C’è stata un’epoca in cui correre era solo passione. Ogni occasione è buona, anche nei momenti più strani dell’anno. Gran Premi durante le feste di Natale, addirittura a Capodanno. Una festa con un protagonista unico, Jim Clark.
Sul paddock, all’improvviso, scende la quiete. Le riunioni post qualifiche sono terminate, il lavoro nei box concluso. Tutto è pronto per la prima corsa dell’anno. Qualche settimana prima, il campionato è stato deciso al penultimo giro dell’ultima gara ed ora sono tutti pronti a ripartire. Prima di andare a riposare e concentrarsi sul Gran Premio, però, c’è da festeggiare. Almeno un cin-cin nelle hospitality, per brindare al Capodanno e solo a quel punto, smaltiti gli effetti della baldoria, si potrà volgere definitivamente il pensiero al nuovo Campionato del Mondo di Formula 1. Pensare ad una simile eventualità, a maggior ragione dopo questo 2020, fa sorridere. Hamilton, Vettel, Leclerc, Verstappen, Ricciardo, Alonso e compagnia che si danno appuntamento per l’ultimo week-end dell’anno è impensabile; ancor più, che siano pronti i team e l’intera organizzazione della Formula 1. Se qualcuno dei venti protagonisti rinuncia a correre, l’unica spiegazione possono essere problemi di salute.
I campioni degli anni ’60 erano molto meno star. La loro passione, da veri e propri pionieri, dominava su qualunque altra considerazione. Da un lato non si facevano scappare un’occasione per correre, allo stesso tempo, erano esposti ai limiti organizzativi delle loro squadre, il che poteva significare una dolorosa rinuncia. Il Gran Premio di Capodanno non è una fantasia da tifoso in crisi d’astinenza, ma un evento che nella storia si è ripetuto due volte. L’appuntamento per i due Gran Premi è in Sudafrica: la prima volta, nel 1965, si corre sul circuito di East London; tre anni dopo ci si trasferisce nel più noto impianto di Kyalami ed entrambi gli eventi hanno motivo di essere ricordati nella storia della Formula 1.
La gara di East London, ultima corsa della massima serie ad essersi svolta su questo tracciato, si disputa quando sono ancora vive le sensazioni del Campionato 1964. Ha vinto la Ferrari di John Surtees, grazie ad un secondo posto conquistato negli ultimi chilometri della prova conclusiva della stagione, favorito anche dai guai dei rivali. Tra i piloti più importanti solo Richie Ginther cambia squadra passando dalla BRM alla Honda, che però diserta l’appuntamento sudafricano: il pilota statunitense rinvia l’esordio al GP di Monaco, seconda prova stagionale. Il Campione del Mondo Surtees, rimane in Ferrari insieme al compagno Lorenzo Bandini; Jim Clark fa coppia in Lotus con l’inglese Mike Spence, mentre Dan Gurney viene confermato come portacolori della Brabham, insieme al fondatore del team. Bruce McLaren comincia l’ultima stagione in Cooper, poi si dedicherà a tempo pieno alla propria scuderia. Infine, Graham Hill resta alla BRM.

Nel Gran Premio del Messico di poche settimane prima Clark aveva dominato, in testa dal primo fino al penultimo giro, quando si era ritirato per un guasto meccanico perdendo un titolo che ormai era nelle sue mani. Lo scozzese e la sua Lotus Climax 33 hanno fame di rivincita e nelle qualifiche dettano legge, rifilando nove decimi di secondo al campione in carica ed abbattendo per la prima volta il limite delle 100 miglia orarie di media sul giro (161 km/h). Il Gran Premio non fa che confermare le impressioni delle prove: la Lotus numero 5 parte benissimo, si lascia alle spalle il gruppo e non si dovrà più curare di quello che accade nelle posizioni di rincalzo. Il dominio delle vetture di Chapman è confermato da Spence, agile secondo. Il britannico, però, si gira due volte nella seconda metà della gara, finendo per essere raggiunto e superato da Surtees che, alla fine, chiude secondo in volata su Graham Hill.
È una gara comoda per Clark, al punto che il rischio più grande per lo scozzese è causato dalla direzione di corsa, che sventola la bandiera a scacchi con un giro d’anticipo. Trappola evitata e sesto Grand Chelem della carriera: pole, vittoria, tutta la gara al primo posto e giro più veloce. I motivi per cui questo Gran Premio è degno di menzione, però, non sono relativi al dominio dello scozzese, ma a due importantissimi esordi.
Sulla Brabham di Dan Gurney, vengono montati per la prima volta degli pneumatici Goodyear. Da quel giorno fino al Gran Premio del Giappone 1998 la casa di Akron collezionerà 493 partecipazioni, 368 vittorie, 358 pole position e 361 giri più veloci. Sulla BRM, proprio ad East London esordisce un altro scozzese, giovane e talentuoso: in prova, si qualifica undicesimo con un distacco di tre secondi da Clark, in gara conclude sesto andando immediatamente a punti. È un pilota che farà la storia della massima serie, il suo nome: Jackie Stewart.

