Tra le scelte che la Formula 1 è chiamata a compiere nel futuro prossimo, vi è la fondamentale selezione dei circuiti dove gareggiare. La questione è riducibile ad una semplice domanda: riuscirà Liberty Media a trovare un compromesso adeguato che permetta di non abbandonare la storia senza rinunciare al futuro?
Con sole tre gare rimanenti ed entrambi i titoli iridati già assegnati, al mondo della Formula 1 non resta che interrogarsi sul futuro prossimo. Nonostante metà schieramento sia ancora in piena lotta per posizioni tutto sommato di rilievo, piloti e addetti ai lavori hanno parlato, a più riprese, del calendario 2021 e delle sfide che attendono la massima categoria e con essa Stefano Domenicali, prossimo presidente della massima serie, che avrà il compito di riportare la categoria regina del Motorsport ai fasti di un tempo. La stagione più confusa e turbolenta della storia ha, se non altro, avuto il merito di mostrare come i circuiti storici, ormai oscurati da esotiche mete, siano un campo da gioco non solo apprezzato dai piloti, ma anche in grado di regalare ad uno sport in declino quel mordente che pare mancare ormai da anni.
Dominio Mercedes escluso, che non è certo una variabile di poco conto, fine settimana come Imola, Nurb e Portimao hanno fatto riaffiorare nella mente del tifoso emozioni ormai sopite. Sali e scendi vertiginosi, sinuose varianti e lingue d’asfalto che seguono la topografia di valli e colline attraversando boschi e percorrendo curve ormai leggendarie, hanno saputo emozionare tifosi e piloti stufi di enormi “parcheggi adibiti a circuito” che, seppur magistralmente disegnati, non riescono a far scoccare la scintilla della passione. La Formula 1 moderna non può non sottostare ad evidenti interessi politico-economici che, dal canto loro, le permettono di essere ciò che oggi è diventata, finanziando gli sviluppi che la pongono al vertice dell’innovazione tecnologica motoristica. Tuttavia, spesso, per andare avanti bisogna prima fare un passo indietro e chissà che quel passo non possa consistere nel trovare un equilibrio tra moderno e romantico, tra l’emozione dei muri della città vecchia di Baku e i ricordi che solo la curva del Tamburello può e sa evocare. Non è solo romanticismo, non è solo nostalgia di un passato che è tale e non può tornare. Parlano numeri, immagini e dichiarazioni. Circuiti pensati per monoposto più piccole e agili hanno dimostrato come la tanto discussa assenza di sorpassi, problema che ha visto costosi espedienti e poche soluzioni, può passare in secondo piano quando sono ghiaia e complessità di una curva a far la differenza e tenere incollato lo spettatore alla TV. Ma è anche la tradizione motoristica di alcuni Paesi che può dare la scossa ad un Circus che invece si appresta a raggiungere Nazioni che, per cultura e abitudine, poco possono offrire ad un calendario che, nell’ultimo decennio, difficilmente aveva saputo regalare così tante emozioni nonostante, scusate la ripetizione, un esito sportivo scontato dal primo Gran Premio. Liberty Media ha sicuramente un business plan che implica determinate destinazioni e alcuni compromessi sono necessari, ma la stagione 2020 ha mostrato come la favola dello sviluppo del brand in Vietnam, su cui tra l’altro sono più i dubbi che le certezze, perda sul campo il confronto con la passione europea per i motori.
Se tutto questo non bastasse, iniziano ad essere in tanti a storcere il muso di fronte alla calendarizzazione di circuiti in regioni che vivono realtà profondamente disturbate da conflitti e totalitarismi e si pongono in netto contrasto con i valori che la Formula 1 sostiene di voler veicolare. Se “We Race as One” non è solo un motto, se inginocchiarsi in griglia non è solo un gesto, se dipingere color arcobaleno loghi e spot non è solo propaganda politically correct allora, forse, quel passo indietro verso la tradizione, la passione e il romanticismo non è poi così impossibile.