Ogni tanto basterebbe davvero poco per uscire in maniera dignitosa da situazioni sgradevoli, operando quella che in politica viene definita “analisi della sconfitta”. Un processo che muove da un punto di partenza fondamentale: l’ammissione di colpa. Perché è più apprezzabile l’onestà del rumore, udito in mondovisione, delle unghie che tentano di aggrapparsi su uno specchio estremamente ripido.
Mentre Mattia Binotto rispondeva alle domande di Federica Masolin al termine del Gran Premio di Gran Bretagna, quel che le mie orecchie udivano era solo il fastidioso gracchiare delle unghie che scivolano lente sullo specchio, nel tentativo di riuscire in una presa impossibile per natura, che ottiene il solo risultato di graffiare la figura riflessa, danneggiandola più del previsto.
Di quei cinque minuti di intervista, non mi è piaciuto niente. Tutto ha inizio con delle smorfie, mentre la Masolin espone il punto di vista di Leclerc, quasi a volersi dare l’aria dell’infastidito, di chi quella domanda non se la merita, come se non fosse un tema di dibattito in una giornata che ha visto sì la Ferrari vincere, ma che dall’altro lato ha visto i suoi tifosi adirarsi per i punti persi dal monegasco nei confronti di un rivale come Verstappen, che in questo 2022 (come nel 2021) sbaglia poco o nulla.

Poi vanno segnalate quelle due frasi, “Ocon poteva trovare anche un posto migliore dove fermarsi” e “sicuramente oggi si poteva raccogliere di più, ma è frutto di circostanze esterne”. Partendo dal presupposto che di tratta di due mezze verità, non sono certo parole in linea con quello stile che ha sempre caratterizzato la Scuderia Ferrari. Cosa avrebbe dovuto fare Ocon? Il francese è rimasto senza potenza in uscita dalla Woodcote, nel rettilineo che immette sulla Copse. La sua unica alternativa era quella di attraversare la pista in diagonale, entrando nella traiettoria degli altri piloti ad una velocità quattro volte più bassa rispetto alla loro, il che avrebbe voluto dire rischiare un incidente pericolosissimo, come se quello al via non fosse bastato.
Inoltre, anche se Esteban avesse lasciato la vettura nella via di fuga all’esterno del rettilineo, le probabilità che la Safety Car fosse entrata lo stesso in pista erano altissime, considerando che la A522 numero 31 sarebbe stata molto vicino alla traiettoria naturale delle altre monoposto. Insomma, conveniva maledire la sfortuna, piuttosto che attribuire colpe ad Ocon.
Ma la cosa che più mi ha infastidito, è stato il secondo virgolettato. Da Binotto, infatti, non me l’aspettavo. Come si può addossare tutta la colpa del risultato alle “circostanze esterne”, quando la gara si è decisa su una scelta prettamente umana, di strategia, come richiamare ai box o meno un pilota? Un controsenso totale, uno scarica barile nei confronti di qualcosa, le famose circostanze esterne, che non hanno potere di contradditorio in quanto immateriali e aleatorie.
Peccato che sia poi lo stesso team principal della squadra di Maranello a contraddirsi da solo, spiegando i perché della scelta effettuata al muretto al momento del rientro ai box, incalzato dalla Masolin. Binotto sostiene, in primis, che non ci fosse abbastanza spazio tra i due alfieri della Rossa per permettere ad entrambi di effettuare il pit stop senza incolonnarsi nella piazzola in attesa del cambio gomme, e che per questo motivo hanno deciso di non prendere in considerazione l’idea del doppio stop. Analizzando i dati, tuttavia, emerge quanto segue: alla fine del trentottesimo giro, Leclerc aveva 3.5 secondi di vantaggio sul compagno di squadra. All’inizio del trentanovesimo giro, quello del DNF del pilota francese e della conseguente uscita della Safety Car, il vantaggio stava aumentando corposamente, complici le problematiche di Sainz relative al consumo di benzina. Al momento della comunicazione della direzione gara, il vantaggio di Leclerc era di oltre cinque secondi sul pilota spagnolo. In quel momento succede l’irreparabile: Leclerc rallenta drasticamente percorrendo la Stowe e in uscita quasi si ferma per dare al team il tempo di chiamarlo ai box. Ovviamente Carlos non fa altrettanto, e il margine si assottiglia di metro in metro.

