Tanti, sono gli appassionati che rimpiangono il passato e che non sentono propria questa Formula 1. Si chiama “idealizzazione del passato”: più si va avanti con gli anni, e più del passato si tendono a ricordare solo gli aspetti positivi, dimenticandone talvolta le sfaccettature più negative. Ma il passato non tornerà, mentre il futuro è ancora da scrivere, per questo motivo decidere se emozionarsi o meno è una scelta che spetta solamente a noi.
“Non è più come una volta…”
“I piloti di oggi non sono come quelli di vent’anni fa…”
“Questa Formula 1 non sa più dare le emozioni di un tempo…”
Quante volte, negli ultimi tempi, abbiamo sentito pronunciare frasi del genere. Si chiama “idealizzazione del passato”: più si va avanti con gli anni, e più del passato si tendono a ricordare solo gli aspetti positivi, dimenticandone talvolta le sfaccettature più negative.
La Formula 1 moderna è uno sport estremamente diverso rispetto a quello degli albori, dato che oggi si è anni luce più avanzati a livello tecnologico, ambito in cui si svolge una sfida tra gli ingegneri dei team, sì lontana dai riflettori, ma importante tanto quanto i duelli in pista: una corsa alla ricerca della prossima innovazione capace di rendere ancora più performanti le monoposto, perché chi è in grado di arrivare prima degli altri ha un vantaggio incalcolabile sugli avversari, mentre chi non sta al passo è condannato ad inseguire. E questo fa sì che, in più situazioni, la vettura conti più del pilota (eppure nessun pilota ha mai vinto senza un’auto all’altezza). Questo è un fatto.
Eppure la Formula 1 odierna offre un livello di sicurezza impensabile fino a vent’anni fa (l’episodio di Monza ne è l’ennesima conferma) e il Circus fa sì che vengano affiancati piloti iridati (quattro quest’anno) a giovani talenti, creando un mix a dir poco esplosivo. Metà dei piloti nella griglia di quest’anno, infatti, ha meno di 25 anni, nonostante di questi solo tre siano rookie, e addirittura nel paddock figura un ragazzo del nuovo millennio, il giapponese Yuki Tsunoda, classe 2000. Ciò dimostra che di talento, questi piloti, ne hanno da vendere: gli serve solo l’occasione di mettersi in mostra. Anche questo è un fatto.
Eppure c’è un errore che in tanti continuano a commettere: se un pilota giovane fa bene per un paio di week-end viene immediatamente paragonato ai mostri sacri di questo sport, salvo poi essere considerato l’ennesimo sopravvalutato al primo errore, spesso dovuto alla spregiudicatezza e alla foga dell’età.
Certamente, i mass media hanno dato, e danno tuttora, un apporto decisivo nell’ergere a giudice chiunque abbia voglia di esprimere il proprio parere, spesso vedendo solo bianco o nero e ignorando quelle sfumature che rappresentano la gioventù.
Sarebbe bene lasciare a questa nuova schiera di piloti anche la possibilità di sbagliare e di imparare, sia dagli esempi che hanno davanti agli occhi sia, soprattutto, dai propri errori, e tornare ad emozionarsi per un sorpasso al limite o per una vittoria inaspettata di un giovane, come quella di Pierre Gasly a Monza l’anno scorso, il quale, pur avendo appena 23 anni, quasi non credeva di avere più chance di far bene in Formula 1, dopo l’esperienza (distruttiva) in Red Bull.
“Non è più come una volta…”
“I piloti di oggi non sono come quelli di vent’anni fa…”
“Questa Formula 1 non sa più dare le emozioni di prima…”
Troppe volte sono state dette parole del genere. Si chiama “idealizzazione del passato”, come detto. Ma il passato non tornerà, mentre il futuro è ancora da farsi, per questo motivo decidere se emozionarsi o meno è una scelta che spetta solamente a noi.
Ph. Scuderia Ferrari Press Office ©