Come recentemente promessovi, vi offriamo oggi, grazie al nostro avvocato, Calogero Randazzo, una approfondita panoramica legale su quello che potrebbe essere il possibile scenario del contenzioso tra Uralkali ed Haas, la quale potrebbe davvero riuscire a mantenere le pretese di ritenzione di quanto già ricevuto dal colosso minerario russo nel corso della presente stagione 2022, vista sia l’espressa operatività della clausola rescissoria di discredito, che la possibile invocazione della risoluzione contrattuale causata da forza maggiore ed impossibilità sopravvenuta, oltre che avanzare, in aggiunta, delle richieste risarcitorie per danni, subiti e subendi, all’immagine ed alla reputazione pubblica della scuderia stessa.
Come tristemente noto, a seguito dell’invasione russa in Ucraina, avvenuta il 24 Febbraio scorso, il mondo intero si ritrova sconvolto da una crisi, anzitutto umanitaria, ma al contempo geopolitica, le cui implicazioni, correlate direttamente o indirettamente all’attuale situazione bellica ai confini d’Europa, si ripercuotono in tutti i livelli della vita sociale del mondo globalizzato, producendo un rilevante impatto anche in campo economico e finanziario.
Anche il mondo dello sport, purtroppo, non è rimasto esente dal predetto coinvolgimento: infatti, a causa del sistema di sanzioni e del conseguente boicottaggio, adottato nei confronti delle personalità e dei soggetti economici legati al potere russo dai paesi aderenti all’Unione Europea ed alla NATO, la Haas, team statunitense di Formula 1, allineandosi alle posizioni assunte anche dai protagonisti del mondo dello sport nei confronti dei soggetti di nazionalità russa coinvolti con il potere governativo del Cremlino, ha deciso di interrompere, con effetto immediato, il contratto di sponsorizzazione con la società chimico-mineraria russa Uralkali, a causa degli stretti legami vantati del proprietario della società Dmitry Mazepin, con il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin.
Cionondimeno, la scuderia americana ha deciso di concludere anche il rapporto di lavoro con il pilota Nikita Mazepin, figlio dell’appena citato Dmitry, disponendo il suo licenziamento in tronco e rifiutando di pagare al driver russo anche il suo stipendio per il tempo lavorato in questa stagione e prima dell’annullamento del contratto, decidendo di chiamare in tutta fretta al suo posto, a bordo della VF-22, il pilota danese Kevin Magnussen.
In conseguenza di quanto accaduto, i vertici di Uralkali hanno diramato un comunicato ufficiale attraverso il quale hanno chiesto formalmente ad Haas la restituzione delle somme già versate per la stagione 2022, adducendo la responsabilità per inadempimento del team americano per essere venuta meno ad i suoi obblighi contrattuali nei confronti del colosso minerario russo.
Tuttavia, come già comunicatovi poche ore addietro, a fronte di tali dichiarazioni, la citata scuderia statunitense, per voce del suo team principal Gunther Steiner, ha respinto categoricamente le pretese avanzate dalla società russa, manifestando invece la volontà di trattenere i 12 milioni di euro già ricevuti nel corso del 2022, richiedendo altresì alla Uralkali un ulteriore risarcimento per la somma di 8 milioni di euro, a titolo di perdita di profitti per danni arrecati all’immagine pubblica della scuderia.
Tutto ciò premesso — visto che la questione sembra destinata ad essere oggetto di un acceso contenzioso legale da discutere nelle aule dei tribunali, rilevando come la posizione assunta dalla Haas nei confronti dell’ex title sponsor Uralkali sia foriera di notevoli riflessioni dal punto di vista prettamente giuridico — si ritiene utile proporre di seguito uno specifico approfondimento tematico, mediante la redazione di un seppur breve parere legale sulla vicenda.
