Un docile e aggraziato felino dal carattere forte. Questa, la metafora adatta a descrivere in toto la Jaguar XJ220. Linee sinuose e morbide, con superfici che paiono essere state levigate dal vento. Un portento di eleganza e meccanica che ricordiamo per il record di velocità che fece segnare, oramai diversi anni fa, ma che riecheggia ancora oggi!
Un gioiello per pochi intenditori che non indossa solamente un abito elegante, ma che cela al suo interno tanta potenza da far rabbrividire innumerevoli bolidi, storici e recentissimi. Da ferma, si dimostra dinamica da ogni angolazione: per quanto concerne il frontale, spiccano i fari annegati nella carrozzeria. Sotto di essi, una calandra ad ellisse, molto sottile, e due air intakes laterali, pennellate ad arte per raffreddare il motore. Linee che convergono nel posteriore, che contiene i gruppi ottici sormontati da un alettone integrato nel corpo vettura.
Un simbolo colmo di storia, trasposizione su strada di un progetto (XJ13) nato originariamente nel lontano 1966, sotto la supervisione di Jim Randle. A dar vita a tale capolavoro, il Saturday Club. Un nome, una garanzia: questo gruppo era infatti composto da alcuni dipendenti della Jaguar, i quali volontariamente, in orario post-lavorativo, lavoravano a progetti non ufficiali. Il Saturday Club aveva un solo obiettivo: dar vita ad una hypercar futuristica, che fosse in grado di battagliare con le concorrenti del tempo, Ferrari F40 e Porsche 959 in primis, e di replicare le vittorie della XJR9.
Il progetto iniziale venne sottoposto ad alcune importanti revisioni. Inizialmente, per il concept, era stato adottato un propulsore V12 da 6.2 litri, derivato da quello adottato dalle Jaguar nelle competizioni ufficiali, ma che fu presto abbandonato per difficoltà realizzative legate alle normative sulle emissioni, sempre più stringenti. I tecnici Jaguar preferirono dunque adottare un possente ma leggero motore V6 biturbo da 3.5 litri in grado di erogare la bellezza di 550 CV, che permetteva di contenerne il peso e di migliorarne l’equilibrio. Si ottenne, conseguentemente, un handling di tutto rispetto, a vantaggio di manovrabilità e prestazioni.
La base ispirazionale fu, come anticipato inizialmente, la XJ13. Doveva prender forma la Jaguar “that there has never been”. Lo fece sotto le insegne di XJ220. Un nome che alludeva alle sue doti velocistiche in termini di miglie orarie: nel 1993, con Martin Brundle al volante, sul circuito di Nardò, la hypercar britannica raggiunse infatti i 349,4 km/h (equivalenti a circa 220 mph) divenendo di fatto la vettura di serie più veloce al mondo. Per quasi un decennio, inoltre, la XJ220 detenne il record sul giro al Nürburgring, tagliando il traguardo in 7:46.360 e divenendo un punto di riferimento nel settore.
Venne ufficialmente presentata al British Motor Show del 1988, in veste di prototipo. In questa sua prima apparizione pubblica vantava una carrozzeria interamente in alluminio, con portiere ad apertura a forbice, mentre dal punto di vista meccanico poteva contare sulla trazione integrale. Riscosse, ovviamente, un enorme successo: nel 1989 ne viene annunciata la produzione. La variante definitiva si distingueva, rispetto al prototipo, per le portiere ad apertura standard e per la trazione posteriore. Quella integrale era stata infatti sacrificata per risparmiare ulteriore peso.
Nel 1991, il primo stock: erano 220 gli esemplari realizzati, ciascuno dei quali venduto ad un prezzo di circa 220.000 sterline. Tra il 1991 e il 1994, anno in cui cessa la produzione della XJ220, ne vengono costruiti altri 75, per un totale dunque di 275 unità. Il valore di ognuno di essi si aggira oggi sui 600.000 euro.
Storia dell’arte automobilistica britannica.
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