Il noto team principal della Haas si concede ai microfoni di Hammer Time per un’intensa e esclusiva chiacchierata in salsa Formula 1. Vi proponiamo l’intervista integrale rilasciata lo scorso 8 Ottobre a una delegazione della redazione.
È una mattinata fredda e umida in quel del Nürburgring, dove il già rigido clima ottobrino riaccoglie la Formula 1 dopo una lunga assenza durata sette anni. A scaldare il cuore degli appassionati, però, ci pensa Gunther Steiner, team principal della Haas, che, lasciando filtrare la propria genuinità attraverso una postazione nel retrobox, regala suoni, aneddoti e fatti agli appassionati lettori, raccontandosi e raccontando, spesso con gli occhi di un bambino, quel mondo che ha sempre desiderato e di cui oggi è protagonista. L’intervista, realizzata attraverso una piacevolissima chiacchierata in videochiamata, è stata curata da Beatrice Frangione, a cui si sono affiancati gli occhi vigili e attenti del fondatore di Hammer Time, Alessandro Morini Gallarati, della responsabile dell’area grafica, Francesca Petteni e dell’articolista Davide Buccheri. Per questo, e senza ulteriori indugi, ci tuffiamo insieme nel vivo di questo scambio.
Gunther, come è avvenuto il tuo sbarco nel mondo dei motori e, nello specifico, in Formula 1? Era questo il tuo sogno fin da quando eri bambino?
“Io sono ancora un bambino! La mia famiglia non seguiva il motorsport, ma con mio papà andavo a vedere la Bolzano-Mendola e la Trento-Bondone. Dopo aver svolto il servizio militare, ho risposto a un annuncio su un quotidiano locale per un posto come meccanico in Belgio. È stata la passione per i motori a portarmi in Formula 1, a me piacevano le macchine da corsa e seguirle era quello che facevo e così, pian piano, sono arrivato dove sono oggi.”
Cosa hai provato quando Gene Haas ti ha contattato per proporti quale team principal della sua squadra?
“In realtà, le cose sono andate un po’ diversamente. Avevo già avuto a che fare con la Formula 1 in passato e, più precisamente, nel periodo in cui sono andato in America per seguire il team Red Bull nella NASCAR. In quel periodo, non molto lontano da dove abitavo, c’era una squadra, chiamata US F1 Team, che voleva entrare nel campionato di Formula 1. Conoscevo la gente che ci lavorava e, in quel periodo, ricevevo spesso delle telefonate tanto da Bernie Ecclestone, che mi chiedeva un po’ come andassero le cose e se il team se la sarebbe cavata o meno, quanto da Chad Hurley, principale investitore di quell’organizzazione e co-fondatore di YouTube, una persona molto attiva sui social media, anche se non posso dire molto a riguardo. Sapevo che con loro non avrebbe funzionato, ma l’idea mi piaceva e, per questo, ho preparato un business plan e sono andato in giro alla ricerca di investitori, ed è così che ho trovato Gene. Non lo conoscevo personalmente, ma conoscevo il suo braccio destro, già noto in NASCAR, dove Haas ha anche un team, ed è tramite lui che sono stato in contatto con Gene per quasi due anni, incontrandoci prima ogni mese, poi ogni due settimane. Lui abita in California, mentre io vivo in North Carolina, ovvero sulle due coste opposte e, quando ci siamo parlati, mi ha detto che voleva tirar su una squadra e che non avrebbe voluto nessun altro che non fossi io e così abbiamo preso la licenza. Adesso sembra tutto facile, ma al tempo non lo è stato affatto! Non mi sono messo alcuna pressione nel fare ciò, perché avevo già una mia azienda, che possiedo ancora, e non ero in cerca di un lavoro, perché per me questa era una passione e facevo tutte queste cose un po’ a tempo perso. Dire di esser entrato in Formula 1 a tempo perso può sembrare arrogante, ma le presentazioni, i calcoli dei budget e tutto il resto, sono stati fatto quando avevo una o due orette libere, inclusi i fine settimana. In più, conosco molta gente sparsa per il mondo, così sono andato a farmi un giro per trovarli e per rimanere in contatto con l’ambiente ed ecco come è nato il tutto. Non c’è stato il gran momento in cui mi ha nominato team principal, perché è proprio una cosa che, in tre o quattro anni, è stata creata e costruita così!”