Si precisa sin d’ora che non è intenzione di chi scrive fornire giustificazioni o argomenti legali a difesa di una parte o di un’altra, dato che in questa sede si tenterà, piuttosto, di valutare la situazione attuale tra le parti in disputa, formulando un breve parere pro-veritate, adottando a tal scopo un approccio quanto più neutro possibile per descrivere i fatti costitutivi della controversia legale, in ossequio al puro intento di analisi giuridica.
Pur non avendo contezza dell’esatto contenuto dei contratti sottoscritti tra Haas ed Uralkali, cercando di imbastire, ciononostante, un’analisi legale al fine di scorgere le implicazioni di rilievo giuridico del conflitto russo-ucraino rispetto alle obbligazioni contrattuali ed ai potenziali inadempimenti delle parti nel rapporto che le legava, appare utile sottolineare, anzitutto, i punti salienti emersi dalla lettura del comunicato diramato in queste ore dalla scuderia americana agli organi di stampa.
Orbene, i responsabili della scuderia statunitense hanno citato, primariamente, l’operatività di una specifica clausola contrattuale, la cd. “clausola di discredito”, nella quale, stando a quanto dichiarato, era specificato come lo sponsor russo non avrebbe mai dovuto “ferire, mettere in discussione, ridicolizzare o diminuire la reputazione pubblica e la buona immagine della Haas”, pena la immediata risoluzione unilaterale del contratto.
Il team americano ha, dunque, sostanzialmente difeso la legittimità dell’interruzione del contratto e le motivazioni per le quali la somma versata da Uralkali non debba essere rimborsata dal team Haas, sottolineando come i legami di Mazepin senior con il Cremlino e le sanzioni impostegli dall’Unione Europea avrebbero fatto scattare la predetta “clausola risolutiva espressa”, la quale invaliderebbe l’intero contratto di sponsorizzazione tra le parti, proprio a causa del danno all’immagine pubblica della scuderia, facendo salve, tuttavia, le somme incamerate a titolo di acconto nel corso dell’inizio della stagione 2022.
A supporto di quanto assunto, il comunicato di Haas ha aggiunto che: “Secondo l’unanimità degli studiosi di diritto e secondo la giurisprudenza, la parte che termina l’accordo per violazione commessa da controparte non ha l’obbligo di restituire a quest’ultima ciò che ha già ricevuto in base all’accordo. La pretesa della Uralkali di ottenere il rimborso dell’acconto di 12 milioni di euro è, quindi, infondata e va respinta”.
La stessa scuderia, infine, oltre ad annunciare la volontà di ritenere le somme già ricevute, ha avanzato un’ulteriore pretesa risarcitoria, pari ad 8 milioni di euro, richiesti sia per la perdita di profitti che il team avrebbe realizzato da contratto se l’accordo con Uralkali fosse proseguito per l’intera stagione 2022, che a causa del danno all’immagine pubblica subita dal team americano in ragione della cessata sponsorizzazione per la sopravvenuta vicenda bellica.
Ciò posto, approfondendo il nostro caso di specie cercando di argomentare guardando oltre il mero asserito richiamo alla sopra citata clausola risolutiva di discredito, appare doveroso domandarsi circa la legittimità dei rimedi giuridici che possono essere adottati da quelle società le quali, così come la Haas, si ritrovino a dover gestire le limitazioni disposte a vario titolo nei confronti dei soggetti di nazionalità russa, come la Uralkali, tenendo conto degli importanti effetti che si ripercuotono inevitabilmente a cascata anche sui relativi contratti commerciali.
Per quanto la situazione sia in attuale evoluzione, in mancanza di documenti ufficiali su cui poter basare affermazioni maggiormente sostenute, non avendo altri punti di certezza oltre alla citata clausola rescissoria pattizia di discredito, alcuni aspetti possono sin d’ora essere valorizzati, soffermandosi per prima cosa sulla disciplina dei singoli contratti, che spesso contengono particolari clausole operanti “ad hoc” al verificarsi di specifiche situazioni, per passare in seguito al vaglio della legge ivi applicabile.
