La recente affermazione al Gran Premio di Francia scioglie ogni dubbio sulle capacità del propulsore giapponese. Scopriamo insieme i segreti della sua ritrovata competitività.
Si è parlato molto del potenziale del binomio Red Bull-Honda e se ad inizio stagione qualche interrogativo poteva ancora persistere, allo stato corrente del campionato è già possibile fugare ogni dubbio a riguardo. Il recentissimo risultato ottenuto in Francia, l’ultimo di una positivissima serie di tre successi consecutivi, ha permesso di comprendere, qualora vi fosse ancora il bisogno, quali sono i reali rapporti di forza presenti in griglia, che si presentano con sostanziali mutazioni, rispetto al passato, al termine dell’appuntamento al Paul Ricard.
Nello specifico, è possibile notare il calo di forma complessivo della Mercedes che, con una F1 W12 che è solo in parte figlia della incredibile progenitrice a causa dell’assenza del DAS, deve fare i conti con un retrotreno esuberante e con un problema, quello del surriscaldamento delle mescole, mai davvero eliminato se non attraverso particolari dispositivi come il sistema sopracitato e i tanto discussi cerchi forati visti nel 2018. Unitamente a ciò, vanno segnalati gli errori strategici del muretto ai quali, di contro, si oppongono le eccellenti mosse tattiche di Horner & Co. che, nella straordinaria competitività di Max Verstappen e nella crescente solidità di Sergio Perez, trovano gli alleati ideali.
A parte ciò, però, vi è un elemento centrale attorno al quale ruota tutto l’intero sistema macchina e senza cui, probabilmente, sarebbe stato impossibile parlare di una così evidente competitività e innovatività: il motore Honda RA621H.
Proprio in vista della stagione 2021, il costruttore giapponese ha apportato un gran numero di cambiamenti alla propria Power Unit, modificando in maniera abbastanza estesa quella che è stata l’unità di base utilizzata fino al 2020. Facendo in parte fede ai concetti che, a partire dal 2017, l’hanno traghettata fino a i giorni nostri e secondo una parabola ormai divenuta fortemente ascendente, essa ha portato al massimo dello sviluppo un’unità motrice continuamente aggiornata e migliorata, con consequenziali buoni esiti in pista. Tuttavia, dopo aver esplorato tutte le possibilità attorno alla medesima architettura di base, si è deciso di giocare il tutto per tutto portando al debutto una unità che, più che un’evoluzione della precedente, rappresenta un prodotto quasi completamente inedito.
In particolare, il propulsore nipponico sembra mostrarsi in una veste che porta con se, seppur sotto una luce diversa, i famosi concetti del size zero propugnati agli albori del ritorno in Formula 1 e che vengono, ora, riproposti in una veste persino più estrema di quella appena menzionata e risalente al 2015. Più nel dettaglio, gli ingegneri sono riusciti ad ottenere una riduzione delle dimensioni della testata, resa possibile dal concomitante accorciamento del passo dei cilindri e dall’adozione di un nuovo albero a camme, più compatto e collocato più basso, che comportano una conseguente diminuzione degli ingombri complessivi e un ulteriore abbassamento del baricentro dell’intero gruppo motopropulsore. In più, grazie ad una rivista inclinazione delle valvole, è stato possibile produrre benefici anche sull’alimentazione stessa del motore, che può trarre vantaggio da un flusso d’aria più efficace ed efficiente, migliorando, così, la combustione che avviene all’interno della camera di scoppio, anch’essa di nuovo disegno.
Di contro, occorre sottolineare come, da un punto di vista fisico, un motore a combustione interna più efficiente si traduca in un rendimento termico maggiore e, dunque, in una logica e coerente riduzione del gas incombusto che serve ad alimentare il turbocompressore che, a sua volta, aziona la MGU‑H, con una riduzione di produzione e accumulo di energia elettrica quale effetto collaterale. Tuttavia, Honda pare aver risolto questo problema e, insieme ad esso, appare annullato anche il deficit che caratterizzava l’ERS giapponese, ovvero il sistema di recupero dell’energia, se paragonato a quello utilizzato da Mercedes, anche se l’artificio che ha portato a tale ottenimento resta al momento segreto.
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