Tranquillo, corretto e molto legato alla figura del padre, che lo ha lasciato troppo presto. Lui è Damon Hill, che nel 1996 s’incorona del suo primo e unico titolo mondiale al volante di una Williams che, in quegli anni, era diventata la vera squadra da battere.
Ho sempre visto in Damon Hill la rappresentazione del pilota calmo. So bene che accostare la parola “pilota” all’aggettivo “calmo” sembra un ossimoro, eppure, sia quando seguivo le sue corse, sia quando ho avuto il piacere di incontrarlo di persona, la mia impressione su di lui non è mai cambiata.
Mio padre, grande amante dei motori, nel 2013 si diletta alla stesura di un articolo riguardante una scuola materna di Udine intitolata a “Graham Hill”, papà di Damon. La scuola, distrutta da un sisma nel 1976, era stata costruita con i fondi raccolti dalla “Corsa per il Friuli”, a cui parteciparono numerosi piloti di Formula 1, i quali chiesero che la nuova struttura portasse il nome del campione inglese, scomparso a novembre del ‘75. La Scuola Materna fu inaugurata a febbraio del 1977 da Bette Hill, vedova di Graham e madre di Damon, che quasi vent’anni dopo conquisterà il mondiale di Formula 1.
Quando papà Enzo parla del suo articolo con il giornalista Franco Bortuzzo, allora inviato RAI ai Gran Premi, questi gli disse che, a suo parere, Damon Hill non conosceva questa storia, né l’esistenza della scuola. Forse, averlo saputo, gli avrebbe fatto piacere.
Damon Hill non corre più da anni e fa il commentatore per Sky UK. Per incontrarlo, papà si reca al Gran Premio di Monaco, portando con sè una copia dell’articolo e la rispettiva traduzione in inglese. A corsa conclusa, riesce ad intercettare Damon. È sullo zatterone della Red-Bull impegnato in diretta tv con i commenti del dopo gara. Non può avvicinarsi, è a circa quindici metri da lui, ma si fa notare e, durante una breve interruzione pubblicitaria, lui rapidamente si avvicina, prende i fogli e torna dai suoi colleghi. Mentre è in diretta, impugna il microfono con la destra e tiene i fogli con l’altra mano. Appena può inizia a sbirciarli, poi sempre di più. Legge l’articolo. Lo vede arrossire ed emozionarsi… Come quel giorno, sul podio di Monza.
Damon Hill vince il Gran Premio d’Italia del 1993. È la sua terza vittoria in Formula 1, la terza consecutiva. Appena sale sul podio, dal suo volto sgorgano lacrime: non era mai accaduto prima. Si crede siano conseguenza dell’emozione di una vittoria ottenuta nel Tempio della Velocità. Invece, sono lo sfogo di un uomo apparentemente schivo, perché composto, introverso e riflessivo, che ha le corse nel sangue e, come è nello stile della sua famiglia, regge sempre con grande dignità ogni ceffone preso dalla vita.
Hill è figlio del campione Graham, che si era fatto partendo dal nulla e aveva investito tutto nel suo neonato team di Formula 1. Damon aveva quindici anni e le corse nei suoi pensieri, quando un nebbiosissimo giorno di novembre dovette reggere il mondo che gli crollava addosso: il suo mitico papà era morto, insieme ai pilastri del suo giovane team. Si era schiantato al suolo con il suo piccolo aereo.
È tragedia per la famiglia Hill, che si ritrova in grosse difficoltà economiche. Damon deve cercarsi un lavoro, si offre da operaio. Da quel momento, dirà, impara a combattere. Non abbandona il sogno di correre e, per finanziarsi le corse, inizialmente in moto, si presta ai lavori più umili.
Si sposa, la famiglia è un valore fondamentale. Da qualche anno corre con monoposto delle formule minori. Diventa padre, con tutta la gioia e le grandi preoccupazioni, di un figlio affetto dalla Sindrome di Down. Gli anni passano e, nella speranza che qualcuno gli offra un sedile valido, è costretto a spacciarsi per più giovane. Finalmente, nel 1991, entra in Williams come collaudatore. “Sei una spalla, una buona spalla, un numero due e niente più”, si sentiva ripetere dal suo manager, ma Damon ha sempre avuto in mente ciò che suo padre gli diceva: “Ricorda Damon che anche i grandi piloti possono essere battuti”.
Dopo alcune apparizioni in pista con una deludente Brabham nel 1992, l’anno seguente è schierato da Williams al fianco di Prost. Tutta la stagione pende su Damon l’onta del licenziamento. Forse, le tre vittorie conseguite, insieme alla correttezza di inchinarsi a ruolo di seconda guida, inducono Williams a confermarlo per il 1994, e viene schierato con Ayrton Senna.
Leale, cavalleresco come suo padre, su Damon ricade il peso delle incognite, del grande vuoto e dei risultati, generati dalla scomparsa di Senna, a Imola, al terzo evento stagionale. Oltretutto non è neppure così semplice correre e continuare a correre con la stessa macchina con cui il plurititolato compagno di squadra ha avuto il tragico incidente. Nonostante ciò, arriva all’ultima prova mondiale con sei vittorie e cinque secondi posti e si gioca il titolo con Michael Schumacher su Benetton.
In gara mette sotto pressione il suo avversario, che esce di pista, danneggiando irreparabilmente la sua monoposto. Sembra fatta, invece il tedesco, con la vettura danneggiata irreparabilmente, rientra in pista ed entra in contatto con la Williams nella curva successiva. Hill commentò l’episodio alcuni anni dopo: “Non fu molto sportivo e ne combinò una delle sue. Rientrò in gara solo per agganciarmi e buttarmi fuori. Finimmo entrambi. Ma lui aveva un punto di vantaggio e vinse il titolo”.
Patrick Head, tecnico e socio di Williams, un giorno lo definì “così onesto che arriva a dubitare di sé stesso più di quanto gli altri dubitino di lui”. Con il team di Sir Frank Damon resterà anche il 1995, giungendo ancora una volta secondo, e nel 1996, l’anno del trionfo iridato, vincendo otto gare su sedici.
Fu una stagione alla quale Hill giunse molto preparato fisicamente e psicologicamente, sentendosi finalmente pienamente sostenuto da Frank Williams e Patrick Head. Inoltre, la nuova macchina era molto forte. Ma, ancora una volta, dovette fare i conti con l’ennesimo “ceffone”: in piena lotta per il titolo, a luglio, prima del Gran Premio di Germania che poi vincerà, apprende che la Williams lo scaricherà a fine stagione, avendo messo sotto contratto Heinz-Harald Frentzen. Sarà un titolo senza sorrisi.
Nel 2014, per la prima volta riesco ad assistere al Gran Premio di Monte-Carlo, insieme a papà Enzo. Incontriamo Damon prima delle prove del giovedì. Ci salutiamo, lui si ricorda sia di mio padre che del suo articolo. E, con un sorriso e uno sguardo che sembrava fissare il suo passato, gli dice che la storia della scuola intitolata a suo padre, effettivamente, non la conosceva.