La T.50 rappresenta la visione dell’automobile secondo Gordon Murray che, in questa sua ultima creazione, concentra tutta l’esperienza e la sconfinata creatività per inseguire un unico fine: creare la migliore auto stradale del pianeta.
La miglior vettura stradale per la miglior esperienza di guida possibile: è questo il mantra che ha guidato la realizzazione dell’ultima, splendida fatica dell’ingegnere sudafricano. Il celeberrimo tecnico, padre di vetture straordinarie come la Brabham BT46, la famosa “fan car”, e della McLaren F1, ha deciso di far affidamento a tutte le sue straordinarie capacità al fine di dare un’erede proprio alla già citata supercar inglese, in quanto quest’ultima ha a lungo rappresentato il credo tecnico e stilistico del suo principale fautore. Per tale ragione, la diretta discendente presenta subito quell’aspetto unico e distintivo che la avvicina più che mai all’illustre progenitrice, a cui si ricollega, in primis, proprio con quel layout peculiare e familiare rappresentato dalla conformazione a tre posti. Ma non è tutto e fermarsi alle sole apparenze sarebbe un grosso errore.
La T.50, così chiamata per celebrare tanto i cinquant’anni di carriera del progettista quanto il cinquantesimo modello da lui complessivamente realizzato, si contraddistingue quale più elevata espressione di automobile “analogica” al mondo ed è così concepita al fine di fornire il massimo coinvolgimento al proprio pilota mediante l’utilizzo di una classica combo leva-frizione fornita dalla Xtrac. Ad essa, si abbinano una serie di elementi estetici e funzionali che risultano immediatamente familiari agli occhi di tutti i profondi conoscitori della McLaren F1 e tra i quali si possono citare indistintamente componenti di piccole, medie e grandi dimensioni, come le manopole della climatizzazione — talvolta definita “vera” se confrontata a quella poco potente e inefficace della originale F1 -, i controlli posti sul tunnel della trasmissione, il contagiri, il vano motore e l’intera sagoma esterna della vettura, talmente compatta da avere i medesimi ingombri di una Porsche Boxter. Ogni singolo elemento qui citato, deve infatti la propria origine alla mitica antenata, da cui Murray ha attinto a piene mani al fine di dar loro gli aggiornamenti e la modernità che trent’anni di evoluzione tecnologica hanno portato nel tempo, migliorando la percezione aprica dei tasti, l’abitabilità complessiva e l’ergonomia al volante. Molta è stata, infatti, l’attenzione posta su questo aspetto, da Murray & Co. sapientemente eseguito secondo un principio tanto minimalista quanto ricercato, culminato nell’adozione di un contagiri squisitamente analogico e a cui si affiancano i due soli schermi utilizzati per le funzioni di navigazione e infotelematica, così disposti e privi di comandi tattili, ora demandati ai due unici tasti collocati sulle razze del volante, in quanto ritenuti fuorvianti e pericolosi ai fini della concentrazione richiesta dalla guida; ad essi, infatti, si abbinano unicamente le proiezioni delle telecamere laterali quali uniche, ulteriori concessioni che giustificano la presenza di due schermi laterali, peraltro ben dimensionati ed egregiamente integrati in una elegante e piacevole consolle rivestita in Alcantara. Ulteriori dimostrazioni che testimoniano la cura al minimo dettaglio della compagine inglese si ritrovano anche nella pedaliera, realizzata in titanio e secondo un nuovo disegno della struttura degli stessi elementi che consente un risparmio di peso di trecento grammi se confrontato col modulo adottato sulla F1.
