I numeri apparentemente incoronano Lewis Hamilton, in modo indiscutibile. Apparentemente appunto. La storia tuttavia offre numerosi spunti di riflessioni e statistiche, capaci di consegnarci un Ayrton Senna ed un Michael Schumacher che in pochi ricordano. Abbiamo voluto affrontare la spinosa questione che infiamma i social in modo approfondito, offrendovi una dettagliata e scientifica analisi storico-numerica. Il risultato? Esattamente quello che ci aspettavamo.
Novantadue vittorie, il record di Michael Schumacher prima eguagliato e poi battuto. Novantasette pole position, con il tedesco ed Ayrton Senna ormai lontani a completare il podio dei fenomeni da qualifica. Ormai, prossimo alla conquista del settimo titolo mondiale, che lo proietterà ai vertici statistici della Formula 1 sotto tutti i punti di vista. Tanti altri record, alcuni realizzati solo da lui.
Se ci limitiamo ad un elenco di numeri, Lewis Hamilton è indiscutibilmente il più grande pilota che abbia mai corso nella massima serie automobilistica, mentre non sono altrettanto univoche le opinioni di addetti ai lavori, di piloti che hanno fatto la storia di questo sport, ma anche dei semplici tifosi. Ne scaturisce una discussione molto accesa, di cui è ottimo esempio il sondaggio lanciato da Hammer Time nei giorni successivi al Gran Premio dell’Eifel: il Kaiser, anche grazie all’amore tuttora calorosissimo dei tifosi Ferrari, prevale con oltre mille preferenze, Magic ne ha 413, The Hammer solamente 79. Nei termini in cui viene abitualmente la questione, voler stabilire chi è il più grande di sempre è sterile e noioso. A maggior ragione, se le motivazioni che supportano una candidatura sono statistiche parziali ed analizzate superficialmente, la questione diventa un battibecco tra tifosi.
In uno sport in cui anche i confronti tra i diversi protagonisti sono resi difficili dalla presenza di un parametro molto importante, come la qualità della monoposto che guidano, i confronti tra epoche così diverse diventa davvero impossibile, anche se Michael ha incrociato in pista Ayrton, ad inizio carriera, e Lewis prima di ritirarsi. Non si può affermare con certezza chi di loro sia stato meglio, si può solo dire che Senna, Schumacher ed Hamilton sono parte dell’esclusiva élite che ha fatto la storia di questo sport, i più grandi delle rispettive epoche: da Fangio a Clark, da Graham Hill a Stewart, da Lauda a Prost. Diventa molto interessante, invece, procedere ad un’analisi più articolata ed approfondita. Senza voler trovare la formula magica, quella che mette rigorosamente in fila i piloti più vincenti della storia della massima serie automobilistica, ma con l’obiettivo di meglio contestualizzare le cose, di offrire qualche spunto di riflessione in più, di far conoscere meglio fenomeni del volante le cui gesta si stanno ormai allontanando nel tempo.

Dunque. Ayrton, Michael e Lewis. Loro tre, perché sui più antichi campioni della Formula 1 non è elementare trovare informazioni approfondite ed affidabili, ed il compito è ancor più arduo, perché non li ho visti correre. Ho assistito alle imprese di Niki Lauda ed Alain Prost, è vero, ma i fuoriclasse che accendono la fantasia e le discussioni degli appassionati sono sempre loro: Hamilton per ciò che sta realizzando, Schumacher e Senna perché sono i piloti che prima di lui detenevano, ed in alcuni casi detengono ancora, i record più importanti.
Prima di entrare nel vivo dell’analisi, è necessario affrontare alcune questioni di tipo metodologico, con cui si è cercato di rendere più omogenei possibile i dati disponibili e le carriere dei tre protagonisti. Le epoche che hanno segnato con la loro presenza, le stagioni in cui hanno corso, le vetture che hanno guidato sono variabili che possono distorcere i risultati dell’analisi.
