Il 6 Ottobre del 1973 ci lasciava François Cevert, la cui morte, circondata da un alone di mistero, viene considerata tra le più tragiche della storia della Formula 1. La sua vita, invece, fu indubbiamente affascinante: pilota di talento dagli occhi blu, pianista di cultura e amante straordinario. Chiedere a Brigitte Bardot.
“Guarda! Guarda! Guarda che spettacolo! Ma hai visto quanto è verde il mare?”
Era una notte d’estate, di quelle che il vento ti coglie alla sprovvista cercando di soffiare via la luna piena e le stelle tutte. Chissà per quale miracolo della natura, però, gli astri resistono al “garbino” così si chiama dalle mie parti il libeccio che spira da sud-ovest. Ma il mare ne risente, si intorbidisce, e la luce del faro che sormonta il porto lo restituisce ai nostri occhi di un verde tiepido, che spazza via il blu notturno ogni qual volta il vento spinge con violenza l’acqua sugli scogli.
Ci sediamo, abbracciati, in attesa che Eolo, Dio dei venti, plachi la sua ira e ci permetta di fumare una sigaretta in pace, senza che il garbino la aspiri per noi. Mi consolavo spostando i capelli biondi di lei, che sembravano vivere di vita propria e celavano a me quegli occhi profondi nel quale volevo affogare, come a cercare un risarcimento per quel blu del mare rapito dal vento. Adesso è autunno, la camicia va bene di giorno ma la sera fa venire la pelle d’oca. Un paio di giri di spritz non bastano a trattanere il calore corporeo, ma muovono i ricordi e la mente. Ripenso a quella sera, ai suoi occhi castani e a quella chioma bionda che muoveva imperterrita.
Sembrava Brigitte Bardot, la prima, quella de “La ragazza del peccato” e “Femmina”. Peccato solo che mancasse il blu del mare a fare da sfondo, penso. Mentre sorseggio una birra seduto sul divano, le sinapsi del mio cervello lavorano alacremente, contro ogni pronostico, ed iniziano a collegare i puntini.
Blu e Brigitte Bardot, blu e Brigitte Bardot…
Un lampo, un’immagine, nitida come una fotografia stampata in alta risoluzione, inonda la mente e si staglia vivida davanti ai miei occhi. C’è un uomo, con il casco in testa e la visiera alzata, ma il sottocasco lascia scoperti solo gli occhi, come un niqab ma senza religione, elevato a protezione di un Dio poco vanitoso ma spietato come Hermes, dio della velocità tanto subdolo e vigliacco che, secondo la mitologia greca, era sia portatore dei sogni che conduttore delle anime dei morti negli inferi.
L’uomo in questione è circondato di Blu. Blu era la macchina all’interno del quale era calato, blu era il suo casco. Blu erano, soprattutto, i suoi occhi.
Si chiamava François Cevert.
Lui, Brigitte Bardot, l’ha conosciuta davvero. Secondo alcuni giornali scandalistici dell’epoca la loro era più di una conoscenza, era un frequentazione, di quelle che spesso si vedono tra una sex symbol affermata e chi ha tutte le carte in regola per diventarlo in breve tempo. François era un ragazzo di bell’aspetto, fascinoso, intrigante, ricco e colto. Era un pilota. Nel tempo libero, girava l’Europa a bordo del suo Piper e muoveva le sue dita decise sui tasti del pianoforte, oltre a fare strage di cuori tra le donne più belle che il mondo gli ponesse dinanzi, stregandole con il suo sorriso lucente e i suoi occhi blu, dello stesso colore del mare all’alba, quando il vento va a dormire e lascia spazio al sole che accarezza il mare con la sua luce, facendone brillare ogni delicata increspatura.
Ma ogni blu è diverso dall’altro, perché il blu è un colore particolare, che sfuma in tonalità ed espressioni sempre diverse, tanto che Kandinskij diceva che “quasi senza eccezioni, il blu si riferisce al dominio dell’astrazione e dell’immaterialità”. Purtroppo François si renderà conto della verità del pensiero del pittore russo molto presto, troppo presto.
Era il 6 Ottobre del 1973 quando il Circus posa le tende sul circuito di Watkins Glen per l’ultima gara della stagione. Stewart, compagno di squadra, amico e padre sportivo di Francois Cevert, ha già vinto matematicamente il titolo, mentre il giovane francese può ancora conquistare il secondo posto portando a Ken Tyrrell quella che sarebbe una storica doppietta.
