Red Bull e Mercedes si inseguono a suon di novità tecniche in campo aerodinamico, dimostrando grande maestria e capacità tecnica. Nel frattempo, Ferrari resta a guardare.
La diretta esposizione ai flussi d’aria che caratterizza gli organi meccanici di una monoposto a ruote scoperte impone sempre il conferimento di una precisa forma e di una relativa funzione all’oggetto in questione, tanto che si tratti dello stelo di una sospensione quanto, allo stesso modo, delle superfici esterne della scatola del cambio. Per questo, l’utilizzo di questi ultimi come espedienti medianti i quali incrementare l’efficienza aerodinamica del veicolo risulta essere si una virtù dettata dalle necessità, ma anche un’abilità della quale non tutti hanno la possibilità di fregiarsi.
I due esempi più caratteristici di virtuosità tecnica sono dati da Red Bull e Mercedes, con la prima capace di rivaleggiare in egual misura con la Stella nonostante un divario di trenta cavalli separi le prestazioni della Power Unit Honda da quella di Brackley. Tale capacità è ben visibile in pressoché ogni angolo della monoposto e una delle più recenti attualmente emerse riguarda le sospensioni posteriori, la loro sagomatura e il particolarissimo attacco che le caratterizza e che le differenzia, per una serie di ragioni, da quelle già viste sulla Mercedes W11. In questo caso, però, i bracci non solo presentano un ancoraggio lievemente diverso, che poggia ancora in parte sulla scatola del cambio, ma anche un orientamento sostanzialmente differente rispetto a quello della rivale anglo-tedesca: sulla monoposto di Newey, infatti, i bracci del triangolo inferiore sono molto inclinati verso il posteriore e questo, unitamente ad una ricerca compiuta sulla profilatura degli stessi che, per tale ragione, sembrano quasi sovrapporsi, permette di creare un vero e proprio effetto sigillo in corrispondenza della porzione superiore dell’estrattore, a tutto vantaggio del carico e dell’efficienza.
Diametralmente opposta è, invece, la situazione che regna in casa Ferrari, dove risulta ormai evidentissima l’arretratezza dei concetti utilizzati sulla SF1000, ancora troppo legata a crismi oltremodo tradizionali e, viste le velocità a cui viaggiano le novità nel mondo della Formula 1, vetusti. Se si escludono, infatti, i vari lavori compiuti sullo spostamento delle masse radianti dalla porzione sovrastante il propulsore alle pance, il conseguente snellimento dello snorkel, ora a sezione puramente triangolare e, infine, una rivisitazione della sezione d’ingresso delle pance, è possibile notare come la vettura di Maranello porti ancora con se i medesimi concetti già visti sulla SF71‑H del 2018, ormai ritenuti superati dalla concorrenza e, per questo, da considerarsi non più validi in una annata in cui persino i più piccoli costruttori, come McLaren o Renault, puntano molto su rinnovamento, guadagno prestazionale e sperimentazione in ogni singola area della monoposto.