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Nonostante la vittoria ottenuta da Carlos Sainz, quello che la Ferrari porta a casa sa più di tonfo che di trionfo. La mancanza di una chiara strategia di gara, nonché di una visione complessiva relativa tanto ai piloti quanto alla competizione stessa, espongono gravi carenze che, sullo scenario competitivo della Formula 1, possono costare molto caro in termini di punti. E le ripercussioni, tanto a breve quanto a lungo termine, potrebbero non essere di poco conto.

Inutile fare trop­pi giri di parole: il modo in cui la Fer­rari esce fuori dal Gran Pre­mio di Gran Bre­tagna las­cia in boc­ca un sapore che somiglia più all’amaro ret­ro­gus­to del­la scon­fit­ta che a quel­lo, dolce e ris­tora­tore, del­la vit­to­ria. Alcu­ni osser­va­tori non mancher­an­no di chieder­si il per­ché, dato che a vin­cere è sta­ta pur sem­pre una Fer­rari, ma ogni dub­bio può essere rap­i­da­mente fuga­to se si anal­iz­zano tutte le sfu­ma­ture, spes­so grigie, di un quadro a tinte fos­che chiam­a­to muret­to box.

Una cosa deve, però, ess­er ben chiara sin dal prin­ci­pio, ovvero che la vit­to­ria di Car­los Sainz non è asso­lu­ta­mente in dis­cus­sione. Il pilota, si sa, sale in macchi­na sem­pre con lo scopo di vin­cere e, qualo­ra si dovesse pre­sentare l’occasione, diven­ta imper­a­ti­vo far di tut­to per accalap­pi­are tale oppor­tu­nità; d’altronde, portare a casa il tro­feo di un Gran Pre­mio è un episo­dio sta­tis­ti­ca­mente raro che spet­ta a pochi priv­i­le­giati, se si guar­da nei lib­ri di sto­ria e, di questo, non si può farne cer­ta­mente una col­pa. Tut­tavia, nonos­tante i più arguti e nav­i­gati piloti siano sta­ti spes­so in gra­do di mostrare una visione di gara ben pre­cisa, res­ta alquan­to dif­fi­cile man­tenere quel­la “sit­u­a­tion­al aware­ness”, ovvero con­sapev­olez­za situ­azionale, in gra­do di fornire tut­ti gli ele­men­ti sul quadro spaziale e tem­po­rale in cui si è immer­si e, per questo, diven­ta obbli­ga­to­rio affi­dar­si a chi si tro­va nel­la famiger­a­ta pit-lane.

E quin­di, dove si tro­va esat­ta­mente il problema?

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La rispos­ta, in realtà, è molto sem­plice e sec­ca e con­s­ta nel poco invidi­a­bile sta­tus di non-squadra pale­sato dal­la Scud­e­ria Fer­rari nel cor­so dell’appuntamento bri­tan­ni­co. Quest’ultima, infat­ti, non si è pre­sen­ta­ta con la com­pat­tez­za, la deter­mi­nazione e la solid­ità qua­si can­ni­balesca che dovrebbe nor­mal­mente possedere l’organizzazione di un repar­to corse, almeno nel suo ramo più prati­co stret­ta­mente lega­to alla pista. Sarebbe, infat­ti, gravis­si­mo ves­sare il com­par­to tec­ni­co del­la casa di Maranel­lo, dimostratasi all’altezza del pro­prio nome e capace di sfornare una mono­pos­to tan­to effi­cace quan­to orig­i­nale come la F1-75. Nat­u­ral­mente, non si trat­ta di un’auto per­fet­ta in tut­to, ma, come qual­si­asi altra crea­tu­ra nata per uno scopo tan­to com­pli­ca­to e sin­go­lare, è nor­malis­si­mo che sia così. Le vari­abili in gio­co sono tante e tali che bas­ta anche un’inezia per scom­bina­re i piani pre­dis­posti da quel manipo­lo di ingeg­neri che, ci teni­amo a ricor­dar­lo, lavo­ra­no giorno e notte, lon­tano dalle famiglie e dal­la vita mon­dana solo per dar for­ma e con­tenu­to a quel che sog­nano dal­la più ten­era età e che meri­ta, per questo, un doveroso e costante rispet­to. Per­ché “gio­care con le auto­mo­bili”, come affer­mano alcu­ni in maniera spes­so deriso­ria, può essere cer­ta­mente bel­lo, ma anche maledet­ta­mente dif­fi­cile e, spes­so, avaro di soddisfazioni.

