Le lacrime di George Russell, il team radio liberatorio di Lewis Hamilton, i sorrisi ad illuminare i volti degli uomini di casa Mercedes alla penultima occasione disponibile: se davvero sarebbe mai arrivata, questa vittoria, nessuno poteva saperlo. Eppure la perseveranza dimostrata nel corso dell’intera stagione dalla compagine di Brackley ha finalmente fatto sì che essa potesse raccogliere i dolci frutti dell’amara attesa su un tracciato particolarmente speciale per ognuna delle parti coinvolte.
“Se avessimo saputo dove avevamo sbagliato, ci avremmo pensato cinque mesi fa. Credevamo che questa fosse la linea di sviluppo che avevamo bisogno di prendere. Abbiamo una direzione per sbloccare il potenziale che crediamo sia nella monoposto, ma al momento non abbiamo la chiave”.
23 Aprile, Imola. Al termine della prima Sprint Race in calendario per l’annata corrente, i due alfieri di casa Mercedes tagliano il traguardo in undicesima e quattordicesima posizione: il timoroso stupore degli avversari nello scoprire una W13 pronta a scendere in pista senza pance (antitesi perfetta delle curve sinuose delle monoposto partorite da Ferrari e Red Bull) sta pian piano lasciando i petti pesanti degli altri nove team in griglia sotto forma di sospiri di sollievo.

Toto Wolff si lasciava andare, come accadrà più volte nelle settimane a venire, a dichiarazioni di una trasparenza sostanziale: per chi si è insediato a colpi di astuzia sfolgorante e genio imprenditoriale al vertice di una scuderia che gli ha permesso di guardare dall’alto verso il basso la totalità della griglia quasi ininterrottamente per un decennio dover abbandonare quella posizione di privilegio deve essere stato un colpo basso, malgrado l’apparente nonchalance di stampo nordico.
204 giorni dopo quel sabato pomeriggio disastroso per le Frecce d’Argento, ci ha pensato il terzo appuntamento in programma con la Sprint Race a capovolgere le carte in tavola. Nonostante nelle ultime settimane George Russell e Lewis Hamilton avessero più volte ribadito a suon di risultati la voglia di saziare, finalmente, la fame di vittorie che aveva lasciato la Stella a digiuno così come la sua monoposto, la ferocia agonistica di Max Verstappen sembrava non volersi piegare neanche al cospetto del titolo già conquistato con quattro gare d’anticipo.

Sarà stato lo sguardo attento e premuroso di Ayrton Senna, il cui busto, colorato d’argento manco a farlo apposta, ha vegliato sullo svolgimento di un Gran Premio del Brasile, che, come ogni anno, ha regalato emozioni dal sapore unico; sarà stata quell’analogia resa quasi un sigillo tra il sette volte Campione del Mondo e il suo idolo di una vita, con il quale con fierezza ora condivide anche la cittadinanza, oltre che al talento cristallino; sarà stata la voglia di rivalsa di un ventiquattrenne, che, dopo aver visto sfumare il sogno di una vita davanti ai propri occhi due anni fa, ha riacciuffato quel successo che senza dubbio avremmo potuto trovare menzionato nella presentazione PowerPoint che gli è valsa il sedile che lo ha reso grande.

La doppietta sugellata dal duo britannico ad Interlagos non può e non deve essere fatta passare per un caso: la dannata tentazione di abbandonare a sé stessa una vettura che pareva tutto tranne che vogliosa di essere domata non ha scalfito per un singolo istante quella resilienza risultata dalla consapevolezza di chi di ritrovarsi sul tetto del mondo ne aveva fatto una mera abitudine.
Perché, come direbbe Antonio Conte, “non si va in un ristorante da 100 euro pensando di pagarne 10”. Comprendere a fondo ciò che turbava la serenità della W13 si è, fin da subito, affermata come priorità per i membri della compagine otto volte iridata: commettere gli stessi errori nello sviluppo di colei che la succederà nel mondo in costante fermento che è la Formula 1 si dimostrerebbe fatale, una ferita troppo profonda da sanare. Ora che l’orgoglio è tornato vibrante ad elettrizzare l’atmosfera intorno al box anglo-tedesco, l’ascesa di quest’ultimo spaventa gli avversari, consci della morsa asfissiante nella quale gli uomini capitanati da Toto Wolff sono in grado di intrappolare permanentemente la classe regina.
Sottovalutare la minaccia in guerra potrebbe portare dritti al contrattacco letale.
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