Checché ne dica Binotto, il margine c’era. Anche non ci fosse stato, Carlos avrebbe perso una sola posizione su Hamilton, lasciando alla pista decidere chi si meritasse la vittoria, a parità di gomma. Veniamo poi all’ennesimo punto critico dell’intervista di Binotto: “Noi eravamo convinti e speravamo in un degrado maggiore delle soft negli ultimi giri”.
Credo proprio che sia questo, il peggior passaggio di tutta la sua intervista. Per provare a capire cosa ci fosse dietro la scelta di queste parole precise, il mio cervello ha partorito due ipotesi. La prima presuppone che Binotto menta sapendo di mentire, nel tentativo di giustificare una scelta errata e lasciando filtrare alla stampa e ai tifosi che dietro tale decisione ci fosse una volontà di favorire Leclerc. Se ciò fosse veramente vero, ovvero che la speranza che in nove giri la soft si fosse distrutta e Leclerc avrebbe ricominciato a guadagnare, questo virgolettato sarebbe stato inserito da Binotto all’inizio della risposta, cosa che avrebbe suonato come una quantomeno parziale assunzione di colpe, mentre posizionato alla fine sembra quasi voler cercare una sorta di salvataggio in corner.

La seconda ipotesi prevede che il pit wall Ferrari credesse veramente che le soft non sarebbero durate per i nove giri previsti e che Binotto, ne corso dell’intervista se, ne stesse quasi dimenticando, motivi per cui questa intuizione è stata citata così tardi nel corso della risposta. Guardando i dati, viene da sperare che l’ipotesi azzeccata sia la prima, ovvero che Binotto stesse mentendo sapendo di mentire, perché se così non fosse e la seconda ipotesi si rivelasse quella giusta, signori miei, dovremmo metterci le mani tra i capelli e mettere una pietra sopra il resto della stagione perché vorrebbe dire che in Ferrari non ci stanno capendo assolutamente niente.
Per giustificare queste parole, che non sono affatto leggere, sfrutterò un paio di dati la cui lettura è unidirezionale, quasi oggettiva direi. Tra i piloti schierati in griglia nella seconda partenza del Gran Premio, a partire con il compound di gomme più morbido, ovvero la C3 identificata dalla banda rossa, sono stati Vettel, Tsunoda, Gasly, Latifi e Ocon.

Eccezion fatta per Seb, indirizzato dal muretto verso una strategia anomala con uno stop dopo sole sei tornate, gli altri piloti hanno percorso con la Soft rispettivamente, 17, 15, 20 e 21 giri. Se questo non bastasse a determinare che la gomma più morbida portata da Pirelli potesse garantire almeno dieci giri di autonomia alle massime prestazioni a serbatoio scarico di carburante, ho preso come metro di analisi i tempi di Esteban Ocon. Il francese ha segnato nel primo stint il suo miglior giro in 1:34.779 proprio nell’ultimo giro primo della sosta ai box, ovvero con una gomma che aveva sulle spalle ben ventuno giri di battaglie fatte a centro gruppo e con il pieno di carburante.
Inoltre, ammesso che il pilota francese avesse fatto un giro perfetto spingendo al massimo prima di rientrare, sono andato a vedere quale fosse stato il peggior giro da lui segnato con quel compound escludendo i primi quattro giri dalla ripartenza per ovvie ragioni, dato che Ocon è ripartito dal fondo dello schieramento e avendo dovuto effettuare nei primi quattro giri ben sette sorpassi, così da avere un dato più affidabile.
Bene, il peggior giro di Ocon è stato 1:35.807 al nono passaggio. Quindi, il delta tra il giro migliore e il peggiore è di circa un secondo netto. Tra il quinto giro di gara e il ventunesimo, Ocon ha girato con un tempo medio di 1:35.281, ovvero mezzo secondo peggio del suo best lap.
Questo caso dimostra inconfutabilmente, a mio parere, come un crollo della gomma soft in soli nove giri sarebbe stato semplicemente impossibile. Quindi, se veramente in Ferrari il responsabile delle strategie Iñaki Rueda e chi con lui decide in gara, ovvero Binotto e Mekies, hanno preso in considerazione questa ipotesi, beh signori miei possiamo chiudere baracca e burattini e iniziare a pensare al 2023, magari con qualche testa diversa nei ruoli di vertice della Scuderia più titolata della storia della Formula 1.
Ph. Scuderia Ferrari Press Office ©