Melbourne, simbolo di un doloroso cerchio che si chiude, e che si riapre ora ancorato a nuove speranze e vecchi sorrisi, finalmente ritrovati. Tornare in Australia sana parzialmente le ferite apertesi due anni fa, in un week-end purtroppo indimenticabile, e consente di guardare al futuro con la consapevolezza che libertà e normalità sono due ingredienti vitali dei quali ogni essere umano non può (e non deve) mai fare a meno. Se solo il mondo se lo ricordasse.
Sono le ore 00:08 italiane del 13 Marzo 2020. La Federazione Internazionale, congiuntamente alle autorità locali, rilascia un comunicato stampa con cui rende nota la decisione di annullare il Gran Premio d’Australia. Da quel momento, la Formula 1 cessa di essere quella che, fino a quel giorno, avevamo conosciuto. La massima serie, da quel 13 Marzo, non sarà più la stessa. Il mondo non sarà più lo stesso, solamente che ancora nessuno lo aveva capito. La pandemia da Sars COVID-19, aveva infatti cominciato ad espandersi in modo veloce e aggressivo in ogni angolo del globo, e per quanto la classe regina potesse sembrare una bolla inscalfibile, anche questa venne attaccata dal nemico.
Poche ore prima, un membro della squadra McLaren era infatti risultato positivo. La scuderia di Woking annuncia che le sue monoposto non scenderanno in pista a Melbourne. In un attimo, il caos. Mentre i tifosi fanno il loro ingresso nel circuito, in un clima mai tanto confusionario e concitato, piloti come Sebastian Vettel e Kimi Raikkonen lasciano Albert Park per dirigersi in aeroporto. Hanno scelto di tornare a casa.
Lo faranno tutti.
Anche la Formula 1, che non aveva alzato bandiera bianca, è costretta ad arrendersi: l’avversario era troppo forte ed imprevedibile. All’orizzonte, il vuoto la faceva da padrone. Quella decisione, mise, di fatto, la parola fine sulla speranza di poter vivere una stagione, o meglio, una vita normale. Fece male a tutti gli amanti di questo particolare mondo, in quanto non solo sarebbero dovuti rimanere chiusi in casa per un tempo ostile, ma anche vittime di una fluttuazione di emozioni nella propria intimità, simile ad un ossimoro.
Per chi non lo sapesse, questa è una figura retorica consistente nell’accostare due parole che si contraddicono, contrarie tra di loro o che comunque prese nel loro insieme esprimono un contrasto. Ed è proprio questo, che provarono i tifosi dentro di loro. Come poteva uno dei fine settimana più attesi dell’anno, essersi trasformato simbolicamente nel momento che sanciva la sospensione temporanea della propria libertà? La realtà, tuttavia, era quella e andava accettata. Non c’era altra scelta che fermarsi.
In questi anni aspri, molte cose sono successe: molte persone se ne sono andate, quantità immense di lacrime sono state asciugate dai ricordi, molti circuiti storici sono stati rispolverati, le tribune sono rimaste orfane della passione, alcune abitudini sono cambiate, ed altre sono rimaste le stesse. C’è chi ha perso se stesso, e chi si è ritrovato. Ma ora che la nostra primavera è tornata a splendere su Melbourne, possiamo finalmente sorridere, seppur con il cuore rivolto a quanto sta accadendo in Ucraina. Impossibile, far finta di nulla, nonostante ci siano 14.770 chilometri a separare Kiev dal tracciato australiano.
Dopo tre anni, i granelli dell’asfalto dell’Albert Park torneranno a danzare allo stesso ritmo dei battiti dei cuori sugli spalti. Dentro qualcuno, alberga ancora una sensazione di timore, come se l’idea di tornare sul luogo in cui tutto ebbe inizio, facesse rivivere una sensazione destabilizzante, che in psicologia prende il nome di “memoria traumatica”. La verità, tuttavia, è che è arrivato il momento di tornare a immergersi nella bellezza di mettere la sveglia alle 3:30 del mattino, con gli occhi rossi e lacrimanti dal sonno, a cercare di tenere le palpebre aperte alla ricerca di qualcosa di immenso che si chiama “fucsia”. Nell’inseguire quel bagliore che inonda scosse elettriche di amore, senza paura, abbandonando il timore.
L’importanza di questa gara esula dalla sola rilevanza sportiva, in quanto ricorda come anche la peggiore delle tempeste, dopo un po’ di tempo, sembra poter finire. Dopo tutte le migliaia di morti piante a causa del Coronavirus, e tutti i problemi connessi ad esso, i vaccini hanno dato la speranza di una normalità 2.0. Per questo, il ritorno sul suolo australiano sembra poter rappresentare simbolicamente una chiusura del cerchio aperto ben 749 giorni fa, ora capace di donare speranza di rinascita ed un fuoco di emozioni, sicuramente contrastanti, certo, ma eternamente intense. Ora, non si deve fare altro che mettere muta e pinne, fare un respiro profondo e tuffarsi in quel mare chiamato “passione”.
Come scritto da Dante Alighieri in un Canto del Purgatorio, “vien dietro a me, e lascia dir le genti: sta come torre ferma, che non crolla già mai la cima per soffiare di venti”.
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