Nel 1968 le premesse sono completamente diverse. Il mercato piloti è stato molto vivace: il Campione del Mondo Denis Hulme ha firmato per la McLaren e viene sostituito in Brabham da Jochen Rindt. La Ferrari affianca il belga Jacky Ickx al confermato Chris Amon, mentre Pedro Rodriguez raggiunge Mike Spence alla BRM. La scuderia britannica deve sostituire Stewart che fa coppia con Jean-Pierre Beltoise all’esordiente Matra, protagonista negli anni successivi come Tyrrell. L’unico team che mantiene la coppia dell’anno precedente è la Lotus, che si affida alla collaudata coppia Clark-Hill.
Le difficoltà di questo appuntamento sono notevoli. Problemi nel trasporto del materiale affliggono molti team e, per fortuna, si è stabilito di correre al lunedì; inoltre, l’estate sudafricana è caldissima: il giorno della gara la pista arriva a toccare i 54° e questa situazione crea gravi problemi alle vetture. La Lotus è favorita, ma è una delle principali indiziate a soffrire per il caldo, che si sospetta possa nuocere all’affidabilità delle vetture di Colin Chapman. In realtà, le monoposto inglesi non sembrano curarsene troppo: Jim Clark si assicura la pole position e Graham Hill si issa al secondo posto, anche se il divario tra i due è di un secondo pieno. A partire in prima fila, di fianco a loro, sarà la Matra di Stewart, mentre la seconda fila è interamente Brabham.

Al via è proprio Stewart ad avere lo spunto migliore e sorprende le Lotus. La Matra conduce per tutto il primo giro, ma proprio all’inizio del secondo passaggio Clark approfitta della velocità della sua monoposto e con una staccata spregiudicata alla Curva Crowthorne prende il comando. Graham Hill, partito molto male, riesce a recuperare terreno grazie ad un ritmo molto elevato e riesce a conquistare il secondo posto al ventottesimo giro. La lotta con Jackie Stewart è tiratissima, ma quindici tornate più tardi la Matra si ferma per problemi ad una biella. Clark vola, imprendibile, la doppietta della Lotus non è in discussione, solo Jochen Rindt chiude a pochi secondi da Hill, mentre Amon e Hulme chiudono quarto e quinto a due giri da vincitore e Beltoise sesto con tre tornate di ritardo. Solo la partenza sprint di Stewart toglie a Clark il nono Grand Chelem della carriera. In attesa dell’esordio europeo di Monaco, Jim corre ad Hockenheim una gara di Formula 2. È il 7 Aprile 1968 ed è la sua ultima corsa; quello di Capodanno resta il suo ultimo Gran Premio di Formula 1. Una vittoria mai in discussione, sulla sua Lotus verde-gialla e, per la cronaca, è l’ultima gara anche per lei: proprio a Monte-Carlo, Colin Chapman introduce lo sponsor Gold Leaf e colora di rosso e oro le sue monoposoto. Quello tra Clark e la Lotus è un sodalizio che del dominio ha fatto una regola, come dimostrano i moltissimi record individuali che in quel momento detiene. L’unico che ancora oggi resiste, a cinquantatre anni di distanza, ne è il simbolo. Con otto Grand Chelem, Jim Clark è ancora oggi il recordman dei dominatori, perfetto sigillo ad una carriera straordinaria.
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