Dopo oltre due anni vissuti a difendersi da pesanti attacchi e critiche distruttive, Mattia Binotto sta raccogliendo oggi quanto seminato con fatica, dimostrando a tutti coloro che volevano la sua testa sul tavolo quanto si sbagliassero. Non sappiamo se sia stato lui a negare il ritorno in rosso a Jean Todt, ma siamo abbastanza certi che sarebbe stato poco gradevole, per lo stesso Binotto, dividere meriti e successi con chi, di fatto, non li aveva costruiti.
“Ho imparato molto da Michael Schumacher. Da lui ho appreso la capacità di essere un leader. Non dimenticherò mai i suoi insegnamenti”.
In una recente intervista rilasciata alla testata tedesca Bild, Mattia Binotto, oltre a ricordare gli insegnamenti di Michael Schumacher, con cui ha lavorato a stretto contatto negli anni d’oro della Scuderia di Maranello, ha affermato, tra le righe, ma nemmeno troppo, di sentirsi un leader.
Leader è colui che guida, colui che occupa un ruolo di primo piano all’interno di una squadra, o di un’azienda, ed è difficile che in un organigramma ne convivano due. Potremmo citare diversi esempi, ma ci limitiamo a ricordare quanto accaduto proprio in Ferrari alla fine del 2018, anno in cui, dopo la morte del compianto Sergio Marchionne, i vertici del Cavallino Rampante si trovano di fronte ad un bivio: o Maurizio Arrivabene, o lo stesso Mattia Binotto. Tra i due “galli nel pollaio” non corre buon sangue, va presa una scelta. In quel momento, dopo mesi burrascosi, cambia totalmente la storia recente della Ferrari. John Elkann affida infatti le chiavi della Gestione Sportiva a Binotto, per il quale Marchionne aveva sicuramente un debole. Prima di affrontare l’argomento, urge fare un passo indietro e ripercorrere la vita e la storia di Mattia.
Nato a Losanna da genitori di Reggio Emilia il 3 Novembre del 1969, Binotto cresce in Svizzera. Nel 1994 si laurea in Ingegneria Meccanica presso il Politecnico Federale di Losanna, conseguendo successivamente un master in Ingegneria del Veicolo presso il Dipartimento di Ingegneria “Enzo Ferrari” (DIEF) dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia.
Pochi mesi dopo, nel 1995, fa il suo ingresso in Ferrari, dove inizialmente ricopre il ruolo di ingegnere motorista nella Squadra Test. Da quel momento, inizia la sua scalata: dal 1997 ricopre la medesima carica nella Squadra Corse in Formula 1 fino al 2004, anno in cui diventa Ingegnere dei Motori da Gara. Nel 2007 assume il ruolo di Capo Ingegnere, Corse e Montaggio, e nel 2009 quello di responsabile delle Operazioni Motori e KERS con Paolo Martinelli, poi vicedirettore Motore ed Elettronica con Luca Marmorini e, infine, Direttore del Reparto Power Unit tra il 2014 ed il 2015.
Fondamentale, a tal proposito, è il volere di Sergio Marchionne, che una volta divenuto Presidente della Ferrari, gli affida le chiavi dei propulsori ibridi di Maranello. Il manager italo-canadese si fidava profondamente delle sue doti, e lo aveva per questo scelto come dirigente di riferimento e referente personale. Nel 2015, la Ferrari inverte la rotta, dopo un 2014 fallimentare. Sebastian Vettel, alla sua seconda gara in tuta rossa, vince con la sua SF15‑T in Malesia, risollevando il morale di una squadra sotterrata dalle macerie di una gestione precedente discutibile. Marchionne si fida di lui: il 27 Luglio del 2016, Binotto sostituisce James Allison nel ruolo di direttore tecnico, mentre il 7 Gennaio del 2019 subentra ad Arrivabene in quello di team principal, dopo uno “scontro fratricida” durato mesi, che vide il manager italo-svizzero uscirne poi vincente.
Una “vittoria” decretata da quanto accaduto a Monza nel 2018. Kimi Raikkonen, prima scelta di Arrivabene, viene appiedato poche ore prima della gara. Sarà sostituito da Charles Leclerc, prodigio coccolato e ben voluto da Marchionne prima e Binotto dopo. Il resto della storia lo conoscete già.
Per descrivere i tre anni successivi, servirebbe un articolo a parte, considerato quanto successo tra il 2019 ed il 2020. La Ferrari si vede infatti obbligata a modificare quella Power Unit divenuta il benchmark nella seconda parte della stagione 2019, ingoiando un “accordo” con la Federazione Internazionale ancora oggi poco chiaro e molto discusso. Un peccato originale che pesa tantissimo, e che di fatto impedisce al team di Maranello di lottare per le posizioni per cui dovrebbe competere. Sono anni terribili, arricchiti da errori grossolani, performance scadenti, doppiaggi subiti e vere e proprie umiliazioni. La SF1000 del 2020, per molti, rappresenta la peggior Ferrari da Formula 1 mai costruita (insieme ad F92A ed F14‑T).
Anni in cui tutti vogliono la testa di Mattia Binotto, ritenuto un incapace arrivista non solo dai cosiddetti leoni da tastiera, ma anche da numerosi giornalisti di spicco. Anni in cui Binotto fa da parafulmine, incassando pesanti critiche distruttive e vedendosi persino imitato da Maurizio Crozza. Il suo “perché poi si tratta di capire” diviene la sua croce, ma Binotto non si scompone e va avanti per la sua strada, lavorando, insieme alla squadra, a testa bassa e con grande umiltà, per prepararsi al meglio al nuovo regolamento tecnico del 2022 (e che sarebbe entrato in vigore nel 2021, se non fosse stato per la pandemia da COVID-19, ndr).
John Elkann, presidente della Ferrari, conferma lui la fiducia, conscio delle qualità e delle esperienze di Binotto. E soprattutto, nega a Jean Todt il ritorno in rosso nelle vesti di superconsulente. Non sappiamo se sia stato lo stesso Mattia a chiedere che questo non avvenisse, ma sappiamo con certezza che per lui sarebbe stato davvero complicato, dopo quanto vissuto, dividere meriti e successi con chi, di fatto, non li aveva costruiti. La stabilità trovata dopo la burrasca attraversata dopo la morte di Marchionne, sarebbe stata probabilmente minata. Un rischio troppo grosso, suggestivo certo, ma da non prendere. E chi di dovere lo ha sempre saputo.
Questa dominante F1-75, definita da Charles Leclerc “una bestia”, è figlia della voglia di rivalsa di Binotto, di Gualtieri, di Cardile, uomini che hanno dimostrato che in Italia qualcosa ancora funziona e, soprattutto, che il mantra #essereFerrari significa anche saper incassare, subire, soffrire.
Ma soprattutto restituire, con un elevato tasso di interesse.
In pista come nella vita.
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