Passando all’esterno della vettura e, dunque, sgusciando attraverso l’ampia portiera ad apertura diedrale, è possibile ritrovarsi di fronte ad una linea che, per quanto familiare, svela ulteriori dettagli di unicità assoluta che si amalgamano, con audacia e solida modernità, ad una linea estremamente elegante, morbida e di notevole grazia complessiva. La T.50, forte di un sangue blu che non disdegna le proprie origini, ricalca tanti aspetti di quella sagoma resa celebre dalla mano del designer inglese Peter Stevens, cogliendo l’occasione per migliorare tutto ciò che, secondo il gusto di Murray, mal si sposava con l’armonia di base della F1. Nello specifico, l’ingegnere sudafricano non fa mistero di non aver mai digerito gli specchietti e la presa d’aria dorsale della McLaren, a suo dire completamente fuori scala e fuori contesto rispetto alle proporzioni armoniche della vettura in questione, ora prontamente risolti dalla presenza di telecamere, che non disturbano più la linea del passaruota, nonché da uno snorkel meglio integrato e nettamente più congeniale al disegno della vettura, a cui si aggiunge anche una curiosa funzione di amplificazione acustica: la T.50, infatti, presenta un sistema di amplificazione naturale all’interno del proprio abitacolo a causa della presenza della porzione terminale della stessa proprio sulla testa del guidatore che, proprio grazie all’azione diretta della presa dinamica, può godere appieno del sound generato dal prestigioso propulsore e dal suo sofisticato sistema di aspirazione. E, proprio a proposito di motopropulsore, l’ultima fatica di Murray si presenta quale capolavoro assoluto anche sotto il profilo motoristico: la T.50 monta, infatti, un esclusivo motore Cosworth a dodici cilindri, aspirato naturale e di soli 3.9 litri di cubatura, capace di erogare ben 663 CV e 467 Nm di coppia e di toccare quota 12.500 giri al minuto. Questo capolavoro della più moderna e sofisticata tecnologia meccanica, chiamato GMA V12 in virtù del nome del committente, la Gordon Murray Automotive, spicca per la prontezza nella risposta che è capace di fornire, al punto da raggiungere il numero massimo di giri nel tempo record di appena tre decimi di secondo, ben tre volte più rapidamente del V12 BMW montato sulla F1, nonché per la potenza specifica di 166 CV/l, un valore anch’esso da primato. Questi numeri, presi singolarmente, bastano per spiegare le ragioni che giustificano la scelta di un aspirato all’interno di un panorama dominato dai motori sovralimentati, scartati in partenza proprio perché dotati di quel ritardo congenito, ovvero il turbo-lag, che mai permetterebbe di replicare l’immediatezza del responso che solo un propulsore ad aspirazione naturale può dare nel momento in cui si affonda il pedale dell’acceleratore, tra l’altro destinato a muovere una massa di soli 986 Kg in ordine di marcia.
Un capitolo a parte merita, poi, l’aerodinamica, vero oggetto di studi di questa incredibile creazione. L’impianto aerodinamico della T.50 potrebbe essere sinteticamente descritto come la summa di tutto il sapere tecnico maturato da Murray durante la propria esperienza lavorativa e mescola e amplifica tra di loro elementi già sperimentati e impiegati sulle vetture, già citate, che più ne esemplificano l’estro, ovvero la McLaren F1 e la Brabham BT46. Se la monoposto del 1978 è infatti passata alla storia, insieme alla Chaparral 2J, quale “fan car” per definizione, molto meno noto è che anche la F1 rientra nella categoria in questione: seppur attraverso un sistema non visibile e meno predominante di quello adottato dalla monoposto anglo-australiana, essa era analogamente provvista di ventole che aumentano l’efficienza aerodinamica attraverso un sistema di aspirazione dello strato limite. E proprio tale sistema ha costituito la base da cui è partito il ben più ampio concetto di “fan car” applicato ai giorni nostri e di cui la T.50 si fa unica portatrice, sfoggiando un posteriore dominato da una caratteristica ventola posizionata centralmente, a cui spetta la gestione