Il 6 Ottobre, dicevamo. Poco prima dell’inizio della sessione di qualifica, François sfodera il suo sorriso migliore e guardando Jo Ramirez, suo storico capo meccanico, esclama: “Oggi è il 6 Ottobre, il numero del telaio è lo 006, il motore è targato 006 e ho il numero 6. È per forza il mio giorno”.
Il blu è un colore tanto stupendo quanto traditore. Astratto e immateriale sosteneva Kandinskij, perché sono la luce e il contorno che ne definiscono l’anima. Può trasmettere qualunque emozione e mutare lo stato d’animo di chi lo osserva in men che non si dica. Lo sa bene Jackie Stewart.
Sir Jackie, infatti, approccia le Esses, il tratto di pista più complicato del circuito, ed è costretto a rallentare perché si trova circondato da un mare di detriti blu. Erano di una Tyrrell, non poteva essere altrimenti. Una volta scollinato, trova Chris Amon, per l’occasione terzo pilota della scuderia inglese, in mezzo alla pista che osserva sconsolato quel che resta di una monoposto accartocciata sul guardrail. Stewart rallenta, alza il pollice in segno di ok, quasi stupito che Chris potesse essere uscito sulle sue gambe da un incidente del genere. Amon scuote la testa, dice a gesti che quella macchina lì, contorta e aggrovigliata alle barriere come un bambino spaventato alle gambe della madre, non è la sua. Di colpo, il blu della Tyrrell cambia tonalità, diventa scuro e tetro come in quadro di Van Gogh, riflette vuoto e terrore che colmano l’anima di chi guarda attonito ciò che resta della monoposto numero 6.
Con il neozalendese c’erano Scheckter e Carlos Pace, grande amico di Cevert. Stewart scende e si lancia di corsa verso le macerie. I tre lo trattengono. Jody dirà di non aver mai visto nulla di simile.
“Sembrava il luogo di un disastro aereo”, disse Stewart descrivendo perfettamente la situazione. Spostarono la macchina con François ancora dentro, non vi era neanche la più remota possibilità che potesse essersi salvato. Uno degli enormi pneumatici posteriori quasi gli fracassò la testa e, come se non bastasse, la macchina si infilò tra i guardrail che crearono un “effetto cesoia” prima che la monoposto si accartocciasse. Il casco rimase sulla testa e dalla visiera si vedevano ancora quegli occhi ancora azzurri che, consci di aver visto tutto, si abbandonano lentamente al freddo abbraccio della morte.
Jo Ramirez saltò su un carro attrezzi e si precipitò sul luogo dell’incidente. Tempo dopo dirà: “Non ho mai visto niente di simile. Il disastro era… era terribile. C’erano parti del corpo di François sulla pista, la testa cinta dalla bandiera francese impressa sul casco sporgeva penzolante dalla macchina. Era veramente orrendo, mi sono sentito male fisicamente”.
Poco prima di partire per le qualifiche vi fu un dibattito tra Stewart e Cevert su quale marcia fosse quella giusta per affrontare le Esses. Cevert disse che avrebbe voluto provare a farla in quarta, per avere una migliore accelerazione sul successivo rettilineo. Stewart, dall’alto della sua esperienza, cercò di dissuadere l’amico, suggerendogli che la quinta era necessaria per rendere la macchina meno nervosa in accelerazione viste le sconnessioni dell’asfalto.
Qualcuno disse che il bel francese morì per aver provato ad usare la quarta, Niki Lauda diede la colpa ad un avvallamento in uscita di curva, altri sostennero che si trattò di un malore, visto che sul casco e sulla tuta vennero trovate tracce di vomito, probabilmente derivanti dall’assunzione di antinfiammatori per il dolore alla caviglia scaturito da un incidente avvenuto la gara prima con Jody Scheckter, per il quale i due vennero quasi alle mani.
Non lo sapremo mai, e forse è giusto così. Forse il destino aveva deciso che era giusto che quel ragazzo d’oro dall’aspetto celestiale se ne andasse avvolto da un alone di mistero, come il mare nelle notti d’inverno quando lo si osserva nelle spiagge più remote e deserte, dove il blu si mischia col nero del cielo in un’orizzonte colmo di turbamenti ed incertezze, e ci si chiede dove inizi l’uno e finisca l’altro, mentre le risposte svaniscono affogando nel blu tetro del mare.
Ph. Uknown ©