Nel Gran Premio d’apertura del campionato 1967, molte variabili contribuiscono a creare una corsa piena di sorprese, con un protagonista inatteso che sogna la grande impresa.

La Gold­en Age del­la For­mu­la 1. Gli anni Ses­san­ta. Non ci sono i bud­get faraoni­ci, la tec­nolo­gia imper­ante e l’organizzazione per­fet­ta che carat­ter­iz­zano gli even­ti di oggi. Neanche il segui­to dei mezzi d’informazione è parag­o­nabile a quel­lo attuale. Si corre per pas­sione, si corre per la glo­ria, per amore del ris­chio. È un mon­do arti­gianale e, come tale, pieno di pic­cole imper­fezioni che pos­sono dare vita a sto­rie uniche ed irripetibili.

Il 2 Gen­naio 1967 il Cam­pi­ona­to del Mon­do si apre in Sudafrica. È un lunedì, per­ché il giorno pri­ma il pad­dock era rimas­to chiu­so a causa dei fes­teggia­men­ti per il Capo­dan­no. All’epoca le mono­pos­to uti­liz­zate per i pri­mi appun­ta­men­ti del­la nuo­va sta­gione sono quelle dell’anno prece­dente e capi­ta anche che nelle trasferte più com­p­lesse da affrontare, alcu­ni team rin­un­ci­no a parte­ci­pare: ques­ta vol­ta, ad essere assen­ti sono Fer­rari e McLaren. Il mer­ca­to piloti ha vis­to alcu­ni trasfer­i­men­ti impor­tan­ti. Il vice cam­pi­one del mon­do John Sur­tees, è pas­sato dal­la Coop­er alla Hon­da, sos­ti­tu­ito da Pedro Rodriguez. Gra­ham Hill invece si è accasato alla Lotus, dove va a for­mare una sor­ta di Dream Team con Jim Clark.

Il Gran Pre­mio del Sudafrica è alla quar­ta edi­zione. Dopo tre prove dis­pu­tate sul cir­cuito di East Lon­don, il Mon­di­ale si spos­ta a Kyala­mi, nel­la regione di Johan­nes­burg, sul cir­cuito che ospiterà tutte le suc­ces­sive edi­zioni del Gran Pre­mio. Il trac­cia­to è una novità asso­lu­ta ed i piloti pos­sono stu­di­ar­lo solo durante un rapi­do sopral­lu­o­go, pri­ma di infi­lar­si nei loro abita­coli. Come accadrà fino ai pri­mi anni Ottan­ta, ci sono diver­si piloti locali che pren­dono parte alla com­pe­tizione. Tra questi il più impor­tante è John Love, un rhode­siano di Bul­awayo. Love era sta­to una promes­sa dell’automobilismo, quan­do all’inizio degli anni ’60 ave­va cor­so per il team di Ken Tyrrell, nel­la For­mu­la Junior euro­pea. I pos­tu­mi di un inci­dente di gara, in cui ave­va ripor­ta­to serie ferite ad un brac­cio, e impeg­ni di lavoro lo ave­vano spin­to a tornare a casa. Per le corse era rimas­ta la pas­sione, così ave­va parte­ci­pa­to alle prime tre edi­zioni del Gran Pre­mio casalin­go e, nel 1964, si era iscrit­to al Gran Pre­mio d’Italia. Sen­za mai ottenere prestazioni deg­ne di nota.

John decide di iscriver­si anche nell’edizione del 1967, ma le pre­messe non paiono par­ti­co­lar­mente favorevoli. La Coop­er Cli­max che uti­liz­za, viene usa­ta nelle Tas­man Series, le cui gare si ten­gono su dis­tanze più bre­vi rispet­to a quelle pre­viste nel Cam­pi­ona­to del Mon­do e questo gli impone di adat­tarne i ser­ba­toi, per pot­er coprire la dis­tan­za dell’intero Gran Pre­mio. Ci sono anche alcu­ni ele­men­ti che potreb­bero gio­care a suo favore. L’assenza di due team tra i più impor­tan­ti ha il suo peso, i piloti uffi­ciali cor­rono con vet­ture vec­chie, fat­tore che riduce il divario di prestazioni paga­to dal­la Coop­er di Love; inoltre, la vet­tura è più leg­gera e meno potente delle altre mono­pos­to al via e questo potrebbe trasfor­mar­si in un van­tag­gio, nel grande cal­do dell’estate sudafricana: i com­po­nen­ti mec­ca­ni­ci sono meno sol­lecitati e meno esposti a rot­ture. Ma c’è un altro fat­to, appar­ente­mente poco sig­ni­fica­ti­vo, che invece finirà per rive­stire un’importanza stra­or­di­nar­ia: i piloti sudafricani sono gli uni­ci a conoscere bene il cir­cuito. Nelle qual­i­fiche, il team di pro­pri­età del Cam­pi­one del Mon­do, Jack Brab­ham, dom­i­na incon­trasta­to. L’australiano con­quista la pole posi­tion, con mar­gine di oltre mez­zo sec­on­do sul com­pag­no di squadra Denis Hulme. La sec­on­da fila è occu­pa­ta da Jim Clark e Pedro Rodriguez. In terza fila, davan­ti a Sur­tees, John Love sor­prende tut­ti e fa capire che gli assi del­la For­mu­la 1 dovran­no guardar­si da una minac­cia inattesa.