dell’intera fluidodinamica attiva della vettura, controllata attraverso un apposito sistema di condotti di aspirazione e di superfici mobili che gestiscono i flussi provenienti tanto dal fondo, quanto dalla porzione superiore, aumentando il carico o riducendo il drag a seconda della necessità. Il sistema, governato elettronicamente attraverso una centralina i cui algoritmi sono stati scritti “in-house”, aziona il complesso sistema appena descritto a seconda della preselezione operata dall’utente e che si articola attraverso due modalità automatiche, quali Auto e Braking Mode, a cui se ne aggiungono quattro ulteriori da scegliere a discrezione dello stesso e che corrispondono alle denominazioni di High Downforce, Streamline, VMax e Test Mode. Le prime, come i nomi suggeriscono, controllano tutte le superfici in maniera completamente autonoma, ottimizzando il comportamento della vettura in qualsiasi circostanza, come ad esempio in frenata, dove le due alette superiori si inclinano interamente in avanti, i condotti del diffusore si aprono completamente e la ventola gira alla massima velocità per generare il carico aerodinamico, nel frattempo aumentato del cento percento rispetto al normale, necessario a fermare il veicolo in spazi di frenata ridottissimi. Le seconde, invece, sono selezionate dal pilota e sono ottimizzate per far fronte ad esigenze molto diverse tra loro e che si spiegano, almeno in parte, attraverso nomi molto chiari ed espliciti e a cui si abbinano, rispettivamente, modalità esecutive molto diverse tra loro. Nella modalità High Downforce, la vettura esprime il massimo potenziale esprimibile in termini di carico aerodinamico, in cui il sistema di aspirazione della ventola lavora in perfetta congiunzione col diffusore, il cui flusso è ottimizzato proprio grazie all’aspirazione dello strato limite attraverso i condotti interni appena citati, e con le alette superiori, anch’esse regolate per generare un flusso quanto più pulito ed energizzato possibile. Completamente diverse sono, invece, le modalità Streamline e VMax, ove la riduzione del dieci percento della resistenza, resa possibile attraverso la chiusura dei condotti e alla massimizzazione dei giri della ventola, permette di creare una “coda lunga virtuale”, denominata Virtual Long Tail, attraverso cui è possibile ritardare il distacco della vena fluida e ridurre la turbolenza di scia, producendo persino 15 Kg di spinta aggiuntiva attraverso la rotazione della ventola e a cui si aggiunge una potenza extra di 30 CV, nel caso della seconda modalità, che viene liberata da un motore elettrico a 48 Volt per un massimo di tre minuti. Infine, vi è anche la curiosa modalità Test che, oltre a creare un effetto di sicura riuscita scenografica, permette di verificare il corretto funzionamento di tutti i componenti dell’aerodinamica attiva.
E non finisce qui. Ulteriori piccole, ma sensazionali, finezze possono essere ritrovate anche in altre aree della vettura sulle quali, in condizioni normali, lo sguardo nemmeno andrebbe a posarsi, come il tergicristallo e l’alloggiamento della fanaleria anteriore. Entrambi gli elementi, unitamente a quanto menzionato finora, finiscono nuovamente per dimostrare quanta finezza tecnica è stata concentrata all’interno di una sola, incredibile vettura, col primo che lo fa vestendosi, letteralmente, di una precisa funzione aerodinamica, anch’essa in continuità con quanto operato sulla F1, e col secondo che, attraverso due eleganti feritoie inferiori, ottimizza l’apporto d’aria necessario a raffreddare lo splendido set di LED progettato dalla Wipac e sempre senza inficiare in alcun modo la fluidodinamica generale. Anche per ragioni di questo tipo, la T.50 si pone nell’Olimpo moderno delle vetture sportive e, come se tutto ciò già non bastasse, una ulteriore versione da pista è destinata ad aggiungersi a quella, già sold-out, pensata per la strada e momentaneamente denominata T.50s, che, a causa delle sue caratteristiche assolutamente uniche, merita di esser trattata a parte.
Che genio, quel Murray…