Per quanto riguarda le edizioni del Mondiale in cui hanno corso, non possiamo dimenticare che Senna ha corso solo tre Gran Premi nel 1994, che Schumacher ne ha corsi sei nel 1991, quando esordì, e dieci nel 1999, quando si ruppe la gamba a Silverstone. Nel caso del campione tedesco si pone anche il problema della “seconda carriera”, gli anni dal 2010 al 2012. Quelle tre stagioni nel team Mercedes, un team che rientrava in Formula 1 dopo decenni di assenza, nascono con presupposti ben diversi da quelli che avevano caratterizzato la sua prima carriera, in Benetton e Ferrari. Era chiaro allora, ed è ancor più chiaro oggi: dopo tre anni di lontananza, l’obiettivo di Michael non era quello di vincere gare e titoli, di essere il migliore. Sarebbe stato molto diverso se si fosse accomodato nell’abitacolo della Ferrari a far concorrenza a Fernando Alonso, o in quello della Red Bull ad agitare i sogni del suo fan Sebastian Vettel o, ancora, avesse firmato per la McLaren di Hamilton: Mercedes, all’epoca, non era in grado di competere con questi team.

Nell’ottica delle analisi che ho compiuto, le stagioni parziali disputate da Senna e Schumacher e il triennio in Mercedes del tedesco distorcono i dati, quindi non sono state considerate. Nel caso di Hamilton, non esistono situazioni assimilabili a quelle appena esposte, quindi, nel suo caso l’analisi si estende a tutte le stagioni che ha disputato.
Ho già ricordato che, nella carriera di un pilota, il mezzo che guida è fondamentale. È vero anche che i migliori piloti finiscono per guidare le auto migliori. È più corretto dire, in realtà, che finiscono per guidare nei team migliori, e non sempre questi team mettono in pista la vettura più performante del lotto (il 2009, con la Brawn GP ne è un esempio lampante). Per dare il giusto peso ai risultati di una carriera, è necessario capire il tipo di mezzo che di volta in volta un pilota ha a disposizione e comprendere se ha sfruttato completamente il potenziale della vettura. Per questo, oltre a valutare il potenziale della monoposto (sulla base dei risultati e di informazioni storiche reperibili da numerose fonti), ho raffrontato i risultati dei tre piloti con quelli dei loro compagni di squadra.
Per quanto riguarda le vetture, ho definito cinque categorie.
- le scuderie di riferimento (Mercedes dell’era ibrida, Williams del 1992, Ferrari dei primi anni 2000)
- team che possono infastidire seriamente le vetture più forti (la Ferrari del 2017 e 2018)
- team che possono vincere qualche gara, ma non lottano per il titolo (Red Bull del 2020, Ferrari del 2019)
- team che non possono aspirare a vincere gare, a meno di eventi particolari (l’Alpha Tauri del 2020)
- scuderie esordienti o team da fondo classifica (la Williams degli ultimi anni).
Il fatto di aver corso in epoche diverse ha sicuramente influenzato i risultati di Senna, Schumacher ed Hamilton. Si pensi al numero di Gran Premi disputati in ogni stagione, si pensi alle diverse modalità di assegnazione dei punti. Un altro aspetto rilevante è il miglioramento dell’affidabilità delle vetture, che negli ultimi anni è cresciuta ulteriormente, anche grazie alle regole sulla durata delle Power Unit. All’epoca di Senna, le rotture erano all’ordine del giorno per tutti i team: i minori mezzi ed il minor know how affliggevano quelli meno importanti, mentre quelli al top cercavano le massime prestazioni senza essere limitati dalle restrizioni regolamentari vigenti oggi, ma anche con tecnologie meno precise, quindi più esposte a rotture. Al giorno d’oggi, invece, i ritiri per motivi tecnici affliggono molto più spesso i team più piccoli, proprio perché l’affidabilità è diventata una vera e propria regola imposta. Per ridurre, se non eliminare, gli effetti distorsivi di questi cambiamenti ho introdotto queste regole:
- gare a punti: ho considerato per tutti i Gran Premi l’arrivo nei primi sei, come avveniva all’epoca di Senna e nei primi anni di Schumacher. Le posizioni dalla settima alla decima non sono mai considerate arrivo in zona punti.
- numero di Gran Premi stagionali: tenendo conto che siamo passati dai sedici degli anni ’80 ai 21 di oggi (è un aumento del 31,25%), è il problema più facile da anestetizzare. Chiaro è che certi risultati sono più semplici da conseguire con pochi Gran Premi ed altri sono aiutati da un numero più elevato di impegni stagionali, ma utilizzando medie e percentuali si riducono sensibilmente le distorsioni.