Nel­la notte un nubifra­gio si abbat­te sul cir­cuito e riduce il grip offer­to dall’asfalto. Potrebbe essere il fat­tore deci­si­vo a favore dell’eroe di casa, ma al momen­to del via l’inesperienza e, prob­a­bil­mente, un po’ di ten­sione si fan­no sen­tire: Love parte lenta­mente e si ritro­va dec­i­mo, men­tre in tes­ta Hulme scat­ta più rap­i­da­mente di tut­ti si por­ta al coman­do. L’aderenza, in effet­ti, è defici­taria e fa emerg­ere la scarsa conoscen­za del trac­cia­to: il rit­mo è blan­do e si susseguono gli errori, che cau­sano numerosi tes­ta­co­da. Tra le vet­ture di tes­ta la BRM di Jack­ie Stew­art perde olio e si deve riti­rare. Anche Clark è costret­to ad abban­donare, così il sudafricano risale la clas­si­fi­ca, insieme a Dan Gur­ney. Sono ses­to e set­ti­mo, ma la rimon­ta pros­egue per­ché il cli­ma rovente rende infer­nale la gara di Sur­tees, men­tre Pedro Rodriguez deve ral­lentare per­ché rimane solo con la terza e la quin­ta marcia.

Quan­do siamo qua­si a metà gara, davan­ti ci sono Hulme, in tes­ta, segui­to da Brab­ham e Rindt. Il motore Maserati che equipag­gia la Coop­er dell’austriaco cede improvvisa­mente al cal­do e due giri più tar­di è l’alimentazione del Rep­co mon­ta­to sul­la Brab­ham che costringe il Cam­pi­one del Mon­do ad un vis­toso ral­len­ta­men­to. Love e Gur­ney sono sec­on­do e ter­zo, ma al quar­an­taquat­tres­i­mo giro anche l’americano si arrende per un prob­le­ma alla sospen­sione. Ormai, il sec­on­do pos­to del pilota pri­va­to è un mirag­gio che prende for­ma e sostan­za: il ritar­do dal leader è di oltre un min­u­to, ma Sur­tees e Rodriguez, che lo seguono, sono entram­bi in dif­fi­coltà ed impos­si­bil­i­tati ad attac­car­lo. I giochi sem­bra­no fat­ti, ma non è fini­ta. I freni del­la Brab­ham in tes­ta alla gara com­in­ciano a fare le bizze: il neoze­landese si fer­ma ai box una pri­ma vol­ta, riparte rap­i­da­mente, ma al ses­san­tunes­i­mo pas­sag­gio è costret­to ad un lun­go pit stop, per rab­boc­care il liq­ui­do di raf­fred­da­men­to, e retro­cede al quar­to pos­to. Clam­oroso: a dician­nove giri dal­la fine, John Love si tro­va al coman­do e gli inse­gui­tori impos­si­bil­i­tati ad attac­car­lo. Una sor­pre­sa, un vero e pro­prio mira­co­lo sporti­vo che sta per realizzarsi.

Trop­po bel­lo per essere vero? Si, trop­po bel­lo. A sette giri dal­la fine il motore Cli­max del­la Coop­er com­in­cia ad avere prob­le­mi di pescag­gio, il car­bu­rante scarseg­gia. L’adeguamento dei ser­ba­toi non è sta­to suf­fi­ciente o, più prob­a­bil­mente, è sta­ta deci­si­va la scelta, gen­erosa e roman­ti­ca, di dare pri­ma del­la gara un po’ di car­bu­rante a Jo Sif­fert, che ave­va avu­to prob­le­mi con una pom­pa del riforn­i­men­to. A pre­scindere dal­la causa, il fat­to è che la Coop­er numero 17 non può arrivare al tra­guar­do sen­za fare una sos­ta. Il pilota rhode­siano si fer­ma per rifornire e rien­tra al sec­on­do pos­to, con un ritar­do di trenta sec­on­di dal leader. Pedro Rodriguez ave­va avu­to la meglio su John Sur­tees e lo ave­va stac­ca­to, al pun­to che dal ter­zo pos­to in giù tut­ti han­no almeno un giro di ritar­do. Per Love non c’è tem­po di provare una rimon­ta e quin­di, nonos­tante i prob­le­mi al cam­bio che lo han­no las­ci­a­to con due rap­por­ti per qua­si tut­ta la cor­sa, il mes­si­cano ottiene la sua pri­ma vit­to­ria in car­ri­era. La Coop­er, invece, vince l’ultima gara del­la sua storia.

Ma è la Coop­er sbagli­a­ta. John Love si deve accon­tentare di un inat­te­so sec­on­do pos­to, un risul­ta­to incred­i­bile, ma non si può far altro che pen­sare a quel pri­mo pos­to ormai a por­ta­ta di mano, una vit­to­ria che sarebbe rimas­ta l’unica di un pilota pri­va­to in un Gran Pre­mio di For­mu­la 1. Quel­lo che rimane di ques­ta vicen­da ago­nis­ti­ca, a pre­scindere dal risul­ta­to finale, è il sapore anti­co, di irripetibile e stra­or­di­nario romanticismo.

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