Come viene gestito il rapporto con i piloti, soprattutto quando le situazioni non sono delle più semplici?
“Non c’è un sistema scritto o un processo da seguire, perché dipende sempre da cosa bisogna gestire: io sono solito dire che bisogna riparare o crescere. E da noi, ogni tanto, c’è parecchia roba da riparare, perché capita di trovarsi in mezzo ai casini o di farli. Anche se, a dire il vero, quest’anno andiamo talmente piano da non riuscire nemmeno a farne! Per questo, ogni situazione va gestita da sé, perché non esiste una linea precisa da scegliere. Poi, durante le gare sono un tipo piuttosto emotivo e ogni tanto faccio cose che, quando sono calmo, non sono solito fare.”
A proposito di piloti, si parla tanto di una possibile partenza di Kevin Magnussen e Romain Grosjean e di un eventuale arrivo di Mick Schumacher. Cosa puoi dirci a riguardo?
“Tutto è possibile, quanto nulla. Non voglio sbilanciarmi, dato che non vi è nulla di fatto e per questo preferisco non aggiungere altro alle varie speculazioni, perché credo che si tratti solo di questo al momento.”
Sempre in tema piloti, sono giunte delle voci secondo cui l’approdo di Hulkenberg fosse cosa certa, ma pare che il tutto sia sfumato perché tu non hai gradito il suo voler attendere una chiamata da parte della Red Bull. Quanto c’è di vero in queste parole?
“La situazione che si è verificata lo scorso anno è stata piuttosto particolare per noi, perché non sapevamo se avremmo firmato, o meno, il contratto commerciale (Patto della Concordia, ndr) per i prossimi cinque anni e per questo abbiamo abbiamo preferito evitare qualsiasi decisione che avremmo dovuto, eventualmente, disdire. Non correvamo particolari rischi, ma prendere della gente nuova, per poi scartarla dopo un anno, non è molto corretto tanto nei confronti di altre persone, quando dei nostri piloti. A quel livello lì non c’è tanto cambiamento, perché o si cambia completamente strategia e si fa qualcosa di diverso, o le cose restano simili. Io sono anche amico di Hulkenberg e cerco sempre di comportarmi nel migliore dei modi, anche se a qualcuno, sul momento, può sembrare il contrario. In fin dei conti, a volte è meglio non fare nulla, piuttosto che far qualcosa e concludere con delle soluzioni negative per entrambe le parti coinvolte.”
Anche se, come detto quest’anno, Grosjean ti sta aiutando a semplificare il lavoro…
“Si, anche se sta aiutando più se stesso che me! Lo conosciamo, ed averlo come pilota per cinque anni è un po’ come avere un bambino: gli dici di sì e, anche se fa delle cose sbagliate, gli vuoi ugualmente bene. Se hai un bambino a cui dici sempre di non fare qualcosa, e lui la fa lo stesso, arriverai al punto in cui dire ‘beh, diventerai adulto anche tu’…”
Rimanendo ancora in ambito piloti, voglio farti andare indietro nel tempo. Quest’anno la Formula 1 ha compiuto settant’anni, segnando una grandissima epoca fatta di grandi piloti e di eroi. Qual è il tuo preferito?
