Nella notte del Bahrain, i colpi di scena che hanno risvegliato i più annoiati sono stati due. Uno prevedibile, l’altro meno. Uno quasi atteso, l’altro vestito da incubo.
Sembrava una notte… Tranquilla. Fin troppo, forse, per cercare di aggrapparsi a uno dei due gradini rimasti del podio. Il primo, il più alto, è saldamente associato al Campione del Mondo in carica che corre una gara tutta sua, a parte. I colpi di scena che hanno risvegliato i più annoiati sono stati due.
Uno prevedibile, l’altro meno. Uno quasi atteso, l’altro vestito da incubo. Rivedere un pilota di quasi 42 anni, con quella storia, con quella carriera, con quella forza, con quello stesso entusiasmo di quando era ragazzino, tagliare terzo il traguardo, è la conferma di ciò che i test hanno lasciato.

Una conferma un po’ fortunata, agevolata dallo zero altrui, ma comunque una conferma. E un po’ per quella forza interiore, quella grinta così fresca e pura, nessuno può non esserne felice. Poi, la nota stonata, il pranzo indigesto, l’attacco di tosse, la doppia faccia della notte: il buio. Quello che straccia il fascino di un cielo che chiude gli occhi per riposarsi. Quello che lacera, innervosisce, fa sentire persi. Fa porre domande, pretende risposte. Immediate.

Ma ciò che per la Ferrari c’è di immediato dopo i fatti del deserto è solo una parola: perché. Perché. E senza punto interrogativo. Il ritiro di Leclerc, il passo gara. Siamo a uno su 23, si dice no? Eppure, raccogliere solo un pugno di sabbia senza valore, con tutte quelle belle premesse, fa davvero troppo male.
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