Quella che si sta consumando in pista non è solo una vivacissima battaglia a suon di pole, vittorie e giri veloci, ma anche un confronto tra due scuole tecniche che non potrebbero essere più differenti tra loro. Analizziamo nel dettaglio le caratteristiche delle Power Unit più performanti di questo mondiale.
Con la Red Bull ormai distante una sola lunghezza dalla rivale in classifica, ovvero la Mercedes, quello che si profila all’orizzonte è uno dei finali di campionato più entusiasmanti che si siano mai visti finora.
Tale risultato è stato reso possibile da un quasi perfetto bilanciamento tra le due forze in gioco, capaci di sfidarsi in pista facendo leva su concetti tecnici spesso agli antipodi e, proprio per questo, responsabili di un grandissimo equilibrio complessivo una volta messi su strada. E se si guarda alle due contendenti, quali sono la RB16B e la W12 F1, e alle unità motrici che le spingono, ovvero i V6 turbo-ibridi RA621H di Honda e M12 di Mercedes rispettivamente, questa affermazione non potrebbe risultare più vera.
Le Power Unit in questione si presentano, infatti, con due configurazione quasi completamente differenti e in cui, a far da anello di congiunzione, sono unicamente gli stadi di turbina e compressore che, collocati ai lati opposti dell’unità termica e tra loro congiunti mediante calettatura su apposito albero, presentano uno schema tecnico del tutto simile, almeno concettualmente.
Le differenze, infatti, possono essere avvertite già ad una prima analisi dei due elementi citati, differenti per dimensioni e logiche di funzionamento a cui sono stati destinati in fase progettuale. Nello specifico, si nota come la turbina adottata sull’unità nipponica sia di dimensioni maggiori rispetto a quella predisposta dai tecnici di Brackley e questo si deve principalmente alla maggior portata desiderata dai tecnici Honda per il propulsore endotermico. La configurazione ad alto carico permette, infatti, di aumentare il volume d’aria destinato a raggiungere i cilindri, aumentando così i valori di coppia e potenza complessivi, pur sacrificando qualcosa in quanto a durata e rendimento dell’MGU‑H, penalizzato nella propria autonomia dalle ridotte dimensioni richieste dalla compattazione dello stesso e dalle più elevate inerzie della turbina, la cui attivazione richiede un dispendio energetico maggiore rispetto ad una configurazione a più basso carico come quella Mercedes.
Come poc’anzi citato, anche l’MGU‑H ha rappresentato un tassello fondamentale nello sviluppo dell’unità ibrida Honda, in quanto ha consentito tanto una precisa gestione della coppia attraverso apposite strategie e logiche di utilizzo, quanto una importante riduzione degli ingombri dell’intera Power Unit. In Mercedes, invece, hanno preferito modulare la curva di coppia e la relativa erogazione attraverso un nuovo sistema d’alimentazione a geometria variabile, in cui appositi tromboncini di aspirazione variano la propria altezza a seconda del carico richiesto e dalla annessa parzializzazione dell’acceleratore.
Ulteriori e importanti differenze vanno ritrovate nello schema dell’impianto di raffreddamento che, ancora una volta, segue concetti antitetici per le due unità. Se in Mercedes è stata seguita la più tradizionale strada che vede le masse radianti disposte “a sandwich”, ovvero coi pannelli radianti di olio, acqua e intercooler compattati tra loro all’interno della pancia, non altrettanto si può dire per Honda, che ha sdoppiato le masse radianti collocando quelle adibite al raffreddamento della parte ibrida (KERS e ERS) e del cambio direttamente sopra l’airbox, cosa resa possibile dalla bassa temperatura operativa che oscilla attorno ai 70–80°C, conservando unicamente quelli di olio, acqua e intercooler nella loro posizione tradizionale all’interno della pancia. Seguendo, infatti, delle stringenti specifiche aerodinamiche dettate da Red Bull e da Adrian Newey, si è arrivati ad una eccezionale sagomatura degli ingombri del corpo vettura attorno alle masse in questione, ottenendo una sciancratura particolarmente evidente ed estremamente positiva in termini di resa aerodinamica.
La configurazione dei pacchetti di scambio termico comporta, però, anche una rivalutazione degli scarichi ad essi adiacenti che, nei due casi appena descritti, risulteranno più o meno sacrificati a seconda delle direttive tecniche impartite in principio. Di conseguenza, in casa Mercedes il disegno di questi ultimi resta grossomodo tradizionale, a tutto beneficio della portata in turbina, prevalentemente a causa dei maggiori ingombri dei radiatori che non comportano, dunque, un eccessivo restringimento delle pance attorno alla sezione degli scarichi. In Honda, al contrario, si è provveduto a ridisegnare i collettori al fine di favorire la suddetta sciancratura dei pannelli in carbonio, sacrificando lievemente il rendimento in turbina e favorendo, di molto, quello aerodinamico.
Le due scuole di pensiero, per certi versi completamente agli antipodi, si stanno rendendo protagoniste di un campionato tanto esaltante quanto estremamente equilibrato, in cui non è mai davvero possibile stabilire a priori una vettura o un pilota favorito prima dello spegnimento dei semafori. Dimostrando, ancora una volta, quante e interessanti possano essere le strade che portano all’ottenimento e all’affinamento della prestazione in pista.
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