“Il mio preferito è Niki Lauda. Ho avuto la fortuna di lavorare con lui ed è sempre lui ad avermi inserito in questo mondo, così siamo diventati amici e non solo collaboratori. È stato anche il mio capo e anche dopo, quando non lavoravamo più insieme, mi ha dato una gran mano a costruire quel che siamo diventati. Era sempre disponibile e abbiamo avuto un rapporto fantastico, fatto di tanto rispetto reciproco. Come ben sapete, sono altoatesino e, quando ero bambino, lui era un vero eroe, in quanto è stato l’unico austriaco dopo Rindt a fare un po’ di furore ed esser chiamato per lavorare con lui è stato incredibile: anche il solo poter dire di farlo era eccezionale! Poter andare a cena con Niki Lauda era un sogno che coltivavo fin da bambino e da lì abbiamo anche stabilito un rapporto molto amichevole. Purtroppo ci ha lasciato poco tempo fa, ma per me resta sempre un idolo. In quanto agli altri, spesso mi viene chiesto quale sia stato il miglior pilota di sempre, ma ‚secondo me, non è possibile individuarne uno, perché ognuno ha vissuto in un’epoca diversa. Recentemente ho letto che Jackie Stewart, parlando di Schumacher, ha affermato che Fangio è migliore di Hamilton, ma io non li confronto. Per me Fangio è stato un eroe, ma pur sempre un eroe del suo tempo e non so se, con ventidue gare come oggi, avremmo detto lo stesso. Non possiamo fare confronti, i tempi cambiano e sono cambiati e ogni era ha il suo eroe e, sicuramente, l’eroe attuale è Lewis Hamilton, perché vince tutto così come Schumacher, Fangio e Stewart nelle loro epoche.”
Quindi, è corretto dire che Niki Lauda sia stato per te un mentore, un punto di riferimento e un’ispirazione?
“Assolutamente. Io sono riuscito ad entrare in Formula 1 e a farmi rispettare in poco tempo proprio grazie a lui, perché altrimenti è molto difficile entrare in questo Circus. Prima di arrivare in Formula 1 tra il 2002 e il 2003, ho avuto un’esperienza nei rally ed entrare in questo mondo da esterno è faticoso, ma avendo un mentore come Niki si fanno passi da gigante, perché lui aveva la gente giusta e aveva il rispetto di tutti e tutti sapevano che, se lui portava qualcuno, anche questa persona andava rispettata e questa è stata per me una fortuna, perché entrare, così come sono entrato io, è molto difficile.”
Parlando di attualità, volevo sottolineare come i media della Formula 1 siano stati assaliti dalla notizia riguardante l’addio di Honda alla massima serie. Secondo te, cosa può comportare una scelta come questa all’interno del Circus?
“Secondo me dobbiamo fare delle mosse per studiare il motore del futuro, per anticiparlo. Come ha detto anche Cyril (Abiteboul, ndr), ‘sostenibilità’ è diventata una parola molto importante al giorno d’oggi e dobbiamo essere al passo con i tempi e discutere al fine di cercare una soluzione. In più, bisogna tener conto che noi tendiamo sempre a pensare che tutto vada avanti sempre così com’è e che, quindi, aumentano tanto i soldi quanto gli spettatori, ma il mondo non va sempre così e, avendo già preso una bella batosta col CoVid, ci siamo resi conto di come tante cose non siano necessarie: la Formula 1, lo spettacolo, e non solo quello di questo sport, ma in senso più generale, in un quadro di crisi perdono importanza. L’importante è avere il pane, la sanità e tutte queste cose qui. Quel che facciamo noi è un valore aggiunto e dobbiamo renderci conto che tutto ciò può andar via con la stessa velocità con cui Honda lascia la Formula 1. Hanno deciso di non fare più Formula 1, ma come mai? Semplice: non gli serve. Tutto quel che facciamo è un valore aggiunto e se la Formula 1 non c’è, la gente continua a vivere ugualmente e questo dobbiamo sempre averlo a mente ed è per questo che continuo sempre a ripeterlo durante le riunioni, perché dobbiamo imparare ed esser consci che la nostra non è un’attività che ci spetta di diritto, ma un privilegio. Lo dico sempre ai miei uomini, perché in squadra tutti vogliono guadagnare di più e lavorare di meno, avere il meglio e questo ci ricorda che noi viviamo in un mondo non reale, in un mondo non necessario che, se non c’è più vita, va avanti comunque.”
Secondo te, è evidente che la Formula 1, in particolar modo quest’anno, goda di un minor interesse da parte dei suoi tifosi a causa di una maggior prevedibilità? Secondo te c’è qualcosa che si può fare per rendere meno evidente questo divario tra i vari team e rendere questo sport meno prevedibile?
