Jean Rondeau è stato il primo e finora unico pilota in grado di vincere la 24 Ore di Le Mans su una vettura di propria produzione. Raccontiamo la favola di un vero self-made man.
Vincere la 24 Ore di Le Mans è un privilegio riservato a pochi e ancor meno sono quelli che passano alla storia per aver vinto su una macchina costruita sotto una propria insegna. Ad esser precisi, questo onore è stato riservato ad un solo uomo che, minuto di quel sano mix di follia e passione di cui sono pieni gli annali del motorsport, ha sfidato la madre di tutte le corse su vetture a marchio proprio e il suo nome è Jean Rondeau.
Per quanto non sia un caso unico nella storia delle corse automobilistiche, quello del pilota francese resta un episodio completamente isolato nella storia dell’Endurance e, nello specifico, in quella di Le Mans. Diversi sono stati, infatti, i nomi di grandissimi piloti del passato che tanto successo hanno ottenuto su vetture da Formula 1 e, tra questi, spiccano quelli di Jack Brabham, vincitore di sette Gran Premi e di entrambi i titoli Piloti e Costruttori nel 1966, Bruce McLaren, conquistatore di un successo a pari merito con l’americano Dan Gurney, vincitore del Gran Premio del Belgio 1967 a bordo di una Eagle-Weslake costruita dalla propria All American Racers. Pertanto, la valenza del risultato in questione, unito alla estrema difficoltà della corsa stessa, nota a tutti a causa dei livelli estremi di fatica, fisica e meccanica, pone in ulteriore risalto un risultato dall’importanza troppo spesso dimenticata.
Jean Rondeau ha respirato l’ambiente de La Sarthe sin dalla più tenera età, ovvero da quando assistette alla sua prima ventiquattro ore, nel 1949, quando questi aveva soli tre anni. Da quel momento in poi, ogni azione è stata una naturale conseguenza di una autentica passione primordiale, capace di traghettare Jean dalle prime esperienze in Formula Renault al terreno della classica francese già nel 1976, dove ad attenderlo ci sarà la squadra della Inaltera e presso la quale troverà Jean-Pierre Beltoise e Henri Pescarolo nei ruoli di compagni di squadra eccezionalmente sottratti al mondo della Formula 1 per nobili fini. I risultati, relativi alla classe GTP in cui la squadra militava, non tardano ad arrivare e la coppia appena citata porta a casa una positiva vittoria di classe, col Nostro costretto ad accontentarsi di un ventunesimo posto a seguito di una gara più che travagliata. Il riscatto, però, arriva un anno dopo, nel 1977, con la prima vittoria di classe.
Tuttavia, l’azienda produttrice di carta da parati ritira la propria sponsorizzazione senza troppe esitazioni, ma questo, agli occhi di un Rondeau più determinato che mai, appare unicamente come inconveniente di minimo conto.
Grazie ad una campagna di raccolta fondi organizzata da Marjorie Brosse, moglie del sindaco di Le Mans, Jean si ritrova di nuovo con un volante tra le mani e sempre nella classe GTP. E, ancora una volta, la vittoria non stenta ad arrivare.
Passa un altro anno e i fondi continuano a crescere, aprendo uno sviluppo in termini industriali che porterà alla costruzione di due nuove vetture. Nel 1979, la fortuna non gira dalla parte di Rondeau, che si ritira, pur con entrambe le vetture gemelle che colgono un quinto e un decimo posto, con quest’ultimo quale miglior piazzamento tra i prototipi del Gruppo 6.
Gli anni Ottanta arrivano e Jean Rondeau è ormai un pilota, e un nome, rispettato e conosciuto nell’ambiente di Le Mans. Le vetture battezzate dal beniamino locale si sono fatte conoscere per la notevole affidabilità e per una buona velocità complessiva ma, nonostante ciò, il podio appariva ancora cosa lontana. Di certo, la feroce concorrenza della Porsche non aiuta e, con essa, la grande disponibilità di parti di ricambio e di organico che, in un ambiente come quello delle corse di durata, può far la differenza quando più vi è necessità. E se a ciò sommiamo i nomi dei principali alfieri della casa di Stoccarda, tali Jacky Ickx e Reinhold Joest, con quest’ultimo presente anche nel duplice ruolo di “team owner”, le cose non migliorano minimamente, almeno dal punto di vista di casa Rondeau dove, comunque, spiccano nomi di altrettanta statura come quelli di Jean-Pierre Jassaud, compagno di vettura di Rondeau, Jean Ragnotti e Henri Pescarolo, accomunati tra loro dal medesimo sedile.
