In precedenza noto solo sulle Gruppo C del mondiale Endurance e, ancor prima, sulle wing car utilizzate fino al 1982, quello del porpoising è un fenomeno, tipico delle vetture ad effetto suolo, che ritorna prepotentemente al centro della Formula 1 e dei vari dibattiti tecnici che la circondano. Cerchiamo di capire di cosa si tratta e, soprattutto, come si può risolvere.
Le immagini di una Ferrari F1-75 che saltella, quasi allegramente, sull’asfalto di Barcellona sono state oggetto di ampia condivisione sul web, non di rado accompagnata da ritmi musicali che sottolineavano ancor più una caratteristica bizzarra alla quale pochi sono abituati di questi tempi. In realtà, seppur trattato come una vera e propria novità o, a detta dei catastrofisti più irriducibili, quale pietra tombale della nuova nata di Maranello, quello del porpoising costituisce un fenomeno tutt’altro che nuovo e, soprattutto, per nulla isolato.
Comparso in un passato ormai remoto in cui le vetture ad effetto suolo facevano il loro ingresso sulla scena motoristica mondiale, questo caratteristico pompaggio è la più diretta e ovvia conseguenza con la quale si ha a che fare quando si lavora con le wing car. Quest’ultimo, essendo basato sull’uso di ampi canali Venturi che generano un elevato carico aerodinamico mediante l’uso di un fondo munito di apposite sezioni semichiuse di ingresso e uscita, convergenti prima e divergenti poi e nel mezzo delle quali trova spazio una caratteristica strozza, sfrutta la bassa pressione del fluido che, seguendo il principio di Bernoulli, accelera la velocità delle particelle che lo attraversano mediante una riduzione della pressione favorita dalla estrema vicinanza con l’asfalto sottostante, producendo un ampio campo di depressione posteriore e un conseguente elevato carico verticale che non paga la medesima penalità in termini di resistenza all’avanzamento se confrontato con un fondo tipicamente piatto che poggia, al fine di soddisfare i requisiti aerodinamici, su dispositivi che generano vortici aumentando la velocità del flusso per ridurne, di conseguenza, la pressione. Il funzionamento di un sistema di questo tipo, teoricamente più semplice rispetto a quello appena citato, nasconde, però, alcune complicazioni intrinseche alle quali non tutti hanno pensato o alle quali, per forza di cose, si erano dovuti disabituare.
Al fine di operare correttamente, una vettura ad effetto suolo ha bisogno di mantenere una distanza dal piano d’appoggio pressoché costante in ogni condizione e questo vuol dire che le sospensioni e i componenti del fondo devono presentare caratteristiche elastocinematiche ben precise che permettono di garantire un quanto più lineare scorrimento dei flussi al di sotto della vettura. Il nemico numero uno delle wing car si nasconde, infatti, proprio nel possibile bloccaggio nei confronti del passaggio dell’aria appena descritto e che può essere causato anche solo da una quasi istantanea grattata del muso contro il manto stradale, producendo una riduzione quasi istantanea della downforce che può ammontare anche a diversi chilogrammi. A ciò si sommano, tra gli altri, tanto il trasferimento di carico che interessa la vettura nelle fasi di accelerazione, decelerazione, ingresso e uscita curva, quanto lo spostamento del centro di pressione che, a causa del suo movimento che avviene tipicamente verso il retro con l’aumentare della velocità, produce delle variazioni di assetto che devono essere contrastate da un aumento nella rigidezza complessiva degli ammortizzatori. In aggiunta a ciò va anche tenuto in considerazione che, da quest’anno, i sistemi sospensivi risultano ulteriormente irrigiditi anche per far fronte alla riduzione dimensionale della spalla degli pneumatici, portando alla conseguente creazione di un controproducente effetto risonante che, una volta raggiunte determinate velocità, innesca il pompaggio, o saltellamento, della vettura sul manto stradale.
Ma allora, una volta individuato e compreso il problema, quali sono le soluzioni possibili?
Il lavoro da svolgere deve essere, così come per quanto riguarda la generazione stessa del carico, ambivalente e, per questo, ricercato tanto sul fronte cinematico quanto, contestualmente e se ritenuto opportuno da parte di progettisti, su quello puramente aerodinamico. L’eccessiva rigidezza delle sospensioni e dei sistemi smorzanti può essere una delle cause scatenanti e, per questo, risulterebbe intuitivo ridurre questo valore al fine di raggiungere una taratura più morbida che porterebbe, però, a trasferimenti di carico non tollerabili. Questo porta a identificare, dunque, una riduzione di carico quale unica strada realmente percorribile al fine di non sacrificare troppo la dinamica del veicolo, che risulta esser di importanza critica a causa dei molteplici fattori, fisici e temporali, che interessano l’evoluzione di una monoposto durante tutto l’arco della gara.
Il carico aerodinamico può esser ridotto attraverso due soluzioni: una, di natura puramente operativa, consistente nel sollevamento del fondo vettura dall’asfalto, con conseguente aumento della ground clearance, e l’altra, di matrice progettuale, data da una più o meno sostanziale modifica dell’architettura del fondo stesso al fine di produrre un decremento numerico dello stesso. Qualora la prima soluzione non dovesse funzionare, dato il parziale impedimento geometrico del fondo, progettato al fine di estrarre il massimo in termini fluidodinamici, si può provvedere ad operare una serie di tagli, più o meno invasivi, attraverso i quali generare vortici e aperture che consentono di alzare lievemente la pressione del fluido che scorre lungo il fondo, riducendo il carico e contrastando, così, il fenomeno del porpoising.
L’emersione di questo singolare caso ha interessato tutte le vetture presenti in griglia e l’introduzione pressoché immediata di nuove soluzioni aerodinamiche potrebbe aver risolto anche solo in parte questo problema. Data la natura estremamente variegata del calendario e, non ultima, la pesante e poco sensata normativa regolamentare che limita a 50 m/s (180 km/h) la velocità utilizzata nelle simulazioni fluidodinamiche, si potrebbe assistere ad una riproposizione del porpoising non appena le vetture si troveranno schierate su campi di gara poco ideali e caratterizzati da asfalti gibbosi e irregolari propri di alcuni circuiti, cittadini e non. Per tale ragione, sarà interessante analizzare le singole risposte dei vari team e vedere quale, tra le scuderie in gara, sarà in grado di capitalizzare su un eventuale vantaggio derivante dall’aver trovato, per primo, una soluzione ad un problema che mancava, almeno in Formula 1, dal 1983.
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