Un amore tormentato con la Rossa, un poker di mondiali, la speranza di una rinascita e tanta, ma tanta, superstizione: questa è la storia di Sebastian Vettel.
Nel suo palmares spicca un quadrifoglio di mondiali, uno di seguito all’altro. È il più giovane pilota nella storia ad essere diventato un Campione, a 23 anni. Dal 2010 al 2013 è lui la punta di diamante del toro volante diretto da Christian Horner, poi l’addio a fine 2014, anno che segna il suo passaggio alla Rossa di Maranello.
La Scuderia Ferrari in Sebastian Vettel investe moltissimo, in lui ripone il sogno di rivedere il Cavallino Rampante in cima al mondo, come una volta. Troppo il tempo trascorso dall’ultimo lumino iridato di Kimi Raikkonen nel 2007. Il mito di Schumacher e il nuovo arrivo tedesco rappresentano un’analogia e un binomio che alimenta speranze anche nelle menti dei tifosi, che negli occhi di Seb, dicono, rivedono quella stessa luce. La sfida di Seb non è delle più semplici, soprattutto quando il rivale da battere si chiama Mercedes, o meglio, Lewis Hamilton.
Uomini così diversi, entrambi però con lo sguardo volto nella stessa direzione. Uno non è che l’antitesi dell’altro. Sebastian è un ragazzo emotivo, molto riservato, per nulla eccentrico o esibizionista, ed è molto, molto superstizioso. Aveva dichiarato di essere sopravvissuto all’incidente occorsogli nel 2011, durante la prima sessione di prove libere del Gran Premio di Turchia, grazie ad “un amuleto turco” disegnato di suo pugno sul casco. Nelle sue scarpette da pilota non manca mai l’immaginetta di San Cristoforo, il patrono degli automobilisti; a bordo, porta sempre con sé una moneta da un centesimo, una da un penny e una da un dollaro trovate casualmente nel 2007 prima della gara negli Stati Uniti, nonché suo Gran Premio d’esordio in Formula 1.
Sebastian è la rappresentazione tipica del “bravo ragazzo”. Protegge la sua vita privata, per questo non è iscritto ad alcun canale social, non gli interessa. La sua compagna di vita e madre dei suoi figli Hanna è la stessa dagli anni della scuola; ogni volta che torna a casa dalle corse ama trascorrere il tempo libero nel suo garage, ad ammirare le sue auto d’epoca, a montare e smontare, a perfezionare le sue moto.
A fine carriera, potrebbe diventare un perfetto esperto di storia della Formula 1: sa tutto, ogni dettaglio, ogni data, ogni statistica. Ma non per mania, per pura passione. Seb, in questo, è uno di noi. Compra libri anche rari, legge, si documenta, studia vicende remote e recenti, analizza epoche ed episodi. La competizione gli scorre nelle vene sin da quando è un ragazzino, seppure spesso, non abbia agito a suo favore. Come in una qualifica nel 2004, quando decide di compiere un giro dopo aver preso la bandiera a scacchi solo perché non gli andava bene che il suo compagno di squadra gli avesse soffiato la pole. Il risultato? Una bella multa. E la storia che ha scritto in Formula 1 sino ad oggi, ha messo in mostra svariate volte quanto in lui prevalgano l’istinto e la cattiveria agonistica.
La prima magia di Vettel veste il tricolore: sotto la pioggia di Monza, nel 2008, anche grazie alle scelte condivise con il suo direttore tecnico, l’ing.Ascanelli, porta la Toro Rosso sul gradino più alto del podio dopo una gara perfetta, senza sbavature, senza problemi. È autore di un’impresa ai limiti dell’epico. Non solo perché regala il primo successo storico alla scuderia di Faenza motorizzata Ferrari, ma anche perché nella sfida per la corona in cui i duellanti erano Massa ed Hamilton, quel giorno, è lui a prevalere.
Il sabato conquista la pole e la domenica parte dietro la safety car. Nel Tempio della Velocità la danza dei grandi nuvoloni d’acqua non lo intimorisce, dopo aver resistito alla minacciosa McLaren di Kovalainen mantiene la testa della corsa; intanto, nelle retrovie, l’altra McLaren di Hamilton inizia una rimonta che gli permette di insediare il leader, ma senza successo: dopo il rifornimento che lo vedeva in seconda posizione, termina sesto a causa di una pista che, pian piano, comincia ad asciugarsi. Dietro di lui, uno spento Massa in rosso.
E così, il 14 settembre 2008, l’albo della Formula 1 segnava quello che, fino al Gran Premio di Spagna del 2016, sarebbe risultato il più giovane vincitore della storia. Sul podio, l’ascolto prima dell’inno tedesco e di quello italiano poi, faceva trapelare una certa nostalgia. È da quel momento, forse, che nasce il dito indice vittorioso, temuto finché mostrato in Red Bull, più che mai desiderato dal tifo del Cavallino e da lui stesso fino alla sua ultima corsa in Ferrari.
Nessuno poteva immaginare, per quanto fosse già ben noto il suo talento, che quel biondino dalla faccia pulita e dal sorriso stampato avrebbe primeggiato nel piovoso fine-settimana lombardo. Forse nemmeno lui. E se si pensa a come poi si sia fatto spazio dell’Olimpo dei Campioni rimane solo un’osservazione possibile: i sogni non sono destinati a stare chiusi nei loro cassetti, prima o poi vengono liberati per essere inseguiti. Ci vuole pazienza per stargli dietro e possono sfuggirci, ma possono essere ripresi anche quando sembrano già lontani.
Seb, non è mai troppo tardi per crederci ancora.
Ph: www.motorsport.com