- affidabilità: per ridurne gli effetti distorsivi, ho analizzato i ritiri di ogni gara, dal 1984 ad oggi (in questa tabella si possono vedere i dati). Ho verificato l’impatto numerico degli abbandoni, distinguendo tra quelli dovuti a cause tecniche e quelli dovuti ad errore del pilota; inoltre, per ognuno dei tre protagonisti, ho riesaminato ogni Gran Premio corso, rilevando, oltre alle gare non finite, anche quelle compromesse da un problema. Per “compromesso”, si intende che è intervenuto un fattore, tecnico o umano, che ha alterato la gara del pilota, costringendolo ad un risultato negativo o ad una risalita in classifica. Un Gran Premio compromesso può essere anche vinto dopo una rimonta, ma senza quel fattore sarebbe stato dominato.
Vediamo l’esito di questa analisi. Le cause del ritiro o che hanno contribuito a complicare la gara sono state suddivise in tre categorie:
- errori del pilota: uscite di pista, incidenti provocati, testacoda con conseguenze, problemi fisici. Non sono considerati errori le partenze sbagliate: fanno parte della normale competizione, come una curva impostata male e percorsa a velocità ridotta o un doppiaggio complesso
- problemi tecnici: rotture meccaniche, elettriche, elettroniche, cedimenti strutturali di appendici aerodinamiche, problemi con gli pneumatici, a condizione che questi guasti non siano conseguenza certa di collisioni con altri piloti o con barriere, rimanere senza carburante
- errori del team e di strategia: pit stop lenti, pneumatici non montati bene, gravi errori strategici del team (Hamilton, Gran Premio di Monaco 2016), strategie mirate ad aiutare un compagno di squadra (Schumacher, Gran Premio della Malesia 1999), squalifiche per errori del team (prese d’aria dei freni di Senna, Gran Premio d’Australia 1987), incidenti subiti (quelli in cui è chiaro che il pilota è vittima: Senna buttato fuori da un Mansell già squalificato in Portogallo nel 1989, Schumacher che si deve ritirare a causa del comportamento di Coulthard a Spa nel 1998, Hamilton mandato a muro da Maldonado a Valencia nel 2012).
I dati sono stati, infine, aggregati distinguendo i casi in cui il pilota è vittima delle circostanze da quelli in cui è responsabile o corresponsabile dell’accaduto.
L’analisi dei ritiri avvenuti dal 1984 ad oggi, inoltre, fa emergere alcune evidenze molto interessanti. Tra il 1984 e il 1987 i ritiri sono circa quindici per Gran Premio, su un parco partenti solitamente di 26 piloti. Si rimane sopra i 10 ritiri a gara fino al 1999 e dal 2004 si scende sotto i sette per weekend, dal 2011 si scende sotto i 5. I ritiri per motivi tecnici sono inizialmente oltre 10 a weekend, con un massimo di oltre dodici nel 1986 e 1987, poi scendono progressivamente fino ad essere meno di due a Gran Premio negli ultimi due anni.
Fino al 1994 si ritira più del della metà dei partenti, si scende sotto il 33% dal 2004, mentre dal 2011 i ritiri colpiscono il 20% circa delle vetture. L’incidenza dei ritiri tecnici sul totale raggiunge il massimo nel 1987 con quasi l’85% e poi cala nel corso degli anni progressivamente. Ogni otto-nove anni l’impatto si riduce del 10%. Dal 2004 si scende sotto al 20% fino ad arrivare alla singola cifra, nelle ultime due stagioni.
ANALISI
Sulla base di queste premesse, veniamo al confronto tra i tre piloti, partendo dal recordman di vittorie, Lewis Hamilton ed andando indietro nel tempo.

LEWIS HAMILTON
Stagioni considerate: 2007–2020, per un totale di 262 Gran Premi (qui la cronistoria dettagliata della sua carriera)
Compagni di team: Lewis ha avuto nel suo team tre Campioni del Mondo e questo farebbe pensare che abbia avuto i compagni più ostici. Questo è vero per Fernando Alonso, mentre ritengo che Jenson Button e Nico Rosberg che abbiano vinto per il verificarsi di condizioni particolari, uno con la Brawn GP nel 2009, l’altro perché ha avuto la fortuna di guidare la vettura nettamente più forte in competizione nell’anno in cui Lewis era distratto e che, quindi, non siano all’altezza del titolo conquistato. Sono comunque stati ottimi piloti.
