Nonostante le buone prestazioni in qualifica, la Ferrari F1-75 sembra soffrire di un sempre più evidente e ingestibile degrado degli pneumatici. Ma a cosa si deve un così smodato deterioramento delle mescole? Cerchiamo di capirlo insieme.
Dodici pole, quattro vittorie e diciotto podi. O, in altre parole, tante partenze al palo e poche, se non pochissime, affermazioni assolute. È questo il magro bottino che la Ferrari ha portato a casa in quella che doveva essere, almeno secondo le prime avvisaglie, una stagione all’insegna del vero, attesissimo riscatto competitivo e che si è trasformata, all’atto pratico, in una disfatta dal sapore amarissimo. Nonostante il numero di presenze al podio sembri suggerire altro, il bottino accumulato finora testimonia molto chiaramente che le cose hanno funzionato e reso molto meno di quanto stimato in origine.
In principio, il progetto della F1-75 è nato su basi solide, coraggiose e votate alla ricerca di una prestazione tanto equilibrata quanto efficace. Le ardite soluzioni aerodinamiche sperimentate sulle inedite pance, lo stadio di turbina dotato di chiocciola di dimensioni ridotte per migliorare la reattività già ai bassi giri e il muso modulare sono alcuni degli elementi che hanno fatto scuola sin da subito, convincendo tutti sul grande potenziale che la Rossa aveva appena portato in pista ad inizio anno, cogliendo importanti successi e inscenando una battaglia strepitosa contro la Red Bull e il suo pilota di punta Max Verstappen, soprattutto quando affidata nelle mani di Charles Leclerc.

Tuttavia, nel prosieguo della stagione, alcuni di quei fattori che tanto avevano contribuito ad identificare la F1-75 quale potenziale candidata al titolo sono venuti meno uno dopo l’altro. A pesare fortemente sul rendimento della vettura di Maranello nella fase centrale del campionato è stata, senz’altro, una micidiale combinazione di errori e scarsa affidabilità, con quest’ultima in grado di ridimensionare di molto le velleità competitive proprio nei momenti meno opportuni e più cruciali del calendario, come manifestato dai tanti ritiri accorsi in fase di gara. A complicare ulteriormente le cose vi è, naturalmente, il ritorno in gran spolvero della RB18 che, forte di alcuni mirati, costanti e costosi sviluppi operati in materia di assetto e comparto aerodinamico, si è dimostrata molto spesso ampiamente superiore per una Ferrari alle prese con troppi problemi accorsi contemporaneamente.
A compromettere definitivamente le prestazioni della monoposto italiana ci ha pensato, poi, la TD39, ovvero la famigerata normativa tecnica che ha posto un limite in materia di usura del pattino del fondo e, dunque, allo sfruttamento di eventuali flessioni controllate al fine di arginare il fenomeno del porpoising. Attraverso una apposita gestione di questa delicata area, la Ferrari potrebbe aver giovato di una ridotta altezza dal suolo senza correre il rischio di subire penalità di alcun tipo a causa di usure irregolari dovute ad eventuali strisciamenti di un classico fondo rigido, ovviando al problema mediante ricorso ad appositi scorrimenti nella zona del pattino che hanno consentito di evitare che ciò avvenisse durante tutto l’arco del fine-settimana. Questo provvedimento ha scombinato ampiamente i piani relativi agli assetti, facendo riemergere problemi che sembravano esser stati definitivamente accantonati e provocando un disorientamento degli ingegneri che, una volta persi i punti di riferimento precedenti, hanno faticato molto nel trovare una soluzione valida in poco tempo.

In termini molto semplici, quella palesata dalla F1-75 “post-direttiva” somiglia molto alla classica problematica della coperta corta, dove ad una modifica fatta in una determinata area corrisponde una reazione piuttosto amplificata in un’altra. Si tratta, in particolare, della grossa problematica relativa all’usura accelerata degli pneumatici, alla quale non sembrano nemmeno porre rimedio tutti gli interventi in materia di assetto fatti dai tecnici nel corso degli ultimi Gran Premi. L’aver fatto ricorso ad un assetto maggiormente carico, che viene solitamente utilizzato per “proteggere” le mescole grazie al maggior carico aerodinamico creato dalla più elevate incidenze dei profili alari, non sembra aver dato alcun beneficio durante gli ultimi appuntamenti e, in più, questo contrasta coi riscontri positivi ottenuti dal nuovo gruppo fondo-diffusore montato a Suzuka.
Ma allora, dove si trova il problema?
A quanto pare, al fine di far fronte proprio al fenomeno del saltellamento, la Ferrari si è dotata di un assetto più rigido del dovuto e questo, nonostante l’ottimo bilanciamento aerodinamico appena menzionato, non fa lavorare bene le gomme a causa di un peggior appoggio delle coperture sull’asfalto, producendo un consumo fortemente irregolare quale risultato più evidente. Realisticamente, a meno di variazioni particolari all’assetto dettati da varie circostanze, sarà lecito aspettarsi una Ferrari alle prese con queste problematiche anche nel corso degli ultimi appuntamenti del 2022, pur lasciando intendere una risoluzione della questione in vista della prossima stagione. Il tempo necessario per comprendere la natura di queste noie e, soprattutto, metabolizzarle, sembra esser ragionevolmente sufficiente e, visto lo stadio di progettazione ormai già avanzato a cui va incontro la Rossa del futuro, appare ragionevole pensare che molti sforzi siano stati già profusi al fine di evitare che questo fastidioso fenomeno di usura si ripeta ulteriormente anche nel 2023.
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