Due titoli mondiali, nel 1998 e nel 1999, vinti al volante di un’invincibile McLaren contro un Michael Schumacher e una Ferrari agli albori di un’era di dominio. Lui è Mika Hakkinen, il pilota finlandese più vincente nella storia della Formula 1.

Per le corse, ha dato tut­to e fat­to tut­to. Dall’età di cinque anni, quan­do gli regalarono il pri­mo kart del­la sua vita, Mika Hakki­nen le ama­va più di qual­si­asi altra cosa e, a loro, ded­i­ca­va un’attenzione mani­a­cale. Per amore, si sa, si fa il pos­si­bile e si cer­ca l’impossibile. Si cam­bia, se nec­es­sario. E Mika, per la sua pas­sione, ave­va persi­no cam­bi­a­to il carat­tere. Da bam­bi­no era una vera peste, l’incubo di ogni gen­i­tore. Poi, da trot­to­la impazz­i­ta, diven­ta un ado­les­cente chiu­so e tac­i­turno. Una fase, in cui è anche il suo bell’aspetto a risen­tirne: si sta­va trasfor­man­do in una sor­ta di Kurt Cobain dei motori, per via di quei capel­li lunghi e poco puli­ti sem­pre davan­ti agli occhi e quei vesti­ti trasandati.

Mika sem­bra un ragaz­zo triste. Esce poco, non fre­quen­ta ami­ci e, le poche volte che par­la, lo fa esclu­si­va­mente di corse e mac­chine. Le ama così tan­to che, quan­do nel 1991 arri­va nel­la Lotus del­la For­mu­la 1, accetta di indos­sare le scarpe da gin­nas­ti­ca con il piom­bo mes­so dai mec­ca­ni­ci del­la scud­e­ria che, si vocif­er­a­va, era­no i più tremen­di di tut­ti. Per quan­to sia ben pre­dis­pos­to all’essere pilota, non si può dire lo sia altret­tan­to per i rap­por­ti umani per­ché non comu­ni­ca, nem­meno coi com­pag­ni di squadra.

In realtà, in molti han­no col­le­ga­to ques­ta chiusura con la timidez­za, che con le donne non diminui­va. Anzi. Mika ha trent’anni quan­do deve girare uno spot per la Mer­cedes insieme ad Erjia, una bel­lis­si­ma model­la conosci­u­ta alcu­ni anni pri­ma. A fine riprese, lo obbligano di andare a chia­mare la ragaz­za in stan­za per­ché era in ritar­do per la cena in alber­go. Bus­sa alla por­ta, e dinanzi a lui tro­va Erja vesti­ta solo dell’asciugamano.

La sposerà nel­la pri­mav­era del ’98, un anno che a novem­bre, tro­verà una chiosa per­fet­ta con il tito­lo irida­to. Lei, rap­p­re­sen­ta il lato sociale e sociev­ole che Mika, fino a quel momen­to, non ave­va mai avu­to. Diven­ta alle­gro e perfi­no chi­ac­chierone. Erja gli ricor­da gli impeg­ni di ogni giorno, lo affi­an­ca nei momen­ti feli­ci e non, ottiene persi­no l’approvazione di Ron Den­nis, che non sem­pre era favorev­ole alla pre­sen­za di mogli o fidan­zate ai box.

In pista, Hakki­nen è veloce, è aggres­si­vo ma mai scor­ret­to. La sua figu­ra è imman­ca­bil­mente affi­an­ca­ta a quel­la di Michael Schu­mach­er, con cui ci ha reso spet­ta­tori di duel­li mon­di­ali spet­ta­co­lari. Ma, pri­ma di questo, bisogna fare un pas­so indi­etro. Nel 1995, ad Ade­laide, Schu­mach­er e la Benet­ton sono già Cam­pi­oni del Mon­do. È l’ultima gara con il sis­tema delle qual­i­fiche doppie e, la pri­ma ses­sione, è teatro del dram­ma. Durante un giro cronome­tra­to, Hakki­nen fora pro­prio men­tre sta giun­gen­do pres­so una delle curve più veloci del trac­cia­to, che con­duce al lun­go ret­ti­li­neo di ritorno. Qui, nei pres­si del­la cur­va Malt­house, il fin­lan­dese perde il con­trol­lo del­la sua McLaren, andan­do a sbat­tere con­tro le gomme ai lati del­la pista. La sua tes­ta scuote vio­len­te­mente. Il pilota perde i sen­si ed entra in coma, ma se la caverà. Da quel momen­to, per Hakki­nen inizia una sec­on­da vita, in cui il suo amore per le corse si dimostra più forte del­la pau­ra. Dopo un lun­go inver­no fat­to di riabil­i­tazione e gin­nas­ti­ca, annun­cia il suo ritorno su una mono­pos­to di For­mu­la 1, pre­vis­to per la pri­ma gara del cam­pi­ona­to 1996.

Cir­conda­to da un vela­to scetti­cis­mo, preg­no del­la con­vinzione che il fin­lan­dese non sarebbe mai potu­to tornare quel­lo di pri­ma, Mika spi­az­za tut­ti infi­lan­dosi nel­la sua McLaren come se l’avesse gui­da­ta il giorno pri­ma. In una cosa, però, gli scetti­ci non avreb­bero sbaglia­to: non sarebbe più sta­to quel­lo di pri­ma. Per­ché cura con più atten­zione ogni det­taglio, diven­ta meti­coloso, più cini­co; l’allegria cede nuo­va­mente spazio al silen­zio e al gelo delle sue orig­i­ni. Muta nel carat­tere ma non nel tal­en­to, che gli con­sen­tirà di diventare due volte Cam­pi­one con­sec­u­ti­va­mente. Che lo con­sacr­erà come il fin­lan­dese più vin­cente di sem­pre.

Un pilota gen­tilu­o­mo, in gra­do di tenere tes­ta al suo più grande e uni­co avver­sario. E la vit­to­ria, quan­do è suda­ta, è anco­ra più bel­la e indi­men­ti­ca­bile. Tant’è, che alla doman­da “Quali sono sta­ti i momen­ti più bel­li del­la tua car­ri­era?” lui ha sem­pre rispos­to “quel­li in cui vede­vo Schu­mach­er negli spec­chi­et­ti retrovisori”.

 

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