Prima di tutto è necessario, dunque, valutare le specifiche previsioni dei contratti, le cui clausole possono prevedere particolari esclusioni di responsabilità nel caso in cui l’inadempimento sia conseguenza di una circostanza imprevista, come esemplarmente accadde a causa della attuale crisi geopolitica, per poi considerare quale sia la specifica legge, nazionale o convenzionale, applicabile al contratto, dalla quale interpretazione possono derivare significative differenze nella disciplina legale dell’accordo.
È bene precisare prima facie che, sebbene il principio universale che regola i contratti espresso nel celebre brocardo “pacta sunt servanda”, ossia che ciascuna parte deve rispettare le obbligazioni che ha assunto, imponga il rigido rispetto delle disposizioni pattizie, considerato che il contratto è per definizione legge tra le parti, circostanze esterne alla volontà delle parti possono avere, tuttavia, significativi impatti sull’esecuzione dei contratti, come effettivamente avvenuto nel caso della rescissione unilaterale del contratto operata da parte di Haas nei confronti dell’ex sponsor Uralkali, a causa delle sanzioni internazionali stabilite dall’Unione Europea a carico di molteplici soggetti di nazionalità russa che hanno impattato in modo prorompente sugli equilibri economico-finanziari della scuderia statunitense.
Ciò posto, pur non conoscendo quale sia la legge nazionale che disciplina il contratto di sponsorizzazione tra Haas ed Uralkali, la cui concreta legittima operatività sarà probabilmente vincolata ad un futuro arbitrato convenzionale, né tantomeno essendo in possesso dei dettagli della disciplina pattizia ivi compresa e delle possibili clausole penali, è tuttavia possibile ragionare per concetti generali, partendo esemplarmente dalla normativa italiana in materia di contratti a prestazioni corrispettive, delineare alcuni istituti giuridici che possono venire in rilievo in quanto possibili argomenti di giustificazione della rottura del contratto tra le parti.
Volendo trattare di cause di scioglimento del vincolo contrattuale, è bene citare l’istituto della c.d. forza maggiore: esso è, in primis, una causa esimente della responsabilità in caso di inadempimento dovuto ad eventi che siano, al momento della stipula del contratto, imprevisti ed imprevedibili, tali da generare l’estinzione dell’obbligazione per impossibilità sopravvenuta della prestazione. L’impossibilità della prestazione rappresenta dunque una causa di liberazione del debitore e di esonero da responsabilità contrattuale.
Più precisamente, la forza maggiore è un istituto giuridico comparso per la prima volta nel Codice Civile Napoleonico del 1804 ed è un rimedio previsto di default dalla legge italiana, nonostante non esista alcuna norma nazionale che descriva in modo esplicito la fattispecie in esame, come accade nella maggioranza degli ordinamenti di Civil Law, invocabile anche in un contratto sottoposto alla legge straniera solo se espressamente previsto dalle parti ed a tal fine inserito tra le clausole contrattuali.
Lo stesso può essere utilizzato, al ricorrere di alcuni presupposti, soltanto per i contratti sinallagmatici già conclusi ed in corso di esecuzione al verificarsi di un evento imprevisto, come ad esempio lo scoppio di un conflitto, mentre non trova applicazione per quei contratti che venissero conclusi successivamente all’evento (verrebbero meno, infatti, i requisiti dell’imprevedibilità e dell’inevitabilità dello stesso).
Riguardo all’operatività della citata esimente, una volta elevata la causa di forza maggiore, evento imprevisto ed imprevedibile, in secondo luogo, potrà essere invocata la c.d. impossibilità sopravvenuta della prestazione, ossia la sopravvenienza di una causa non imputabile al debitore che impedisce definitivamente l’adempimento, sciogliendo in tal senso il vincolo contrattuale: si riconducono a tale istituto sia la c.d. causa di forza maggiore generata da eventi quali un conflitto bellico, sia il c.d. factum principis, ossia l’ordine o divieto di un’autorità, tali da estinguere per causa involontaria un’obbligazione pattizia. Alcuni sostengono, inoltre, che possa esser fatta rientrare anche nel concetto dell’eccessiva onerosità sopravvenuta, ma tale posizione è in realtà alquanto dubbia.
