A caldo, il Gran Premio d’Austria ha proposto, per la Ferrari, discussioni sul comportamento di Sergio Perez, sulle strategie e sul rendimento dei piloti. Man mano che passano i giorni, ciò che rimane del secondo week-end in Stiria sono pensieri sulle prospettive che prenderà la stagione della Scuderia. Con una poco piacevole sensazione: che si prenda tempo.
Quinto e ottavo. Qualche anno fa, una tragedia. L’anno scorso, un successo da festeggiare. Nel 2021 una discreta gara, che offre diverse occasioni di rimpianto. La gara pazza di Perez prima spinge gli steward a punire Lando Norris e, più tardi, costringe il messicano a subire due volte il medesimo destino, quando si difende maldestramente dagli attacchi di un Charles Leclerc, vittima della situazione e delle discutibili penalità elargite dalla direzione corsa. Il risultato finale innesca, tra l’altro, discussioni fin troppo accese tra tifosi, che mettono superficialmente in contrapposizione Carlos e Charles, il loro rendimento e la considerazione di cui godono nel team e tra gli addetti ai lavori.
Molto di quello che è successo e di quello che è stato detto si poteva evitare. Sulle strategie, una breve riflessione è doveroso farla, anche a qualche giorno di distanza. Partendo dalla fine. La diversificazione delle strategie di gara tra i due piloti è stata una scelta azzeccata, in quanto ha permesso ad uno dei due di sfruttare meglio le opportunità presentatesi nel corso del Gran Premio d’Austria; l’obiezione che si può muovere è che se entrambi avessero scelto la strategia più appropriata sarebbe stato addirittura meglio, ma non è semplice sapere prima quale sarà la migliore tra due strategie sostanzialmente equivalenti. Obiezione molto più centrata, quella relativa al momento del pit-stop di Leclerc: tenerlo in pista dopo le soste di Ricciardo e Perez ha messo la Ferrari numero 16 di nuovo dietro alla Red Bull, superata nel primo stint, con tutto ciò che ne è conseguito nella seconda parte della gara; uno stop più anticipato, avrebbe permesso di mantenere la posizione con il messicano e di pensare un attacco alla McLaren.

Al contrario, i fatti dimostrano che le critiche, anche violente, mosse alla Ferrari per le scelte fatte durante le qualifiche erano completamente sbagliate. In molti hanno commentato, anche dopo la gara, che se si fosse partiti più avanti il risultato sarebbe stato migliore e che, quindi, sulla base di un sillogismo tutto da verificare, sarebbe stato opportuno entrare in Q3, a costo di usare le gomme soft. È chiaro anche al più casuale degli osservatori che, se fosse possibile avere una vettura più competitiva, il ragionamento starebbe perfettamente in piedi perché pur montando pneumatici medi, le prestazioni sarebbero state migliori; siccome Sainz è stato estromesso per sei millesimi e Leclerc per quarantasette, l’accesso al Q3 sarebbe stato inevitabile, a meno di colpe dei piloti. La monoposto però è quella e nessuno ha mosso critiche ai due alfieri di Maranello. Ne consegue che l’unico modo per migliorare la posizione di partenza sarebbe stata la scelta di montare gomme rosse.
Analizzando la gara dei quattro qualificati in Q3 con gomma rossa – le Alpha Tauri e le Aston Martin – si comprende che se le Ferrari fossero partite con le soft, il loro Gran Premio sarebbe stato un vero e proprio calvario. Anche perché la SF21 ha problemi di gestione degli pneumatici, quando tendono a surriscaldarsi e questo avrebbe peggiorato la scarsa competitività della strategia su due soste, a quel punto obbligatoria. Insomma, la scelta, per quanto dolorosa, è stata giusta, a dispetto di chi critica gratuitamente; paradossalmente anche dopo la gara, quando i fatti parlavano chiaro. Il passare delle ore e poi dei giorni, dirotta l’attenzione su temi diversi da quelli agonistici di cui abbiamo trattato fino ad ora; ma un collegamento proprio con le scelte strategiche che la Scuderia Ferrari deve necessariamente compiere c’è.
Partiamo dal presupposto, già ampiamente trattato, che la SF21 è l’erede della SF1000. Presupposto necessario, ma che non può e non deve diventare la scusa per giustificare tutto. Vero è che la base di partenza era il progetto disastroso del 2020 e che, quindi, i miglioramenti dimostrati in questa prima metà di stagione sono da apprezzare. D’altra parte, la SF1000 non è stata catapultata a Maranello da chissà dove: lì è stata progettata. Male. Per cui è doveroso che l’impegno di tutto il team fosse quello di migliorarla e di riportarla vicino ai vertici, dove la Ferrari merita di stare. Ed, inoltre, avendo limiti e non potendo quindi stravolgere la vettura, i miglioramenti sono solo parziali.
