La lunga carriera di Fernando Alonso ha scandito le vite di molti appassionati di Formula 1. Il nuovo corso di Liberty Media ha attirato, però, tanti nuovi giovani fan, che poco conoscono delle imprese compiute dallo spagnolo. I due primi titoli iridati, in particolare, sono quelli che mi hanno segnato maggiormente. Ma oggi, finalmente, è giunta l’ora per me di riporre l’ascia di guerra e rendere onore ad uno dei più grandi talenti di sempre nella storia del Motorsport.
Il rapporto tra il sottoscritto e la figura di Fernando Alonso è sempre stato piuttosto travagliato. Quando quello spagnolo ventiquattrenne salì sul tetto del mondo, il 25 Settembre del 2005, ruppe involontariamente qualcosa dentro di me, piccolo bambino di neanche otto anni e amante di quella macchinina rossa che sfrecciava in tv la domenica. Ricordo ancora, seppur vagamente, quell’emozione orribile, fastidiosa, che con soli otto anni di esperienze di vita alle spalle sembra insormontabile. Quello spagnolo, quel “maledetto” spagnolo sopra quell’altra macchina, quella gialla e celeste, aveva appena detronizzato colui che ai miei occhi era imbattibile: Michael Schumacher. Per la prima volta da quando avevo coscienza di trovarmi sul pianeta Terra, il mio angelo tedesco e la Ferrari avevano perso.
Passa un anno: copione diverso, ma stesso finale. Io, dall’alto dei miei nove anni, non ne potevo già più. E poi le conferme: Michael si ritira. Non si vestirà più di rosso. Era decisamente troppo da sopportare e, a pagarne le spese nella mia testa, fu proprio quel “dannato” spagnolo (d’altronde, che altre parolacce avrei mai potuto dire a nove anni?).

Da quel momento in poi, dunque, vidi con astio quel Fernando, principale artefice delle delusioni sportive della mia infanzia. Con il passare degli anni, Alonso rimase quel grande pilota che, ai tempi, non ero ovviamente in grado di apprezzare, accecato da una passione tale che per me non si trattatava di gare di Formula 1, ma di gare “della Ferrari”. A quello spagnolo, però, cominciarono ad andare tutte storte. Il passaggio in McLaren da Campione del Mondo in carica e l’esordio di quel giovinotto britannico, tale Lewis Hamilton, non lo aiutarono; e iniziarono per lui le sconfitte, le delusioni e le scelte di carriera errate (sì, col senno di poi è tutto molto semplice).
Devo essere assolutamente onesto: non ricordo come presi il suo ingaggio alla Ferrari, nel 2010. So solo che oggi, mentre scrivo, il 23 Giugno 2022, mi sento come se mi mancasse una grande gioia nel sorgere dell’adolescenza. Ogni riferimento a Vitalij Petrov non è puramente casuale. Nel caso in cui foste ferraristi e vi andasse di infliggervi del dolore da soli, potete sempre cercare su Google “F1 Abu Dhabi 2010”: la prima foto è di una Ferrari alle spalle di una Renault. Di nuovo una Renault. Il me tredicenne, che già non ne poteva più quattro anni prima, vi lascio immaginare come si sentisse.
Il nuovo bersaglio era designato: Sebastian Vettel. E siccome la storia è un ciclo che si ripete continuamente, quel “dannato” (gli insulti a tredici anni si erano evoluti, ma restiamo sul politically correct) tedesco ha ben pensato di farmi trascorrere un’adolescenza da incubo. Di questo, magari, ne parleremo un’altra volta. Troppe sofferenze tutte in un solo pezzo non fanno bene alla salute di nessuno dei presenti.
Chiudiamo, quindi, la scatola dei ricordi, terrificanti, della mia tenera giovinezza alonsiana e torniamo al presente. Monoposto ad effetto suolo, Hamilton sette volte Campione del Mondo come il mio idolo, un altro giovanotto all’apparenza non troppo simpatico (si scherza, dai) che ha appena vinto il suo primo titolo iridato, Netflix che gira una serie tv sul Circus, una Ferrari tornata competitiva, ma che fa patire le pene dell’inferno ai propri tifosi (la storia è un ciclo che… sì, va bene, lo avete capito ormai). È un bel salto, nevvero? È cambiato tutto e non è cambiato niente. E Alonso, ebbene sì, è ancora lì in pista.

No, non ha bevuto alcun elisir di giovinezza, né ha cambiato nome per apparire come qualche nuovo pilota in rampa di lancio, appetibile per la nuova generazione di tifosi della Formula 1. I social media, i reels di Instagram, TikTok… esatto, non parliamo proprio di un uomo facile da “vendere” al nuovo pubblico, così assetato di dirette su Twitch e abituato alle nuove leve con i vari Norris, Leclerc, Russell e compagnia. E proprio per questo, forse, Fernando non viene compreso appieno.
La sfortuna di ritrovarsi in un team che non può lottare per il titolo, per l’ennesima volta, rischia di metterne in ombra il talento eterno. Il suo ritorno nel Circus è stato preceduto dalla vittoria di Le Mans (2018 e 2019) e Daytona (2019). Per noi è stato come ammirare Chuck Norris recitare nuovamente ne “I Mercenari 2”, riunendosi ad Arnold Schwarznegger (sì, quest’ultimo metaforicamente sarebbe Lewis Hamilton, perdonatemi se può suonare strano). Per i nuovi fan, invece, immagino sia stato come vedere per la prima volta quel bisnonno di cui tutti parlano perché fece la guerra, ma che è difficile comprendere quanto sia stato eroico perché “boh, è successo così tanto tempo fa”.

La nostra fortuna, però, è che delle imprese di quel giovane “dannato” spagnolo ci sono centinaia di video. Se sei giovane e non hai mai visto cosa ha combinato in pista Fernando, non avere paura di fare una ricerca rapida su YouTube. Dopo capirai e mi ringrazierai. La seconda posizione ottenuta in qualifica a Montreal, a bordo di una Alpine decisamente non all’altezza di una prima fila in griglia nel 2022, è un lampo di ciò che Alonso era, è, e sempre sarà.
Questo papiro, nel suo piccolo, vorrebbe comunicare proprio questo ai “novizi” di questo mondo: Fernando Alonso è un fenomeno e un talento che ha raccolto, in Formula 1, molto meno di quanto si meritasse, nonostante possa esporre due titoli iridati in bacheca. E oggi, il me ventiquattrenne, lo può ammettere senza alcun rancore.
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