Vetture: Hamilton ha corso nella sua carriera per McLaren e Mercedes. È indiscutibile che abbia avuto a disposizione vetture al top nel primo biennio e nell’epoca ibrida, invece molti sostengono che dal 2009 al 2013 sia stato alla guida di monoposto poco performanti. Per i dettagli, si può vedere la già citata cronistoria; in sintesi, nel 2010, la McLaren vince 5 Gran Premi, tanto quanto la Ferrari, ed Hamilton è in lotta fino all’ultima gara; nel 2011, non è chiaramente all’altezza della Red Bull, ma porta a casa sei vittorie e nel 2012 sette. In queste tre stagioni è chiaramente una vettura del secondo livello, non competitiva per il titolo, ma per le singole vittorie. Nel 2009, comincia malissimo, poi si raddrizza e finisce per essere una vettura che, nel singolo Gran Premio, può fare l’exploit. Un paio di vittorie possono arrivare, infatti arrivano. Nel 2013, per motivi diversi, è di livello simile.
Campionati: in rapporto ai compagni di squadra, Hamilton è finito dietro a Button nel 2011, un anno in cui ne ha combinate di tutti i colori facendo danni otto volte su nove tra gare compromesse e ritiri. Ha perso il titolo del 2016 contro Rosberg, una stagione di cui tutti ricordano il motore in Malesia, ma in cui ha commesso tre errori gravi e, soprattutto nella parte iniziale della stagione, pareva non essere sufficientemente concentrato. Questi risultati, paradossalmente, confermano le qualità di Lewis. Su errori e distrazioni non si può sorvolare, se parliamo di piloti al top.
Risultati: 92 vittorie su 262 Gran Premi (35,1%), 69 gare chiuse al secondo o terzo posto (26,3%), 45 corse nei top 6. Complessivamente, sul podio è andato 161 volte (61,5%) e nei primi sei 206 volte (78,6%)
Ritiri: Hamilton si è ritirato 27 volte ed ha avuto problemi in altre 35 gare, per un totale di 62 Gran Premi in cui ha subito un danno (23,7%). In 29 casi è colpevole in 32 è vittima (12,2%).
Gran Premi senza danni subiti: 230 (262–32)
Risultati su Gran Premi senza danni subiti:
- Vittorie: 40,00%
- Podi: 70,00%
- Top 6: 89,57%

MICHAEL SCHUMACHER
Stagioni considerate: 1992–1998 e 2000–2006, per un totale di 234 Gran Premi (qui la cronistoria dettagliata della sua carriera)
Compagni di team: credo sia indiscutibile che Schumacher ha avuto quelli più semplici: piloti di valore limitato, su cui si eleva, per carriera Nelson Piquet, che però ha incrociato Michael nelle ultime gare della stagione d’esordio del tedesco, al termine della quale il carioca si ritirò. Felipe Massa aveva doti che lo hanno portato quasi al titolo nel 2008 e sarebbe stato interessante vedere la sua carriera senza l’incidente in Ungheria nel 2009, ma nel 2006 era alla prima esperienza in un top team e chiaramente con un ruolo da secondo pilota.
Vetture: le monoposto in mano a Michael Schumacher sono state spesso tra le migliori del lotto. L’esordio, che non consideriamo, arriva nel 1991 con un team al primo anno di attività, poco competitivo, e poi con una Benetton che ha vinto un Gran Premio in tutta la stagione (Canada), in condizioni molto particolari. L’anno successivo, la monoposto messa in pista da Benetton vale qualche vittoria e finisce per essere il team di riferimento nel 1995. Anche in Ferrari le cose cominciano con un team da ricostruire e che diventa dominante. Nel 2005, guida una vettura disastrosa.
Campionati: Schumacher ha sempre chiuso davanti ai compagni di team (a parte nel 1991 e 1999, anni che non consideriamo perché ha corso solo parte della stagione).
Risultati: 89 vittorie nelle 234 gare che entrano in analisi (38,03%), 59 podi (25,2%), 25 Gran Premi nei top 6 (10,7%). In totale, contiamo 148 podi (63,2%) e 173 arrivi nei primi sei (73,9%)
Ritiri: per Schumacher, parliamo di 51 ritiri e 12 gare compromesse per un totale di 63 (26,9%), in 20 situazioni è causa del suo male, in 43 paga colpe non sue (18,4%)
Gran Premi senza danni subiti: 191 (234–43)
Risultati su Gran Premi senza danni subiti:
- Vittorie: 46,60%
- Podi: 77,49%
- Top 6: 90,58%

AYRTON SENNA
Stagioni considerate: 1984–1993, per un totale di 158 Gran Premi in cui si è qualificato (qui la cronistoria dettagliata della sua carriera)
Compagni di team: di Senna possiamo dire che ha avuto compagni tutto sommato facili da gestire, in Lotus. Ha dovuto dividere il box con due futuri Campioni del Mondo, Hakkinen e Damon Hill, ma non li considero perché ci ha corso insieme complessivamente sei gare. Ha però dovuto dividere la McLaren Honda dominatrice dei Mondiali 1988 e 1989, con uno dei piloti più forti della storia e quattro volte Campione del Mondo, Alain Prost.