Parziali e tali che il motore, pur molto migliorato rispetto a quello esasperante della passata stagione, non è al livello della concorrenza; ma soprattutto che la vettura è una coperta corta: se la rendi competitiva per le qualifiche, soffre in gara; se ti poni l’obiettivo di ottimizzare la configurazione per la domenica, soffri al sabato. Da qui nasce la necessità di equilibrismi tattici e nella condotta di gara, da qui la scelta – altrimenti incomprensibile e gravemente sbagliata – di preferire l’eliminazione in Q2 nel week-end austriaco. Se la SF21 fosse una monoposto migliore, anche di poco, soprattutto più equilibrata nei comportamenti, sarebbe tutto più semplice. Ma non è così e questo testimonia, se ci fosse la necessità di un’ulteriore conferma, che per i tifosi anche quest’anno ci sarà da soffrire.
Oltretutto, i vertici della Scuderia hanno parlato chiaro, salvo ripensamenti. Ha causato molto stupore l’intervista che, nel dopo gara, Binotto ha rilasciato a Sky. La convinzione comune era, fino a quel momento, che gli sforzi del team fossero concentrati sul 2022, ma che si sarebbe perseguito allo stesso tempo l’obiettivo del terzo posto nel campionato dei costruttori, conteso con la McLaren. Domenica pomeriggio, invece, il Team Principal ha dichiarato che l’unico obiettivo è la prossima stagione, con le nuove regole, e che “il nostro obiettivo finale non è il terzo posto costruttori, ma continuare a migliorarci in vista del 2022”. Per carità, nulla di stravolgente, il 2022 è qualcosa di cui si parla ormai da due anni, ma gli obiettivi troppo generici, come il miglioramento a cui fa riferimento Binotto, sono parole vuote. Tra le diverse caratteristiche che un obiettivo deve avere c’è quello della misurabilità, quindi o viene dichiarato cosa significa migliorare o quella dichiarazione profuma di alibi o, peggio ancora, di approssimazione.
Dicevamo che nel 2021 ci sarà da soffrire. Tra due settimane la Formula 1 sbarcherà a Silverstone, inaugurando un format inedito che prevede la sprint race al posto delle qualifiche. E ci sarà da soffrire: nell’ultimo decennio il circuito britannico non è stato particolarmente amico delle Rosse, a parte qualche raro exploit, ed ha caratteristiche che dovrebbero mettere in evidenza le carenze della monoposto di Maranello. Problemi moltiplicati per due, visto che si correrà sia al sabato che alla domenica. L’usura dell’anteriore potrebbe cagionare difficoltà paragonabili a quelle patite in Francia, se verranno fatte scelte di assetto differenti i danni si potranno limitare, ma non ci si possono attendere grandi cose. Sofferenza: un concetto che torna spesso, quasi un mantra masochistico. Ma il mantra principale della Scuderia, il primo comandamento della Ferrari parrebbe essere “rimandiamo”: ogni anno c’è una buona occasione per lasciar perdere la stagione in corsa e rifugiarsi nell’attesa di un auspicato piacere futuro. Col risultato che veniamo da anni di successi sporadici, di poco spessore e di tanti bocconi amari da ingoiare.

Ora il Godot ferrarista è il 2022, con le regole nuove, che fanno ripartire tutti da zero; tutto bello, tutto vero, in teoria è la grande occasione da non perdere. Il punto è che, in questi casi, la chiave di volta del successo è l’interpretazione del regolamento, l’individuazione delle zone grigie che, al più scaltro offriranno un vantaggio da sfruttare. Talvolta è un boost di breve durata, come insegna la Brawn del 2009, che a metà stagione venne raggiunta dai rivali, avendo però accumulato un gap incolmabile che le consentì la vittoria del titolo mondiale; altre volte è un vantaggio che dura nel tempo, come insegna la Mercedes dell’era ibrida. In tutto questo, negli anni del cambiamento, la storia della Ferrari non è mai stata particolarmente esaltante, sono stati sempre anni bui. Se il trend dovesse essere confermato, le aspettative che realisticamente si possono avere per la prossima stagione non sono incoraggianti. Anche perché senza la possibilità di provare in pista, attività su cui a Maranello si era costruito un metodo di lavoro vincente nell’era Schumacher, l’attività si deve concentrare sul simulatore e, in questo caso, dobbiamo affrontare un altro mantra maranellese dell’ultimo decennio: la mancanza di coerenza tra i dati della simulazione ed il comportamento in pista della vettura.
Se interpretazione del regolamento e qualità del simulatore sono chiavi fondamentali del successo nel 2022, e lo sono, sono attività in cui la Ferrari non ha mai brillato. Speriamo che la tradizione non venga confermata, altrimenti il mantra del 2022 sarà “stiamo lavorando per il 2023”.
Ph. Ferrari Media Center ©️