Quella tra muso stretto e muso largo è una delle più dibattute tra le scelte tecniche attualmente in voga in Formula 1. Spieghiamo nel dettaglio i pro e i contro di ciascuna di esse.
Indipendentemente dalle ragioni tecniche, il musetto è uno degli elementi più osservati e caratteristici di una monoposto e, con la sua forma, permette anche di definire i parametri estetici di una vettura, determinandone la bellezza o la bruttezza. Anche per tale ragione, esso finisce per calamitare su di se una moltitudine si sguardi e opinioni, molte delle quali puramente qualitative e, talvolta, ben lontane dalle reali ragioni tecniche che prediligono una specifica forma piuttosto che un’altra che, nel caso in questione, corrisponde a quella del muso stretto. Ma quali sono le ragioni dietro questa scelta? Le risposte sono presto servite.
Il muso cosiddetto “largo”, visivamente caratterizzato dal bulbo centrale e da dei piloni che, nel caso in cui non dovessero incorporarli direttamente nella loro stessa struttura, sono affiancati a dei soffiaggi, viene ad oggi additato quale importante, se non addirittura principale, causa a cui viene imputata la scarsa competitività della Ferrari SF1000 e, se da un lato ciò può apparire come un’esagerazione, dall’altra si cela una parziale verità. Se è vero, infatti, che il muso costituisce solo una porzione del veicolo, è altrettanto vero che esso, in correlazione con l’avantreno della monoposto, è fondamentale nell’impostazione dell’intera fluidodinamica della vettura, in quanto capace di influenzare tutti gli elementi successivi e la conseguente resa in base alle geometrie caratteristiche di ciascun elemento; in altre parole, da esso dipende gran parte della resa aerodinamica del veicolo e ciò, nel caso di un errore in fase di progettazione, si traduce in un fiasco prestazionale e, soprattutto, in una parziale impossibilità di applicare una qualsiasi modifica che escluda uno stravolgimento a monte. Detta così, può sembrare un po’ tragica, ma non per questo differente dalla reale gravità della situazione che, in ottica di un eventuale e futuro salto prestazionale, necessita di un autentico stravolgimento di tale elemento. E le ragioni tecniche che portano a tali conclusioni sono da ritrovarsi, principalmente, all’interno dell’architettura stessa dell’elemento che, a causa della presenza di un vero e proprio canale sottostante, consente di creare un carico aerodinamico molto elevato sulla base del principio fisico secondo cui questo valore aumenta all’aumentare della superficie, in questo caso molto elevata, e in corrispondenza del quadrato della velocità. Ed è proprio qui che salta fuori il suo punto più debole.
Il muso largo, infatti, tende a lavorare molto bene a velocità particolarmente elevate, offrendo un ottimo supporto nel caso delle curve veloci a causa dell’elevata percorrenza delle stesse e, dunque, al cospicuo apporto d’aria di cui si dispone. Al contrario, esso tende a manifestare uno stallo nel caso delle curve lente, ove aree “morte” e largamente non-energizzate tendono ad avere la meglio su quelle investite dal flusso, con conseguente riduzione della portata di fluido per tutte le parti seguenti, come bargeboard e, soprattutto, fondo, producendo una resa prestazionale complessivamente mediocre e nociva. In contrasto con tali rendimenti è, invece, il muso stretto che, nonostante la minor superficie complessiva disponibile, riesce a disporre di canali e turning vanes, come il cape, che, grazie all’esposizione quasi diretta all’aria e ai vortici d’estremità talvolta generati dal cono frontale stesso, riescono a produrre un carico molto elevato già alle basse velocità, evitando quei valori critici di stallo a cui la configurazione precedente può invece andare incontro. La scelta dell’una o dell’altra, dunque, porta con se una serie di vantaggi e di svantaggi, col giudizio sugli stessi che viene affidato unicamente nelle mani dei tecnici e in base tanto al proprio know-how, quanto alle esigenze richieste dalla pista e dalla vettura.