Una vita colma di duelli, battaglie, incidenti spaventosi. Il 15 Dicembre del 2006 ci lasciava Clay Regazzoni, in un modo che nemmeno lui, forse, dopo quanto passato, si sarebbe mai aspettato.
“Viveur, danseur, calciatore, tennista e, a tempo perso, pilota”.
Eppure Clay, checché ne dica Enzo Ferrari, pilota, lo era per davvero. Era un pilota nel senso più puro del termine. Veniva dalle officine, dove dava una mano al padre sin da piccolo, facendosi poi tutta la gavetta partendo dalle cronoscalate, con un Austin-Healy Sprite 950, e già si intuiva che quel ragazzo dalla chioma folta e l’occhio sveglio, andava forte.
Era un pilota, Regazzoni, perché le macchine le sentiva e le capiva. In un’era in cui la telemetria era fantascienza, il fondoschiena di Clay era quanto di più preciso a cui potersi affidare per andare a correggere ciò che era necessario sulla monoposto. Era molto abile nel dare informazioni ai suoi meccanici. Avendo lavorato in officina, conosceva bene le auto e la tecnica che c’è dietro il comportamento dinamico di una vettura, cosa che gli permetteva di analizzare a fondo quello che il suo sedere sentiva. Per questo Niki Lauda aveva una grande stima per lui.
Era un pilota Clay, per questo in battaglia non regalava niente a nessuno. Era uno dei più temuti in pista, perché nel corpo a corpo era un tipo tosto, uno di quelli che appena vedeva uno spazio infinitesimale si buttava, uno di quelli che per difendere la posizione in pista avrebbe fatto di tutto. Cattivo sì, ma mai scorretto.
Lui, che negli anni ha dato vita a battaglie formidabili e a duelli incredibili, lui che in pista ha schivato il fantasma della morte svariate volte, quindici anni fa ci lasciava per un banale incidente autostradale. Mentre tanti dei suoi colleghi sono morti da eroi agli occhi del pubblico, Regazzoni si è abbandonato alla morte in modo tanto comune quanto beffardo, quasi nascosto dalla nebbia della pianura padana che accarezza le porte di Parma a metà Dicembre.
Gian Claudio, con la morte, ci ha sempre convissuto, sin da quando ha iniziato a correre. Forse perché lui, ubriaco di vita, ha sempre perseguito la felicità in tutte le sue sfaccettature e colori con tanto ardore da far stizzire la Signora in Nero.
La prima volta fu a Monaco, nel 1968. Da quel momento, si capì che quel giovane amante del rischio, avrebbe venduto cara la sua pelle. Al suo anno d’esordio in Formula 3, Clay si scontro con la dura legge del Principato: la ghiaia perdona, il muro no. All’uscita della chicane dopo il tunnel la Tecno 68 guidata dal pilota elvetico punta dritto il guard-rail. Attimi di panico gelano il pubblico presente. La Tecno è scomparsa, accartocciata contro le barriere. Mentre i primi soccorritori si dirigono sul luogo dell’incidente, Regazzoni si muove e la sua testa spunta dall’altra parte del rail. Impossibile.
Di fatto, Clay si era accorto dell’imminente impatto con le barriere, abbassandosi il più possibile, quel tanto che basta per evitare la decapitazione e passare sotto il guard-rail. La monoposto passa sotto l’ostacolo, fermata solo dal roll-bar posto dietro la testa del pilota.
Nello stesso anno, la Nera Mietitrice probabilmente sbaglia macchina e si porta via Chris Lambert, dopo un incidente avvenuto proprio con Regazzoni. Si correva in quel di Zandvoort, quando la Tecno e la Brabham entrano in contatto. Clay finisce insabbiato in testacoda, poi cappotta. Lambert invece vola oltre il guard-rail e arresta la sua corsa a centimetri da un pubblico inerme. Il povero Chris morirà sul colpo e il padre decise di denunciare Regazzoni per omicidio colposo. Ovviamente Gian Claudio verrà assolto perché il fatto non sussiste.
La mano gelida della Signora in Nero si era posata su Clay, ma lui l’ha schivata di nuovo. A modo suo, con il ciuffetto a coprire la fronte alta e il sorriso stampato in faccia. Nel 1973, a Kyalami, a salvarlo è Mike Hailwood.
È il terzo giro e Hailwood rimane piantato in curva dopo un contatto con Reutemann. Clay, in bagarre con Jacky Ickx, non riuscì ad evitarlo. La BRM numero 15 prende fuoco, con Regazzoni inerme nell’abitacolo. Hailwood esce dalla sua vettura e si precipita dal ticinese ancora in fiamme senza soccorsi. Gli slaccia una cintura, strappa l’altra di forza e cerca di estrarre il collega dalle fiamme, ma finisce per esserne avvolto anche lui. Mentre l’eroico Hailwood attraversa la pista correndo avvolto dalle fiamme per lanciarsi sull’erba, i commissari di pista completano l’opera.