“Assolutamente! Tutto ciò è stato già deciso e in questo, ed è forse l’unica cosa in cui ci aiutato, ha avuto un ruolo determinante il CoVid, che ha accelerato i vari processi per portare all’introduzione di un budget cap per il quale nessuno potrà spendere più di una certa cifra massima, che è stata recentemente abbassata. Ad esempio, la Mercedes potrà spendere solo un terzo di quanto speso prima. Un terzo! Per noi, arrivare a quelle cifre è ancora un po’ faticoso e magari non ci siamo ancora completamente, ma questo significa comunque che gli altri scendono verso di noi e che noi saliamo verso di loro, anche se non riusciamo a trovare altri due, trecento milioni, ovvero una cifra altissima nella realtà. Tutto ciò è stato fatto perché ognuno, in Formula 1, potesse vincere e, anche se non potrà sempre essere uno qualunque a farlo, negli anni tutto può cambiare, perché ciascuno, se fa un bel lavoro, può avere una possibilità. Partiamo tutti dalla stessa base e quei soldi sono all’incirca uguali per tutti, perché non sono quei cinque o dieci milioni in più a fare la differenza in questo mondo, ma se parliamo di due o trecento, allora il discorso è diverso.”
Oltre al budget cap, speriamo che possa aiutarvi anche il motore Ferrari per i prossimi anni!
“Eh si! Logicamente, al momento, sono critico in quanto a potenza, perché è evidente che manchi qualcosa, anche se non è bello dirlo, ma la Ferrari è in Formula 1 da sempre e sempre ci sarà e tornerà sicuramente ad essere quel che era. Serve un po’ di pazienza e di pazienza, sia noi che i tifosi, ne abbiamo ben poca, ma l’impazienza non porta a nulla e so che loro spingono tanto per tornare a tempi migliori. Ho un bel rapporto con Mattia, siamo amici da quindici anni e per quanto frustrante questa situazione possa essere, bisogna esser consci che senza di loro non saremmo qui e questo fatto non può essere sottovalutato e dico anche che se loro hanno aiutato noi, noi possiamo aiutar loro, con un po’ di pazienza.”
A proposito di Mattia, la maggior parte dei nostri lettori desidererebbe due cose: il ritorno ai motori aspirati e Gunther Steiner team principal della Ferrari. Quale delle due ipotesi è più realizzabile?
“Tutte e due, al momento, non sono realizzabili. Insomma, nessuna delle due. Visto? Risposta politica!”
Sei un personaggio amatissimo, soprattutto nel nostro Paese e parte di questo slancio ammirativo deriva soprattutto dalla serie Netflix, Drive To Survive, dove hai avuto modo di far vedere anche il tuo lato “backstage” da team principal. In più, avrai anche avuto modo di constatare che sei un personaggio molto imitato a queste latitudini, grazie anche all’apporto di Leo Turrini in tal senso. Come hai preso questa cosa?
“Me l’hanno detto! Ho incontrato Leo che, nonostante conosca la maggior parte dei ‘player’, non conoscevo e mi è stato riferito di questa cosa da parte di Roberto Chinchero. Ci siamo incontrati quest’anno, a Monza, in occasione di una trasmissione in cui ero presente insieme a Roberto Chinchero e Leo e mi sembra un personaggio simpatico e autentico come me. Anch’io penso di essere autentico, perché non provo mai ad esserlo e faccio quel che mi piace, comportandomi di conseguenza, e mi sembra che anche lui viva la vita così, essendo uno che ha fatto quel che ha fatto e che fa quel che fa senza bisogno di falsificare la propria personalità. Siamo stati insieme circa un’oretta e, magari quando sarò a Maranello o in giro, in uno di questi giorni, lo chiamo per andare a pranzo insieme, solo per conoscerlo un po’ meglio. In fondo, l’ho conosciuto per un’ora e, per più della metà di questo tempo, eravamo in trasmissione a parlare e non è la stessa cosa che stare in privato. A me non da assolutamente fastidio e se do del materiale con cui loro si possono divertire, non mi arrabbio mica!”
Una chiacchierata schietta e autentica, tra passato e futuro, tra sogni e realtà. Condita da una simpatia e una genuinità rara e preziosa.
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