruttiva che governa il tutto.

Non potendo far uso più esteso dei concetti base che regolano l’effetto suolo e la sua gestione, come l’effetto Coanda necessario tanto ad alimentare il fondo, quanto l’estrattore e rimuovere parte della turbolenza generata dalle ruote posteriori, le ultime nate di casa Ferrari devono andare a cercare altrove lo spazio che altri hanno ricavato nella zona inferiore della pancia e, qui, si spiega automaticamente il perché delle ampie aree siano state scavate al di sopra delle superfici anziché sotto, laddove, pur avendo visto dei miglioramenti, resta poco margine se non si vuole stravolgere il layout del sistema di raffreddamento. Se questo, da un lato, genera un potente vortice che serve a far funzionare bene l’alettone posteriore e il campo di depressione ad esso retrostante, dall’altro potrebbe essere parte attiva del fenomeno di pompaggio che si innesca alle alte velocità, probabilmente dovuto anche ad una presunta alta instabilità fluidodinamica che andrebbe a verificarsi proprio nella zona delle pance. Ma non è tutto.

Per via della sua conformazione, costituita dall’importante compromesso meccanico di base descritto in principio, la SF-23, così come la F1-75, non sembra essere particolarmente adeguata nel lavorare ad altezze significativamente ridotte, ove il fenomeno del porpoising subentra prepotentemente rovinando tutto il guadagno prestazionale che si va cercando. Il problema in questione rende, dunque, necessario alzare la vettura dal suolo quel tanto che basta per evitare l’innesco del fastidioso effetto sopracitato, aumentando anche la resistenza all’avanzamento a causa della più alta pressione del fluido che scorre lungo il fondo. Quest’ultimo dettaglio, unitamente alle problematiche velocistiche viste già a inizio 2022, indurrebbe a programmare una conseguente diminuzione dell’angolo d’attacco degli alettoni già in sede progettuale e che, in virtù dell’assetto più scarico, rende possibile il raggiungimento di velocità di punta più alte a scapito di un minor carico in curva che, proprio per via del ridotto grip aerodinamico, porta le ruote a pattinare, surriscaldarsi e, dunque, a degradarsi in anticipo. A non contribuire potrebbero esserci anche ulteriori fattori di contorno legati all’assetto, dove un contrasto meno elevato nei confronti di fenomeni come il rollio a centro curva potrebbero portare ad una disomogenea distribuzione degli stress termici e meccanici con conseguente consumo non ottimale e, pertanto, ad una area di contatto dello pneumatico di forma e dimensione non ottimale lungo i vari punti del tracciato.

La questione del degrado diventa particolarmente tangibile nel momento in cui si osservano le telemetrie, con un occhio di riguardo verso quella registrata da Charles Leclerc. All’interno del grafico realizzato, in cui il pilota monegasco viene direttamente confrontato con Max Verstappen, è possibile notare come il degrado si presenti nel corso dell’ottavo giro e in maniera quasi analoga a quanto mostrato proprio dall’olandese che, però, non sembra accusarlo in maniera così evidente e, soprattutto, repentina. Una volta effettuato il cambio gomme, che ha portato all’adozione di un nuovo treno di mescole dure, il pilota Ferrari è riuscito a registrare tempi più bassi dei precedenti, spingendosi verso prestazioni gradualmente migliori e culminate, come visibile graficamente, nel buon tempo fatto segnare nel corso del diciottesimo giro (cerchiato sulla telemetria) che resta, di fatto, il migliore del secondo stint. Dopo aver provato ad abbassare il ritmo proprio in quell’occasione, il monegasco non si dimostrerà più in grado di ottenere di meglio fino al cambio gomme a causa di un eccessivo surriscaldamento degli pneumatici che ha portato, di conseguenza, ad un precoce e sempre più graduale degrado che non ha lasciato alcuna possibilità di recupero.

Se si passa, poi, ad osservare i dati telemetrici di Carlos Sainz, fermo restando i dubbi circa la gestione del ritmo imposta dal box e che è stata, con buona probabilità, impostata su una base volutamente più alta, si possono ricavare ulteriori spunti utili a chiarire la situazione corrente in cui la SF-23 sembra versare. Il passo dello spagnolo è caratterizzato da una forte regolarità che non ha messo in luce deficit particolari, forse anche per via del tempo complessivamente più alto mantenuto in gara, senza però esser mai comparabile con quello del competitore più prossimo, ovvero Sergio Perez. A testimoniare la costanza del passo vi è anche il delta, ovvero la differenza di tempo, che intercorre tra lo spagnolo e il messicano, mantenuto costante almeno fino all’ottavo giro e dopo il quale, proprio a causa di un più rapido degrado, si può osservare una crescita nel distacco temporale tra i due piloti in questione.
Al netto di quanto esaminato finora e, soprattutto, in virtù dei dati derivanti dai grafici appena analizzati, è possibile ritenere più che plausibile la problematica relativa al degrado incontrollato che si è manifestato sulla SF-23 nel corso del passato Gran Premio del Bahrein. Al fine di risolvere tale noia, sembra rendersi opportuna una rivisitazione congiunta di aerodinamica e cinematica, entrambe strettamente correlate tra loro attraverso una dipendenza reciproca che porta a registrare variazioni in un’area nel momento in cui si effettuano interventi correttivi in un’altra. Un problema di non facile risoluzione, questo, che riporta alla mente la famosa condizione della coperta corta, ma che può essere affrontata nel momento in cui la comprensione del problema assume la completezza che solo i tanti chilometri e le lunghe analisi post-gara possono portare.
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