Negli ordinamenti di Common Law, sistemi giuridici basati sul principio dello “stare decisis”, ossia del precedente giudiziario, come accade nei paesi di diritto anglosassone (si citano, tra tutti, Regno Unito e Stati Uniti), invece, la forza maggiore non è un istituto giuridico e non esistono, normalmente, previsioni legislative che la disciplinino espressamente, ma trattasi piuttosto di un rimedio, sotto forma di clausola contrattuale, volto a tutelarsi dall’eventualità che si verifichi uno di quegli eventi che nella prassi internazionale hanno assunto il nome convenzionale di forza maggiore per far riferimento agli eventi statisticamente imprevisti, limitando in tal modo gli effetti della cd. “Frustration”, istituto giuridico di Common Law rientrante tra le cause di risoluzione del contratto maggiormente utilizzate.
Orbene, tornando al nostro oggetto di specifico approfondimento, nel primo caso della c.d. forza maggiore, ovviamente, è possibile includere la situazione corrente in Ucraina con tutte le sue conseguenze, nel secondo caso di c.d. factum principis ricadono certamente, invece, le sanzioni della UE.
Come preannunciato sopra, proprio a causa delle differenze che caratterizzano la forza maggiore nei diversi ordinamenti di Civil Law (modello del diritto generale ed astratto, precostituito all’insorgere del conflitto dove il giudice applica la legge, come il sistema giuridico italiano) rispetto a quelli di Common Law (modello contrapposto al Civil Law, dove il diritto è creato dallo stesso giudice, in relazione ad un conflitto già insorto e sottoposto alla sua decisione, basandosi sulle precedenti decisioni giudiziarie), è fondamentale analizzare sempre la questione in funzione della legge applicabile al contratto.
Infatti, se la parte onerata della prestazione non può eseguirla, la controparte contrattuale può rifiutarsi di adempiere la sua controprestazione secondo il principio “inademplenti non est adimplendum”, ossia che ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria.
Tale circostanza appena descritta, per certi versi, appare molto vicina alla vicenda che vede coinvolti Haas ed Uralkali, stante che il team del magnate statunitense Gene Haas ha invocato la rottura unilaterale del contratto, rifiutandosi di adempiere le proprie obbligazioni pattizie e sciogliendo il vincolo contrattuale, proprio eccependo l’impossibilità di continuare il rapporto con la società russa Uralkali, in seguito alla emanazione delle sanzioni internazionali da parte degli organi dell’UE, che hanno colpito, tra gli altri soggetti, proprio il patron dell’azienda Dmitry Mazepin, generando, di conseguenza, il discredito di cui alla già citata specifica omonima clausola contrattuale.
D’altronde, i principi in materia di impossibilità sopravvenuta previsti dalla legge italiana sono di fatto invalsi in ambito internazionale e riproposti in molteplici accordi convenzionali pattizi, come accade esemplarmente nella Convenzione di Vienna del 1980 (in materia di compravendita internazionale): anche la predetta Convenzione prevede, infatti, che sussista un impedimento legittimo all’esecuzione dell’obbligazione nel momento in cui l’evento sia imprevedibile al momento della conclusione del contratto, fuori dal controllo della parte e tale da non consentire l’adempimento di uno qualsiasi degli obblighi del contratto.
A ciò si aggiunga che la ICC Force Majeure Clause 2003 (ICC Clause), emanata dalla Camera di Commercio Internazionale, richiama le tre caratteristiche già precedentemente individuate dalla Convenzione di Vienna del 1980, indicando inoltre una lista di eventi il cui insorgere comporta l’applicazione della clausola di forza maggiore, quali guerre, epidemie, ribellioni, terremoti, atti di terrorismo, sabotaggi ed altre situazioni che non dipendono dalla volontà umana.
