Il 1997 è l’anno di Jacques Villeneuve. Campione del Mondo con la Williams, pur di coltivare la sua passione a motori, da piccolo stringe un patto con mamma Joanna: “Se prendi bei voti in matematica, potrai diventare un pilota…”
Jacques Villeneuve è diretto, senza filtri: dice quello che veramente pensa. Commenta le gare di Formula 1 in tv e i suoi pubblici giudizi sono a volte pungenti, ma almeno sai che quando parla è sincero.
Per molti della stessa generazione di mio padre, Jacques è sempre stato il figlio di Gilles Villeneuve, un pilota entrato nella leggenda delle corse e nel cuore dei tifosi pur vincendo solo sei Gran Premi iridati. Forse per questo motivo, per rispetto nei confronti di Gilles, quelle volte che ha avuto occasione di parlargli, si è rivolto a lui con l’affetto che si ha per un nipote prediletto, dispensandogli spontaneamente delle raccomandazioni, di cui certamente non aveva bisogno.
Nel 2009 gli confidò che voleva rientrare in Formula 1, che quelle monoposto gli piacevano molto e, allo scopo, aveva iniziato a sondare il terreno. Mio padre gli disse di lasciar perdere, che Campione del Mondo lo era già, e di pensare soprattutto a sua mamma, che un’altra preoccupazione così grande l’avrebbe volentieri evitata. Jacques non rientrò più in Formula 1, ma nella vita ha fatto ciò che più desiderava.
Amante della musica, ha persino costruito un’attrezzatissima, e costosissima, sala d’incisione.
È sempre stato molto determinato. Cosa poteva fare Joanna quando suo figlio, nemmeno due anni dopo la scomparsa di Gilles, le rivelava che nella vita voleva fare il pilota? Jacques aveva 13 anni e sua mamma gli prometteva che l’avrebbe portato su una pista di kart se a scuola fosse riuscito a prendere bei voti in matematica, materia nella quale suo figlio andava proprio male.
Problema risolto, credeva Joanna.
Invece il piccolo e caparbio Villeneuve si metteva a studiare matematica al pari di uno scienziato folle e, contro ogni pronostico materno, riusciva nell’impresa. Quindi inizia a pretendere dalla mamma di mantenere la promessa e, dopo quasi un anno di “sfiancamento”, finalmente sale su un kart, ad Imola. I proprietari della pista rimanevano impressionati dal piccolo canadese, che lo stesso giorno passava con disinvoltura dal kart 100, al 135, sino alla Formula 4.
Quando Joanna e i suoi figli ritornano in Québec, Jacques Sr. – fratello di Gilles e pilota di Formula CART – iscrive suo nipote alla rinomata scuola piloti di Jim Russell. A fine corso, l’istruttore dichiara che Jacques era stato il migliore allievo che avesse mai avuto. Però, a 17 anni, Villeneuve era troppo giovane per ottenere una licenza da corsa sia in Canada che in Italia. La ottenne dal Principato di Andorra. Promettendo a sua mamma di non creargli alcun genere di problema, ebbe il permesso di tornare a vivere a Monte-Carlo.
In Italia, il nome Villeneuve faceva ancora accapponare la pelle. Così, nel 1988, con l’aiuto di Autosprint (che lo aveva sempre seguito) e della Salerno Corse, Jacques partecipa con una A.R. 33 Gruppo N ad alcune gare dell’Alfa Cup, categoria nella quale correvano piloti come Johnny Cecotto e Mauro Baldi.
Inizia così la sua carriera, che nonostante qualche parentesi negativa che ne rafforzerà ancor di più il carattere, lo condurrà alle porte della Triple Crown.
I primi tempi, Jacques usa un casco identico nei colori a quello di suo padre. In seguito, decide di cambiarli.
Un giorno, mio padre mi racconta un aneddoto a riguardo. Un giorno del lontano 1979. Jody Scheckter, compagno di squadra e amico di Gilles, provava la sua Ferrari da Gran Premio. I Villeneuve raggiunsero il circuito e, durante una pausa, Gilles infilò il piccolo Jacques nell’abitacolo della monoposto.
Con l’entusiasmo alle stelle, il bambino impugnò subito il volante. Accanto a Gilles, lì vicino, c’era Melanie e, un po’ indietro, Joanna, che quel giorno indossava una camicetta a larghe bande orizzontali. Qualcuno scattò delle foto. I colori che Jacques aveva scelto per il suo casco erano gli stessi di quella camicetta che, in quel momento di gioia e di sogni ad occhi aperti, indossava sua madre.