All’uscita dell’ospedale, il referto segnala solo qualche ustione alle mani e alle braccia per Clay. Sembra un miracolo, ma è scappato dalla morte ancora una volta.
Sempre nello stesso anno, alla Targa Florio, volò fuori strada con la sua Alfa Romeo 33, atterrando di tetto su un gregge di pecore. Nel 1977 partecipò alla 500 Miglia di Indianapolis e durante le qualifiche si girò a 300 all’ora finendo sull’erba. Dopo aver colpito le reti di sicurezza la sua McLaren vola roteando in aria. In tutti e due i casi ne uscirà miracolosamente illeso, come nel 1978 a Long Beach quando non si accorge di Villeneuve che lo stava doppiando e gli chiude la porta in faccia. La Ferrari numero 12 decolla e la posteriore destra passa a millimetri dal casco di Clay. Il ticinese, indifferente, continua per la sua strada e chiude in decima posizione.
Ha la scorza dura Clay, intimidirlo è difficile. Inoltre, ama correre. Nonostante abbia ottenuto sicuramente meno di ciò che avrebbe meritato, Regazzoni ha sempre vissuto per correre, per quel mondo che era la sua vita. La pista, le corse, l’odore acre delle gomme che si consumano e quello penetrante della benzina che brucia si miscelavano eccezionalmente a tutto il contorno offerto dal Circus, fatto di notorietà, divertimento e belle donne. Clay non si è mai nascosto. Quello era il suo mondo e non voleva lasciarlo.
La Signora in Nero però non demorde, non è abituata a non riuscire nel suo intento. Pur di portarsi via Clay e spegnere il sorriso lucido nascosto sotto gli irti baffi, ricorse al metodo più infame è subdolo.
Il rettilineo della Shoreline Drive, dopo aver superato la Bridgestone Bend, termina con un tornante lento e stretto, in cui avvenivano gran parte dei sorpassi effettuati lungo il circuito di Long Beach. Nel 1980, alla staccata per affrontare la Queen’s Hairpin, così si chiamava quella curva a gomito, le monoposto arrivavano a circa 280 km/h.
Regazzoni, al volante della modesta Ensign, era incredibilmente quarto quando al giro 51 si appresta ad andare sul freno per affrontare il tornante. Niente. Vuoto.
Clay molla il freno e lo pesta nuovamente, più forte. Niente. I freni non ci sono più.
Si attacca quindi al cambio, iniziando a scalare marce per rallentare la corsa. Ogni marcia tolta il muro si avvicinava pericolosamente. La Ensign numero 14 centra prima una Brabham abbandonata nella via di fuga, poi il muro.
Fittipaldi, che era dietro Regazzoni, impostò la curva e sentì il botto una volta girato il tornante. Dirà di non aver mai sentito un simile boato in vita sua e di aver concluso la gara con la convinzione di aver perso il ticinese per sempre.
I medici e i commissari impiegarono oltre 30 minuti per estrarlo dall’abitacolo, mentre sugli schemi della TV inglese apparve la scritta “Regazzoni on fire”.
La morte ci ha provato di nuovo, lasciandolo senza freni in pieno rettilineo. C’era quasi riuscita stavolta. La gara continua come nulla fosse mentre Regazzoni viene portato al St. Mary Hospital. Il bollettino è impietoso, ma migliore rispetto alle più rosee aspettative di chi aveva assistito all’incidente. Si parla di una frattura composta di tibia e perone della gamba destra, una lesione alla colonna vertebrale, una contusione allo stomaco e un’abrasione al capo.
Viveur, danseur, calciatore e tennista diceva di lui Enzo. Da quel maledetto 30 Marzo 1980, Clay Regazzoni non poté più essere, anche volendo, tutto questo.
L’incidente gli tolse l’uso delle gambe.
Clay non si ferma, si impegna e combatte consapevole della sua disabilità ma conscio di aver sconfitto la morte un’altra volta.
Continuerà a dispensare sorrisi, aiuti e consigli fino al 15 Dicembre 2006, quindici anni fa esatti, quando un banale incidente in autostrada farà finalmente vincere la Signora in Nero.
Accompagnata dal buio della notte, quando le luci dei fari si impastano con gli sbadigli di chi guida in senso opposto, nascosta dalla nebbia che si poggia lieve sui volti a riempire le rughe di chi è in là con gli anni, la Morte ha finalmente compiuto la sua missione.
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