Invero, per prassi consolidata, in molti contratti internazionali, per timore di dimenticare certi eventi cui la prestazione può essere ipoteticamente soggetta, le parti preferiscono fare un generale richiamo alla ICC Clause, invece di scrivere una propria clausola di forza maggiore e nonostante non si abbia notizia delle disposizioni ivi contenute e data la natura internazionale del contratto di sponsorizzazione in parola, si ritiene altamente probabile che anche nello specifico contratto in essere tra Haas ed Uralkali vi fosse un richiamo a tale clausola rescissoria di salvaguardia, oltre l’operatività di altre precipue clausole pattizie, come la già esaminata clausola di discredito.
Tutte le citate disposizioni, quindi, comportano che anche l’eccessiva onerosità sopravvenuta e non solo la impossibilità della prestazione costituiscano di fatto un impedimento legittimo all’esecuzione dell’obbligazione, che fa venire meno la responsabilità per l’inadempimento e può portare persino all’estinzione dell’obbligazione, delineando così un ulteriore argomento che potrebbe essere validamente utilizzato dai legali di Haas a sostegno sia delle proprie pretese ritentive di quanto già ricevuto, trattenute dunque a titolo di corrispettivo per l’esatto adempimento della scuderia, che di quelle risarcitorie in merito ai danni subiti dalla rottura con Uralkali.
D’altronde la società mineraria, invece, potrebbe limitarsi a richiedere la restituzione delle somme esborsate e non godute a causa della rottura, decisa unilateralmente da Haas, del contratto in essere tra le parti, negando al contempo l’operatività della clausola di discredito che della impossibilità sopravvenuta per forza maggiore.
Ponendo idealmente a latere la questione relativa alla risoluzione del contratto di sponsorizzazione e della trattenuta delle somme già percepite, il team Haas, in merito alla predetta ulteriore richiesta di risarcimento per i danni subiti, ben potrebbe agire in giudizio per far valere anche le ipotesi di responsabilità contrattuale della Uralkali (ovvero per inadempimento delle specifiche obbligazioni contrattuali assunte) avanzando, a sostegno di quanto chiesto, una pesante domanda di risarcimento a copertura sia del danno emergente (la perdita netta subita immediatamente dal team) che del lucro cessante (il mancato guadagno derivante dalla cessata sponsorizzazione), ivi comprendendo, dunque, i lamentati danni all’immagine pubblica della scuderia automobilistica.
In conclusione, restando ferma la imprescindibile necessità di esaminare i singoli contratti in essere tra le parti e la relativa interpretazione in base alla legge applicabile allo specifico rapporto giuridico, in attesa di aggiornamenti della querelle giudiziaria tra le parti, si evidenzia come, tuttavia, da una seppur astratta analisi legale della vicenda che vede coinvolti il team Haas ed Uralkali, sia possibile delineare un quadro generale risultante del rapporto contenzioso insistente tra le parti ed un relativo spettro di rimedi giudiziali azionabili dalle stesse per la soluzione della controversia legale, che di seguito si riassume, per completezza espositiva.
Orbene, in seno ad un potenziale giudizio tra le predette parti (da tenersi in sede giudiziaria ovvero in ossequio ad un lodo arbitrale), da un lato, la Uralkali potrebbe ribadire anche processualmente la richiesta di restituzione delle somme versate ad Haas in ragione del contratto di sponsorizzazione tra le parti, sollevando a tal luopo una mera eccezione di inadempimento contrattuale; la scuderia americana, invece, argomentando soprattutto alla luce degli imprevisti ed imprevedibili eventi bellici tra Russia ed Ucraina e dell’impatto sulla compagine societaria di tali accadimenti, potrebbe invece, anzitutto, mantenere le pretese di ritenzione di quanto già ricevuto in acconto nel corso della presente stagione 2022, vista sia l’espressa operatività della clausola rescissoria di discredito sia la possibile invocazione della risoluzione contrattuale causata da forza maggiore ed impossibilità sopravvenuta, oltre ad avanzare, in aggiunta, delle richieste risarcitorie per danni, subiti e subendi, all’immagine ed alla reputazione pubblica della scuderia.
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