Altro Gran Premio, altra intervista rivedibile di Mattia Binotto, che fa eco a quella scandalosa rilasciata nel post Silverstone. Anche ieri, il team principal della Scuderia di Maranello ha sbagliato tutto, seguendo quella che sembra la linea guida di tutta la stagione: mai assumersi le colpe.
Ci risiamo. Altro Gran Premio, altro errore di strategia clamoroso e altra intervista incresciosa di Mattia Binotto. Questa volta, tuttavia, pesa l’aggravante della recidività: dopo gli episodi di Monaco e soprattutto di Silverstone, è evidente che ci sia qualcosa in più oltre al semplice problema di comunicazione, che si vada oltre, spostando il focus del problema e puntando il dito contro altro.
In quest’occasione è toccato alla povera F1-75 ad esempio, per non affrontare un semplice e costruttivo discorso di autocritica.
Ciò a cui abbiamo assistito al termine di questo week-end sono stati altri sei minuti in cui Binotto è apparso, per usare una citazione tanto cara agli appassionati di Pokémon, “così confuso da colpirsi da solo”.
Mattia, infatti, inizia subito mettendo le mani avanti, adottando un atteggiamento difensivo:
“Sento parlare di strategie, […] io non penso che sia un problema di strategia, ma di una macchina che oggi non andava per quel che doveva andare” e porta subito il paragone tra la gara di Sainz e Hamilton a supporto di queste parole.
Come a dire che, nonostante con lo spagnolo la scelta della strategia fosse stata azzeccata, la monoposto era più lenta addirittura delle Mercedes, e quindi non c’è da incolpare le strategie per un quarto e un sesto posto.
Già su questo punto, sulla correttezza della strategia di Sainz, potremmo disquisire, visto che è stato il primo a fare il pit stop, prima ancora di chi partiva con le gomme soft, pur di non dirgli di lasciar passare Leclerc perché più veloce. Ma andiamo avanti, perché adesso arriva il bello.

Subito dopo queste dichiarazioni, Binotto esagera, con quella che, secondo me, è una frase emblematica della situazione all’interno del box Ferrari:
“Le (gomme, ndr) hard? Non c’era motivo che andassero così piano”.
Dopo una simile affermazione, viene facile chiedersi che cosa abbia fatto Binotto a Budapest tra venerdì e sabato, perché è evidente che non avesse assistito alle prove libere.
Sin dal primo turno di prove libere, infatti, era evidente come le gomme dure non avessero sufficiente grip, nonostante temperature tutto sommato elevate.
Lo stesso Mario Isola, responsabile delle operazioni in pista della Pirelli, aveva sottolineato in varie interviste effettuate ieri che la mescola hard non era la più adatta, ma che avrebbe potuto essere utilizzata nel caso di temperature calde da coloro che avessero voluto tentare un solo pit stop.
Da osservatore esterno con un pacchetto di competenze base relative al funzionamento degli pneumatici slick, mi chiedo come si possa pensare che una mescola dura che non funziona con il caldo possa funzionare con 25 gradi in meno di temperatura dell’asfalto, e con della pioggerellina che bagna la pista. Se i dati delle prove non fossero bastati agli strateghi Ferrari per capire che mettere al secondo pit una gomma bianca sarebbe stato l’equivalente di un suicidio, bastava dare uno sguardo al crollo verticale subito dalle Alpine e dalle Haas una volta montate le coperture hard.
Tanto lampante è stato l’errore nel montare le gomme dure, che Christian Horner, team principal della Red Bull, ha sottolineato come in Red Bull abbiano “iniziato a credere nella vittoria quando hanno visto Leclerc montare le hard, che non erano chiaramente le gomme giuste viste le basse temperature”.
Eppure Binotto non offre cenni di assunzione di responsabilità, nemmeno quando Carlo Vanzini lo incalza sulla situazione subita da Leclerc, che da primo e più veloce in pista si è ritrovato a dover lottare in condizioni impari, spingendosi ad affermare che “dalle analisi, dopo due/tre giri di warm-up, avremmo dovuto avere sette, otto, dieci giri in cui le gialle sarebbero state più veloci, poi le dure avrebbero iniziato a rendere”.
Chi ha effettuato queste analisi, Mekies, Rueda o altri, non è dato saperlo, ma ciò che è certo è che chiunque sia stato ha delle grosse lacune sulla lettura dei dati e sulla conseguente analisi degli stessi e, forse, non è il profilo più adatto per lavorare in un team che vuole vincere il Campionato del Mondo.

Anche tutto questo scaricare la colpa sulle performance della macchina, pare davvero ingeneroso alla luce dei dati.
Se è vero che Carlos Sainz ha fatto fatica per tutta la gara, la stessa cosa non si può dire per un Leclerc che, escludendo i giri effettuati con la gomma hard, era l’unico ad avere un passo leggermente più lento di quello di Max Verstappen, ma comunque superiore a tutti gli altri.
Ciò è stato poi confermato anche dallo stesso Charles ai microfoni di Mara Sangiorgio, con il monegasco che ha sottolineato come passo e feeling erano ottimi, tanto da chiedere al team di allungare il secondo stint con le medium.
Alla luce di questa ennesima intervista, si aprono nella mia mente due scenari. La prima ipotesi, è quella partorita dal me che, sforzandosi con tutto se stesso, crede alle parole di Binotto: quindi, crede che effettivamente in Gran Bretagna la squadra avesse lasciato fuori Leclerc perché si aspettavano un degrado drastico della soft in soli nove giri e crede che in Ungheria la Ferrari abbia montato le gomme dure sulla base di visionarie analisi che portavano a pensare che la dura fosse la gomma giusta.
La seconda ipotesi è quella in cui crede il me più ottimista e razionale, ovvero che Binotto cerchi qualunque alibi a disposizione per scagionare i suoi, senza rendersi conto che, ogni tanto, fare mea culpa aiuterebbe a gestire meglio la pessima situazione in cui versano alcune aree del team.
In entrambi i casi, la risoluzione del problema spetta a chi sta in alto, al vertice della scala gerarchica, o meglio in cima alla piramide: la famiglia Elkann. Nel primo caso, licenziando in tronco tutti coloro che si sono resi responsabili di questa serie di errori, nel secondo caso, invece, la proprietà ha il compito di spingere i vari Binotto, Rueda e Mekies a fare una seria analisi della sconfitta, in cui tutti inizino ad ammettere i propri sbagli, perché questo è il primo passo per comprendere gli stessi e risolverli.
In attesa che qualcosa accada, la Ferrari ha mandato a monte la lotta per il campionato, ha perso la credibilità agli occhi dei dei suoi tifosi ed è diventata lo zimbello dei social e degli addetti ai lavori.
E per concludere in bellezza, ancora una volta, anche in Ungheria, l’unica Ferrari presentatasi sul podio è la omonima bottiglia di champagne.
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