Vetture: Senna guida la vettura di riferimento tra il 1988 e il 1991 e dovrebbe essere la miglior vettura del lotto anche la Williams del 1994, ma Ayrton non riuscirà a dimostrarlo. Esordisce con un team ambizioso, ma modesto, come Toleman, nei tre anni alla Lotus e negli ultimi due in McLaren dispone di una vettura che può aspirare al massimo a qualche vittoria rispetto alle corazzate di quegli anni, Williams sopra a tutti.
Campionati: senza considerare il 1994, Senna ha chiuso dietro al suo compagno solo nel 1989, segnato dall’incidente di Suzuka e dalla squalifica conseguente, ma soprattutto da otto ritiri avvenuti non per colpa sua quando era in testa alla gara, a cui se ne somma un altro mentre era secondo. Ricordandoci che il suo avversario era Alain Prost, non un pilota qualunque, con un pizzico di sfortuna in meno (o senza Balestre?) l’esito sarebbe stato diverso.
Risultati: Senna 41 vittorie su 159 gare considerate (25,8%), 39 podi (24,5%), 16 volte a punti (10,1%). Sul podio 80 volte complessive (50,3%) e a punti 96 volte (60,4%).
Ritiri: per Senna contiamo 61 ritiri e 7 gare compromesse, quindi 68, cioè il 42,7% delle gare considerate. 12 situazioni sono dovute a suoi errori, 56 indipendenti da sue responsabilità (35,2%).
Gran Premi senza danni subiti: 102 (158–56)
Risultati su Gran Premi senza danni subiti:
- Vittorie: 40,20%
- Podi: 78,43%
- Top 6: 94,12%

IL CONFRONTO
Cosa si può cominciare a concludere. Se consideriamo i compagni di squadra, c’è equilibrio tra Hamilton e Senna. A mio parere Prost sposta l’ago della bilancia dalla parte del brasiliano, mentre Schumacher è il più agevolato. Anche perché in termini di risultati, Michael (sempre davanti ai suoi compagni di team) e Ayrton (dietro solo nel 1989, a Prost) hanno dimostrato di saper mettere in evidenza il divario con i piloti che disponevano del loro mezzo, cosa che non si può dire di Lewis con Button e Rosberg.
Per le vetture mi pare tutto molto più lineare: il brasiliano ha avuto monoposto complessivamente meno performanti, il britannico ha vissuto le situazioni più agevoli, Schumacher sta in mezzo. Lewis ha meritato di guidare le monoposto che ha avuto a disposizione, sia chiaro, ma è lampante che doversi destreggiare all’esordio con una Toleman, una Jordan o una McLaren del 2007 è oggettivamente molto diverso, che dover gestire la Lotus del trienno di Senna, la Benetton del ’92 o la Ferrari del 2005 sia stato più problematico rispetto a sedere sulla McLaren 2009 o sulla Mercedes 2013.
In termini di risultati, Senna è staccato dall’accoppiata Schumacher-Hamilton, con il tedesco in leggero vantaggio percentuale come vittorie e presenze sul podio. Se, però, correggiamo la distorsione dei risultati causata dalle differenti condizioni di affidabilità, vediamo cosa succede.
Le differenze sono enormi, il dato di Senna al 42% di ritiri e al 35% di colpe altrui è su proporzioni completamente diverse da quelle degli altri due e questo fatto ha richiesto un supplemento d’indagine.
Senna si ritira nel 40% delle sue gare, in quel decennio l’incidenza dei ritiri è pari al 54,29%. I ritiri per motivi tecnici sono pari al 27%, mentre l’incidenza complessiva è del 39,4%.
Schumacher si ferma nel 22% dei Gran Premi, mentre si ritirano il 44% dei partenti. Nell’11,5% i suoi ritiri sono per cause tecniche mentre in quel periodo impattano per il 27%.
Hamilton si ritira nel 10% dei Gran Premi corsi, in un’epoca in cui si ritira il 20% dei piloti, mentre per il 7,6% dei Gran Premi le cause sono tecniche quando nel complesso sono pari al 12%.

