A quasi trent’anni di distanza dai suoi primi allori Mondiali, Adrian Newey si dimostra ancora capace di fare la differenza e, con la conquista del titolo piloti da parte di Max Verstappen, aggiunge un ulteriore, ventunesimo sigillo ad un palmares tanto unico quanto straordinario. Analizziamo insieme metodi, ragionamenti e peculiarità di una mente unica nel panorama delle competizioni.
Di grandi cervelli, nel mondo del motorsport, ce ne sono molti. Anzi, moltissimi, se si contano tutti i tecnici “sommersi” che, o per nome, o per via della minor notorietà della serie in cui corrono, non godono della fama o della riconoscenza di cui meriterebbero.
Tuttavia, tra essi, resta comunque raro trovare colui che dimostra di essere in grado di relazionarsi in maniera disinvolta con la maggior parte, se non addirittura con ciascuno, degli aspetti riguardanti un veicolo da corsa. Ma l’eccezione, tra tutte, che conferma l’esistenza di una figura per molti definibile “aliena”, ha un nome e un cognome ben precisi: Adrian Newey.
Ma perché proprio lui e non altri?
In primis, perché nessuno tra i progettisti di Formula 1, presenti e passati, ha vinto così tanto, con diversi piloti e costruttori, per un così lungo arco temporale. Secondo, perché colui che scrive, almeno in questa rara, strana volta, sveste un attimo i propri rigorosi panni di analista tecnico per mostrare una naturale, innegabile ammirazione nei confronti di una figura professionale di rara elasticità mentale. Motivi, questi, che verranno condivisi e compresi più facilmente nel corso di questa analisi.
Risolvere problemi tecnici è, per Newey, una questione vitale, più che un semplice mestiere.
È un qualcosa che trascende lo svolgimento di una ordinaria funzione lavorativa e che si trasforma in un flusso di lavoro più vicino all’approccio che un artista ha verso la scrittura di un brano, cantato o meno che sia, piuttosto che al meccanico problem solving di un tecnico qualsiasi: ogni secondo di una sua tipica giornata è scandito da ragionamenti continui, da un’incessante rincorsa tra una soluzione e un’altra, tra la lettura di un regolamento e un’altra ancora. Anche per questo, piuttosto che sbagliare strada in preda a soprappensieri tecnici nel tentativo di recarsi a Milton Keynes, lui, che la guida la ama e la vive davvero, preferisce affidarsi alle costanti e sicure mani di un autista. Così facendo, sostiene, si aumenta il tempo per leggere le mail, rispondere e dare anche una proficua sbirciata al lavoro che c’è da fare, riflessioni regolamentari incluse.
Trarre giovamento da quel che si fa, si sa, equivale ad avere una marcia in più. Newey raggiunge lo scopo semplicemente leggendo i regolamenti e operando nei limiti da essi imposti. Nulla di straordinario, si potrebbe dire, ma è proprio qui che il Nostro fa davvero la differenza.
Secondo la sua filosofia, le limitazioni e le pressioni temporali imposte da un mondo tanto competitivo quanto veloce come quello della Formula 1, fungono da autentico carburante nel momento in cui ci si appresta a varare un nuovo progetto. All’interno di confini normativi appositamente predisposti, la mente umana, se sufficientemente allenata, si dimostra in grado di identificare, con maggior facilità, i possibili margini di guadagno, spesso rappresentati dalle cosiddette “aree grigie” dei regolamenti, su cui concepire nuove ed innovative soluzioni tecniche. E di esempi, nel vasto repertorio, ve ne sono tanti, l’ultimo dei quali è rappresentato dalla geniale ridisposizione dei vari elementi geometrici della sospensione posteriore che, pur mantenendo i medesimi punti d’attacco, sono stati completamente invertiti ai fini di incrementare il passaggio d’aria al di sopra del diffusore, nonché al di sotto del doppio profilo alare rappresentato dalle coperture degli steli delle stesse, senza dover spendere gettoni per la riprogettazione dell’intera cinematica.
Il fatto che la Red Bull abbia schierato, sfiorando il titolo Costruttori e centrando quello Piloti con Max Verstappen, una vettura che è la chiara evoluzione della precedente, ovvero della RB16 del 2020, spiega anche un altro fattore che nelle competizioni può determinare un potenziale successo oppure un fallimento: la continuità.
Analizzando ciascuno dei vari progetti portati a termine nel corso di una carriera che, nella massima serie, è divenuta stabile a partire dal lontano 1987, è possibile identificare diversi gruppi di vetture in cui si assiste a logiche, ma comunque sapienti, evoluzioni piuttosto che a rivoluzioni, come nel caso delle varie Williams prodotte dal 1991 al 1994 o, ancora, delle varie serie utilizzate dal 1995 al 1997, le McLaren degli anni 1998, 1999 e 2000, o, infine, le varie Red Bull del biennio 2007–2008 e quelle, vincenti, del triennio 2010–2013. Questo perché, data la natura fortemente aleatoria e sperimentale delle competizioni, è sempre meglio evolvere determinati elementi, dimostratisi validi e con solide basi prestazionali, piuttosto che disegnarne di nuovi in cui le incognite finiscono solo per sprecarsi, aumentando le incertezze.
Riassumere i tratti di una personalità gigantesca come quella di Adrian Newey resta, ovviamente, un’impresa di difficile esecuzione. Tuttavia, provare a raccontarne una parte attraverso una descrizione delle principali metodologie utilizzate in fase progettuale rappresenta non solo un potenziale passatempo per tutti coloro che nutrono una passione nei confronti delle competizioni, ma anche uno stimolo e, soprattutto, una scuola di formazione in più per chi, come nel caso di chi scrive, fa della tecnica motoristica la sua principale ragion d’essere.
Ph. Getty Images / Red Bull Content Pool ©