Un titolo mondiale, conquistato nel 2016, che nasconde tanta fatica. Un traguardo che lo porta, qualche giorno dopo, a dire “basta”, senza rimpianti. Come il papà, ha aggiunto il suo cognome nell’albo d’oro dei Campioni: questa è la storia di Nico Rosberg, l’ultimo dei trentatré iridati in settant’anni di Formula 1.
16 luglio 2017. Siamo alla vigilia del Gran Premio di Gran Bretagna. In questo giorno, Londra è protagonista di un grande concerto-evento per celebrare l’arrivo della Formula 1 in Inghilterra. Tra i vari artisti che si esibiscono c’è anche Tom Grennan, un ragazzotto dall’aria decisamente british, che con una camminata un po’ goffa e po’ decisa occupa il centro del palco. Improvvisamente l’atmosfera cambia, gli applausi diventano silenzio. Tom inizia ad intonare la sua “All goes wrong”, un suggestivo inno dei combattenti tra fuoco e drammi.
Mentre la sua voce è l’unica compagnia dei tasti di un pianoforte, sullo sfondo, un maxischermo inizia a proiettare immagini del presente e del passato della Formula 1. D’un tratto sono i team radio dei piloti a sostituire le parole di Tom. E tra questi, uno faceva così: “Baby, we did it!!!! Baby, we did it!!!”.
Era Nico Rosberg ad Abu Dhabi, il Gran Premio che lo avrebbe incoronato Campione nel 2016. Le sue grida di gioia dedicate alla moglie Vivian, non solo sono state pronunciate al termine di una corsa ai limiti della massima concentrazione e dello stress, ma sono una chiusa perfetta di un campionato botta e risposta, gomito a gomito, con Lewis Hamilton. Sembrano state, col senno del poi, il suo modo per dire addio alla Formula 1, che non ha nemmeno il tempo di celebrarlo a dovere che pochi giorni dopo, il 2 Dicembre, Nico annuncia il suo ritiro. Una decisione presente nella sua testa già alla firma dell’ultimo rinnovo con Mercedes, ma di cui farà parola solo molti mesi più tardi.
Sotto il cielo stellato di Abu Dhabi, a gara finita, chi vedeva Nico Rosberg aggirarsi nel paddock aveva l’impressione che fosse invecchiato di almeno dieci anni. Lui stesso, quella notte iridata, l’ha definita come un insieme di sensazioni sgradevoli e molto intense mai provate prima. E anche per questo, dopo i burnout, i fuochi d’artificio e la festa ai box di rito, capisce che nella sua vita era giunto il momento di dare spazio ad altro. Poi, mai come in quel 2016 aveva messo a dura prova la sua forza mentale: doveva battere Lewis, suo eterno rivale da 18 anni, sin dal tempo dei kart; tenere a bada Verstappen, la nuova minaccia agonistica, e non perdere mai e poi mai la concentrazione. Vincere è stato faticoso, ma ce l’ha fatta. Una zavorra di sogni finalmente realizzati.
Come suo padre, Campione in quel pazzo ’82. Keke, che aveva seguito la corsa da un amico a Dubai, finalmente raggiunge suo figlio dopo la conferenza stampa. La prima notte da Campione, Rosberg Junior la festeggia con gli amici e Vivian all’Amber Louge, una discoteca allestita fuori dal circuito. Il mattino seguente, prima di partire alla volta di Kuala Lumpur dove con Toto Wolff sono attesi alla Petronas per celebrare il titolo, decide di togliersi il peso della sua decisione, prima dicendolo alla moglie, poi a Keke e al suo segretario. L’impegno che lo attende dura poco più di un giorno. Una toccata e fuga in cui Nico mantiene il suo segreto. Lo confesserà a Toto per telefono, solo a viaggio finito, il giorno prima della cerimonia di premiazione della Fia, a Vienna.
La capitale austriaca segna la sua abdicazione. Come un vero sovrano, lo fa immerso nello splendore del palazzo di Hofburg, tra seta bordeaux e stucchi dorati, durante la conferenza stampa dedicata al suo titolo. Con un maglioncino grigio Mercedes e un volto più rilassato che mai, fa il suo pubblico annuncio. L’apoteosi coincideva con l’addio. Da quando aveva sei anni il suo unico obiettivo nella vita era diventare Campione del Mondo. E da quel 27 Novembre, sentiva di aver portato a termine la sua missione, di essere riuscito a prevalere sul mostruoso Hamilton dopo anni e anni di tentativi e dure lotte, di aver portato un secondo titolo in famiglia. Inoltre, è anche il primo pilota tedesco a vincere un mondiale con una vettura tedesca. Insomma, aveva raggiunto la cima della montagna e riteneva giusto non andare oltre. E lo fa con classe, con quella che lo ha sempre contraddistinto. Fine, ben istruito, un bravo padre, elegante, non solo per lo stile: l’ultimo gentleman della Formula 1.
Altri campioni prima di lui hanno scelto di appendere il casco al chiodo, ma in pochi possono dire di averlo fatto per il volontario piacere e la totale serenità di ricominciare una nuova vita lontano dai motori.
Ph: www.motorsport.com