La ribellione più inutile della storia della Formula 1. Valtteri è timido, riluttante ed indeciso anche quando si ammutina.
Un tentativo sterile, dettato dalla frustrazione e dalla rabbia.
Mancano quattro giri alla fine quando Bottas, con gomme fresche, decide di andare a caccia del giro veloce, detenuto fino a quel momento dal compagno di squadra. Spinge forte nel primo e nel secondo settore, quando si apre in radio James Allison: “Per favore, abortisci il tentativo prima della fine del giro…”
Gelo. Nessuna risposta. E intanto spuntavano parziali fuxia. Per un attimo ci abbiamo creduto tutti. La rivolta del numero due, di quell’uomo che per cinque lunghi anni si è piegato sommessamente alla superiorità di Lewis, assecondando le richieste del team in nome di un bene superiore. Un sussulto d’orgoglio, un monito, una dichiarazione d’indipendenza.
“Stavo solo giocando un po’…” risponde dopo poco. Alza il piede nel terzo settore, ma il giro veloce è suo lo stesso. “Hamilton è rientrato per fare il giro veloce…” gli comunica Riccardo Mosconi, il suo ingegnere di pista.

Una resistenza futile, non stremata ma comunque fastidiosa e rischiosa per il suo compagno. Il finlandese sapeva benissimo che Lewis avrebbe avuto tempo di rientrare ai box per dare nuovamente l’assalto a quel punto addizionale che viene assegnato al titolare del giro veloce in gara. Un punto che, in un mondiale così tirato, vale oro. Un punto che a Valtteri serviva a poco e niente, statistiche comprese. Ha voluto dar fastidio, ma lo ha fatto con timore, mollando nell’ultimo settore.
Le cose, a questo livello, o le fai per bene, o non le fai. O decidi di infrangere gli ordini di scuderia e prenderti quel giro veloce, sapendo che la prossima stagione sarai altrove lottando per ben altri obiettivi, oppure aiuti il tuo compagno di squadra, come hai diligentemente fatto fino a questo momento.
Durante il pit-stop di Hamilton poteva succedere di tutto, un malfunzionamento meccanico ad esempio, come accadde allo stesso Bottas durante il Gran Premio di Monaco.
Eppure, Woodman è rimasto nel mezzo, prigioniero di un’indecisione che lo ha contraddistinto per lunghi tratti della sua storia in Mercedes. Una storia ormai ai titoli di coda e senza il gran finale tanto agognato dal protagonista.
E, mentre noi lettori sfogliamo le ultime pagine di questa storia scritta da una penna sconosciuta, ci accorgiamo di come ci sia un’emozione che prevale nella mente di un protagonista ormai stremato: la frustrazione.
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