Da questi dati si può ricavare quanto fosse forte l’impatto dei ritiri all’epoca di Senna e quanto lo sia in modo marginale all’epoca di Hamilton e, meno, di Schumacher. Si vede, oltretutto, che tutti e tre hanno patito questi problemi meno della media dell’epoca, ma che Senna è quello che si avvicina di più alle medie di periodo. Questo fatto non ha una spiegazione certa, ma si può mettere in relazione anche alla qualità delle vetture a loro disposizione: le migliori vetture si ritirano meno spesso, del terzetto Ayrton ha avuto quelle meno forti, in un’epoca in cui questo significava spesso non finire le gare.
Ecco che diventa interessante il numero di gare medie stagionali corse senza subire guai di origine tecnico. Possiamo considerarlo un modo per correggere la distorsione causata dalla mancanza di affidabilità. I 9,7 Gran Premi a stagione disputati da Senna, invece dei 16 che si correvano all’epoca, danno tutt’un altro spessore ai già ragguardevoli risultati del brasiliano, nel momento in cui li confrontiamo con i di 12,2 (invece di 17) per Schumacher e, soprattutto, i 16,5 invece di 18,7 di Hamilton.
Per arrivare a risultati depurati, dalla differente affidabilità delle tre epoche, possiamo scegliere due strade. La prima consiste nel sommare, ai risultati realmente ottenuti, il numero di gare in cui il pilota danneggiato era in posizioni da punti, sul podio, in testa. È un’ipotesi molto forte, che rischia di provocare serie sopravvalutazioni, quindi un diverso tipo di distorsione, ai dati: nulla mi assicura che un Gran Premio dominato fino al momento del ritiro, sarebbe finito bene in assenza di problemi tecnici. Poteva essere dietro l’angolo un errore come nel Gran Premio di Monaco del 1988, con Ayrton che si distrae e si deve ritirare; oppure che, per causa di errori del pilota, una seconda posizione a metà gara non diventi una posizione di rincalzo, addirittura fuori dalla zona punti.
Le statistiche dei piloti nel caso “se tutto fosse andato bene” non aiutano realmente a capire il livello di performance dei nostri tre fuoriclasse. Ha molto più senso utilizzare la seconda idea, quella di sottrarre, dal numero di Gran Premi disputati, quelli in cui il pilota ha subito danni compromettenti per la gara. In questo modo non facciamo ipotesi assurde su cose mai accadute e, quindi, non verificabili, ma consideriamo solo eventi realmente accaduti.
Schumacher è il pilota che ha vinto più Gran Premi, quando non è stato afflitto da problemi da lui indipendenti con il 46,6%, mentre il dato di Senna ed Hamilton è molto simile. In termini di podi, Ayrton è il migliore con il 78,46%, di poco migliore rispetto al dato di Schumi, con Lewis staccato al 70%. Sono molto simili, attorno al 90%, i valori sulle gare in top 6 di Schumacher ed Hamilton, con Senna che li stacca al 94,12%. Sono dati impressionanti che confermano la qualità assoluta dei tre, ma è stupefacente il balzo che fa il brasiliano eliminando l’effetto dei problemi causati da noie tecniche, errori del team o collisioni subite.

CONSIDERAZIONI
Nell’analisi delle singole stagioni sono emerse alcune altre osservazioni da fare.
Cominciamo dal 1988 di Senna: Ayrton vince il titolo, ma fa meno punti di Prost, come evidenziano i detrattori del brasiliano. Il punto è che le regole premiavano le vittorie e penalizzavano i piazzamenti perché contavano i migliori undici risultati in stagione. Questo significa che l’atteggiamento più corretto era quello di correre cercando di vincere il maggior numero di gare, a costo di assumersi qualche rischio in più. Prost fa una stagione fenomenale, con sette vittorie e sette secondi posti, abbandona per rottura del motore a Monza e per scelta sotto la pioggia di Silverstone. Quattordici risultati utili, quindi una strategia conservativa e prudente, quando ne contano undici sono una scelta tatticamente sbagliata. Nel 1989 a Prost va bene, non perché la tattica conservativa sia giusta, ma solo perché le gare problematiche di Senna non sono tre, come nella stagione precedente e come nella stagione successiva, ancora caratterizzata dal meccanismo degli scarti, ma otto. Un dato anomalo, per una vettura al top come la McLaren Honda che finisce per condizionare il risultato finale.
Ancora Ayrton, anno 1991. Finisce il meccanismo degli scarti, improvvisamente diminuiscono i ritiri ed aumentano i piazzamenti. Questo cambiamento tattico è sintomo di una impressionante lucidità strategica che si somma all’abilità nella guida. E conferma che i rischi corsi negli anni precedenti sono figli di una visione chiara delle regole e non di irruenza caratteriale.