Ciò che, invece, stride in maniera asso­lu­ta­mente evi­dente in questo sce­nario è il lato orga­niz­za­ti­vo e deci­sion­ale di ques­ta squadra. Il Gran Pre­mio di Gran Bre­tagna ha mes­so a nudo tutte le estreme caren­ze di quel ramo che gov­er­na la scud­e­ria in mate­ria di strate­gie, deci­sioni con­trat­tuali e, di con­seguen­za, piani­fi­cazione e fame com­pet­i­ti­va, incluse le deci­sioni che dovreb­bero ess­er prese a monte non solo a liv­el­lo ger­ar­chico, ma anche tem­po­rale. È sta­to dimostra­to, con estrema crudez­za e impi­etoso real­is­mo, quan­to fal­la­to sia il diret­ti­vo che con­trol­la e orga­niz­za le oper­azioni in For­mu­la 1, che pare essere, per questo, dota­to di una forte inca­pac­ità nell’approcciarsi ai prob­le­mi prati­ci di prim’ordine. Se deci­sioni come quelle rel­a­tive al priv­i­le­gia­re un pilota piut­tosto di un altro ad un pre­ciso pun­to del cam­pi­ona­to e nel cor­so di una gara, con con­seguente situ­azione in clas­si­fi­ca in parte defini­ta, ven­gono evi­tate o riman­date, si rischia solo di accrescere una prob­lem­at­i­ca des­ti­na­ta a diventare via via più grande e, spes­so, matrice di deci­sioni sem­pre più con­fuse e poco chiare, ben lon­tane da un impostazione razionale e razion­al­iz­za­ta attra­ver­so la quale cap­i­tal­iz­zare al mas­si­mo nei con­fron­ti dei pro­pri rivali.

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Fer­mo restando che la For­mu­la 1, così come il motor­sport in gen­erale, si dif­feren­zia dal cal­cio per la mag­giore sta­bil­ità di cui neces­si­tano i mem­bri dei team per diventare pro­dut­tivi, res­ta impos­si­bile non por­si dei dilem­mi su quel­lo che è l’attuale organ­i­co in forza al muret­to Fer­rari. Pur abbuo­nan­do il dev­as­tante bien­nio 2020–2021, forse anche figlio del tan­to famiger­a­to e chi­ac­chier­a­to scan­da­lo sul­la Pow­er Unit Fer­rari del 2019, di cui si par­la tan­to ma sen­za mai riv­e­lar davvero nul­la di defin­i­ti­vo, non si può far comunque a meno di riflet­tere su quan­ti e quali siano sta­ti gli errori strate­gi­ci com­piu­ti nel cor­so delle varie sta­gioni com­pet­i­tive. E qui, il dis­cor­so del­la scarsa espe­rien­za con un pac­chet­to com­pet­i­ti­vo potrebbe entrare in gio­co, sep­pur solo in parte e se non fos­se per la ciclic­ità con la quale alcu­ni errori sono sta­ti commes­si anche nel­la cor­rente sta­gione 2022, dove Mona­co e Sil­ver­stone fig­u­ra­no pre­po­ten­te­mente all’interno del­la bacheca degli obbro­bri di cui l’incolpevole Charles Leclerc sta diven­tan­do un pas­si­vo e, suo mal­gra­do, accan­i­to collezionista.

È anche bene sot­to­lin­eare come non si trat­ti di una ques­tione di titoli. Spes­so si dice che Mat­tia Binot­to sia un otti­mo tec­ni­co e un meno bril­lante diri­gente e la sto­ria, questo, lo tes­ti­mo­nia a chiare let­tere, ma bisogna ricor­dare che anche Ross Brawn, una delle gran­di men­ti dietro al dream team Fer­rari dei pri­mi anni 2000, è egli stes­so un ingeg­nere. E questo, forse, sot­to­lin­ea ancor più quan­to di far­ragi­noso pos­sa esser­ci nel mod­er­no asset­to diri­gen­ziale di tut­to il team e al quale fa capo un pres­i­dente, John Elkann, che potrebbe ess­er rias­sun­to parafrasan­do la famosa frase in cui il Principe del­la Risa­ta descrive la cele­bre neb­bia di Milano: c’è, ma non si vede.

Quel­lo che si sta soll­e­van­do in questi giorni è un vero e pro­prio polverone il cui dirada­men­to risul­ta davvero dif­fi­cile da prevedere, per­al­tro offus­can­do quel­la che, inci­den­ti al via a parte, è sta­ta una gara gen­uina­mente diver­tente. Una cosa, per cer­to, res­ta fer­ma­mente impres­sa nel­la mente di tut­ti gli osser­va­tori e cioè che i mon­di­ali, così, non si vin­cono. In una con­dizione in cui i pro­pri avver­sari, in questo caso la Red Bull, fat­i­cano per una serie di ragioni, guadagnare quan­ti più pun­ti pos­si­bili res­ta un obbli­go fon­da­men­tale, soprat­tut­to quan­do, nel cor­so di altri appun­ta­men­ti e per svariati motivi, ne sono sta­ti già per­si in gran quan­tità. Se vuole man­tenere viva la pos­si­bil­ità di vin­cere tan­to il tito­lo Costrut­tori, quan­to quel­lo Piloti, dopo un digiuno che ammon­ta ormai a quat­tordi­ci e quindi­ci anni rispet­ti­va­mente, la Fer­rari deve asso­lu­ta­mente cam­biare pas­so e, per far­lo, deve iniziare a pen­sare con quel­la stes­sa cat­tive­ria ago­nis­ti­ca con la quale gli avver­sari riescono sem­pre ad ottenere il mas­si­mo dai pro­pri mezzi, anche nelle situ­azioni più dif­fi­cili. Se non altro, per ten­er­si stret­ti quei preziosi uomi­ni che, a lun­go andare, potreb­bero stu­far­si di aver accu­mu­la­to solo occa­sioni sprecate.

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