La sfida si preannuncia rovente, epica come non mai.
Da un lato abbiamo la sofisticata e temibile Porsche 908/80, dall’altro la affidabile e consistente Rondeau M379. Due macchine che, tra loro, non potrebbero essere più differenti, con la tedesca caratterizzata da una carrozzeria di tipo roadster e mossa da un motore sovralimentato a sei cilindri di propria produzione, e con la francese contraddistinta da un classico layout ad abitacolo chiuso, filante e aerodinamicamente molto valido in quanto a ridotta resistenza all’avanzamento, al cui centro trovava spazio il classicissimo V8 DFV progettato e prodotto dalla Cosworth.
Le due M379 si mostrano da subito competitive, al punto da regalare la pole a Pescarolo, con Ickx quarto e Jassaud quinto. La partenza della corsa è forse la più bagnata che si sia mai vista e, ad esclusione delle vetture coperte, Rondeau incluse, rappresenta un incubo per tutti gli altri, come testimoniato dal fuoriclasse belga che, per scorgere qualcosa all’infuori della nebbia causata dagli spruzzi d’acqua delle vetture che lo precedono, altro non può fare se non rannicchiarsi nell’abitacolo della propria roadster.
Di conseguenza, i prototipi francesi scappano, mentre quelli tedeschi arrancano.
La pioggia inizia ad allentare la morsa soltanto dopo le 17:00 e, a quel punto, sembra aprirsi definitivamente la strada di Joest e Ickx, che si portano in testa già alla fine della terza ora per mano del tedesco. Al momento del cambio, Ickx rompe la cinghia della pompa di iniezione ma, in classico stile Joest e Porsche, non mancano i ricambi e , più precisamente, nemmeno gli utensili necessari alla sostituzione, accuratamente stivati nell’abitacolo in previsione di eventuali casi di emergenza. Così facendo, Jacky può effettuare l’intervento da solo, sistemando il tutto in quattordici minuti che, però, lo privano della leadership.
Calano le tenebre e una delle due Rondeau si porta al comando. Tuttavia, Ickx da vita ad uno dei suoi migliori inseguimenti, che lo portano prima a parità di giri e poi nuovamente in testa. Dopo numerosi cambi al vertice, dovuti perlopiù alle soste pianificate, la leadership definitiva della Porsche del duo Ickx-Joest sembra consolidarsi verso le sette del mattino. O, almeno, così sembra.
La squadra tedesca commette, infatti, un clamoroso errore di valutazione che porta a sottostimare la reale competitività e durata delle coupé francesi. Di conseguenza, complice un guasto al cambio accusato dalla 908/80 del team Joest attorno alle dieci del mattino, la Rondeau di Jassaud e Jean torna al comando per prendere nuovamente il largo, che si materializza in un distacco di tre giri che costringe l’asso belga ad un terzo, furibondo recupero.
Il logorio della corsa inizia a farsi sentire. A separare la Rondeau dalla bandiera a scacchi c’è ancora un’ora e mezza di gara e un ultimo cambio pilota. Jean torna ai box, lascia il posto a Jassaud e la corsa prosegue, con la Porsche che sembra recuperare a gran velocità.
Ma ecco che, in maniera quasi provvidenziale e a soli trentacinque minuti dal termine, la tipica pioggia di Le Mans si rifà sotto. Ickx torna ai box per montare le gomme da bagnato, mentre Jassaud rischia e resta fuori con le slick. La scelta del francese sembra esser quella giusta, perché le condizioni non sono ancora tali da favorire un completo passaggio alle mescole da bagnato pesante e la gara prosegue verso il traguardo con Jassaud che sembra conservare il proprio vantaggio sulla concorrente tedesca.
Ma, come disse Yogi Berra, non è finita finché non è finita.
All’ultimo giro, la pioggia si intensifica improvvisamente. Jassaud fatica sempre più fin quando perde inavvertitamente il controllo della propria M379. La fortuna, però, la pensa diversamente e fa si che il francese non colpisca nulla, regalando all’equipaggio una vittoria straordinaria e destinata a rimanere un unicum negli annali della storia dell’automobilismo mondiale.
Insegnandoci che i sogni, anche quelli più difficili e assurdi, possono davvero diventare realtà.
Ph. Motorsport Images / Christian Borel ©