L’ultima annotazione su Senna riguarda il 1985. Sette volte al traguardo, sei volte primo o sul podio. Dieci gare in cui le avarie o gli errori del team gli impediscono di arrivare al traguardo nelle posizioni in cui merita, nelle quali le disavventure avvengono mentre è in posizioni da podio, sei volte è primo. Potenzialmente avrebbero potuto essere otto vittorie, tre secondi posti e cinque terzi. Risultati incredibili, ma che assumono una dimensione quasi aliena pensando che quella Lotus era complessivamente inferiore alle McLaren e alle Williams, e che Ayrton è alla prima stagione su una vettura competitiva.

Il 1994 di Schumacher è un’altra annata DOC. Certo, la perdita di Senna dopo tre gare lo priva dell’avversario più forte, su quella che era la vettura più forte. Però, quando Michael arriva al traguardo lo fa al primo o al secondo posto, dato di per sé impressionante, visto che la sua Benetton non è la monoposto più forte. Ma è ancor più eclatante il dato che riguarda i giri passati nelle prime due posizioni: al primo posto per 646 giri su 851 percorsi, pari al 75,9%; al secondo posto per altri 183 giri (21,5%). In quella stagione Schumi percorre il 97,4% dei giri in una delle prime due posizioni in gara.
Nel 2002 Schumacher ottiene un record che Hamilton potrà provare ad eguagliare solo a partire dalla prossima stagione. I due condividono il record come unici piloti riusciti a completare il 100% dei giri previsti in un Campionato del Mondo (Lewis ci è riuscito nel 2019), ma Michael riuscì, in quella stagione a finire tutte le gare sul podio. Va detto che se, in molti casi, il maggior numero di Gran Premi stagionali rende più facile superare dei vecchi record, in questo caso rende l’impresa più difficile.
Il 2004 di Schumacher è un’altra perla. 13 vittorie è un record eguagliato da Sebastian Vettel (che disputò una gara in più del suo idolo). Ma vale la pena ricordare quello che accadde nella sesta gara stagionale. Al Gran Premio di Monaco, Schumi arriva con cinque vittorie su cinque. È in testa al 45esimo giro, siamo in regime di safety car, alle sue spalle il doppiato Montoya. Il quale riesce a provocare un contatto che costringe al ritiro la Ferrari. Michael vincerà anche i sette Gran Premi seguenti. Senza l’improvvido intervento del colombiano, molto probabilmente sarebbe arrivata la sesta vittoria consecutiva e la serie di vittorie consecutive ad inizio stagione sarebbe arrivata fino a tredici. A sostegno dell’ipotesi che quel Gran Premio sarebbe finito con Schumacher sul gradino più alto del podio, va evidenziato che quello di Monte-Carlo è il secondo ritiro in tre anni del tedesco, entrambi dovuti ad un incidente.
Il 2007 è forse l’impresa più bella di Hamilton e, al netto delle vicende legate alla spy story, avrebbe meritato una conclusione diversa. La stagione da rookie di Lewis è irreale, il suo record più prezioso a mio parere i nove podi con cui apre la stagione. Non dobbiamo dimenticare che il suo compagno di squadra e, nel corso della stagione, sempre più acerrimo rivale è il pilota Campione del Mondo, un altro pilota fenomenale come Fernando Alonso. Uno che, di solito, i suoi compagni di squadra li ha sempre demoliti. Per queste ragioni, il 2007 di Hamilton è un capolavoro.
Anche il 2017 è particolarmente importante. Viene da quella che non si può considerare altro che una debacle sportiva. Perdere da un avversario (molto) meno dotato che guida la stessa vettura, per un pilota di questo livello è un affronto inaccettabile. Il fatto che si sia arrivati a questo epilogo perché l’inizio stagione di Lewis è stato discutibile, per impegno, concentrazione e risultati è un’aggravante significativa. Per la prima volta dal 2014, oltretutto, c’è un altro team che dimostra di essere competitivo. Il livello di focalizzazione e di dedizione che raggiunge Hamilton a partire dal 2017, e che da quel momento ha mantenuto, è un vero e proprio passaggio di stato. Quando il britannico sale in macchina non sbaglia più. Nelle ultime quattro stagioni, 74 Gran Premi e tre gare compromesse per sua responsabilità: Hockenheim 2019 (in collaborazione con il team, stranamente confuso), Brasile 2019, Austria 2020 (in entrambi i casi, collisione con Albon).
Nel 2019, come detto in precedenza, aggiunge una perla alla sua nutrita collezione arrivando a pieni giri in ogni Gran Premio stagionale, mentre nel 2017 era sempre giunto al traguardo, ma in Messico aveva accumulato un giro di ritardo.

CONCLUSIONI
Perle agonistiche, numeri impressionanti. Quasi sempre perfetti. Qualche difetto l’hanno mostrato.
Hamilton ha dimostrato, per lunghi tratti della sua carriera straordinaria, una sorta di tendenza all’errore e un minimo di difficoltà nel gestire monoposto poco performanti. Queste due caratteristiche lo hanno costretto a finire dietro a due compagni di squadra ottimi piloti, ma non certo annoverabili tra i fenomeni della Formula 1. Inoltre, dobbiamo smitizzare uno dei record più citati tra i tanti che ha realizzato: è vero che ha vinto almeno una gara in tutte le stagioni, ma lo ha fatto guidando sempre vetture di livello elevato. La stessa cosa non vale per Senna e Schumiacher, che cominciano su una Toleman e su Jordan e Benetton (del 1991) e che invece dall’anno successivo, anche quando pilotano una vettura non eccelsa almeno una gara la vincono sempre.
Schumacher è stato tra i tre il più scorretto. Non che gli altri siano angioletti, ma azioni come quella finita bene del 1994 con Damon Hill o quella, finita male, del 1997 con Jacques Villeneuve, Hamilton non le ha mai fatte: il comportamento più sgradevole che ha tenuto è stato quello di Abu Dhabi nel 2016. Senna si è comportato in modo molto duro (ed eccessivo) con Prost, più nel 1990 che nel 1989, ma per esempio non ha mai reagito alla vera e propria persecuzione che Nigel Mansell ha messo in atto nei suoi confronti, buttandolo molte volte fuori pista.
Senna ha sempre cercato la macchina migliore. Se il suo team non lo soddisfaceva, cominciava a bussare alla porta dei team più forti. Successe nel 1987 e, ancora, dopo il 1991. Hamilton ha trovato delle situazioni agevoli, ma soprattutto in Mercedes è sicuramente il punto di riferimento del team e contribuisce a mantenere intatta la superiorità delle frecce d’argento. Schumacher ha creato le vittorie delle sue squadre, ha preso vetture non competitive al massimo livello, le ha fatte crescere e le ha portate al successo, creando una vera e propria dinastia, con la Ferrari.
Dopo aver ripercorso queste tre carriere eccezionali, possiamo dire che ognuno di loro ha espresso qualità difficilmente eguagliabili, sostenute dai numeri che hanno prodotto. Hamilton ha i numeri migliori se presi in assoluto, Schumacher ha i migliori dati in percentuale. I dati di Senna, depurati dell’effetto affidabilità e della responsabilità di terzi, sono impressionanti e svelano un dominio forse superiore a quello esercitato da Michael e Lewis nelle loro epoche.
È per questo che, mentre ribadisco che cercare di determinare chi è il migliore non ha senso, che stiamo parlando di tre fenomeni, che ognuno di loro ha titolo per essere considerato nel gotha, nella storia di questo sport, spero che il mio lavoro sia servito per conoscerli meglio, perché ogni lettore possa scegliere il proprio preferito avendo a disposizione dati e materiale per rendere la scelta di ognuno più consapevole e motivata.
[…] Lewis Hamilton, uno dei più grandi piloti della storia della Formula 1. Lo abbiamo messo a confronto con altri due grandi campioni, Michael Schumacher ed Ayrton Senna. Per ognuno di loro abbiamo voluto ripercorrere in modo dettagliato la carriera, per compiere un’analisi completa di quello che hanno realizzato. […]
[…] Michael Schumacher, uno dei più grandi piloti della storia della Formula 1. Lo abbiamo messo a confronto con altri due grandi campioni, Lewis Hamilton ed Ayrton Senna. Per ognuno di loro abbiamo voluto ripercorrere in modo dettagliato la carriera, per compiere un’analisi completa di quello che hanno realizzato. […]
[…] Ayrton Senna è uno dei più grandi piloti della storia della Formula 1. Lo abbiamo messo a confronto con altri due grandi campioni, Lewis Hamilton e Michael Schumacher. Per ognuno di loro abbiamo voluto ripercorrere in modo dettagliato la carriera, per compiere un’analisi completa di quello che hanno realizzato. […]