Gli aggiornamenti portati in pista a Silverstone hanno dato responsi chiari e diversi per ognuna delle scuderie partecipanti. Li analizziamo tutti attraverso la nostra lente di ingrandimento.
Sono state tante le novità tecniche portate in pista in occasione del Gran Premio di Gran Bretagna e altrettanti sono stati i riscontri che ciascuno di essi ha fornito quale indice prestazionale delle vetture presenti in griglia. Su un campo così duro e variegato come quello di Silverstone, è stato infatti possibile assistere a scelte progettuali differenti che si sono prodotte in parziali diversi a seconda del settore di percorrenza.
Il celeberrimo autodromo britannico, più volte rimaneggiato nel tempo, costituisce un banco prova importantissimo nella valutazione delle prestazioni della pista, con particolare attenzione sul comportamento degli pneumatici, della ciclistica e, soprattutto, dell’aerodinamica, con l’efficienza quale parametro di riferimento da considerare ai fini del raggiungimento di un equilibrio ottimale. Il tracciato di Silverstone si caratterizza, infatti, per due settori, primo e terzo, ad elevatissima percorrenza che vengono controbilanciati da un altro, il secondo, che si distingue per un misto fortemente impegnativo e che necessita di una vettura dall’assetto ben bilanciato, quasi neutro, con un anteriore preciso e buon carico aerodinamico complessivo.
La Formula 1 è, fondamentalmente, un intricato gioco di compromessi in cui è necessario stabilire delle priorità tanto in base a quel che la pista richiede, quanto in accordo con il know-how tecnico posseduto dall’organizzazione. Per questo, i vari team hanno intrapreso decisioni spesso molto differenti al fine di ridurre eventuali deficit velocistici e per cercare di guadagnare qualcosa in punti specifici del tracciato, cercando di massimizzare l’incidenza che determinati settori possono avere sul responso generale del cronometro. Ecco spiegato il perché di alcune nuove configurazioni aerodinamiche degli alettoni posteriori, ora più scarichi e caratterizzati da una andatura meno ripida del profilo alare e da un bordo d’attacco modellato secondo la classica forma “a cucchiaio”, molto vantaggiosa in termini di riduzione della resistenza all’avanzamento e, per questo, più produttiva nei settori meno guidati del tracciato. Tale scelta tecnica è stata operata da Ferrari che, seppur con ala dritta, ha provveduto a conservare gli aggiornamenti sulla SF1000 nell’arco di tutte le sessioni citate, nonché da Red Bull che, oltre a testare tale configurazione in occasione dell’appuntamento inglese, sembra lavorare già in chiave Spa.
Le scelte appena citate riflettono quello che è lo stato attuale della vettura in relazione alle necessità che i team hanno maturato nel corso dei precedenti appuntamenti Mondiali. Tanto nel caso di Red Bull quanto di Ferrari, si ritiene necessario ridurre il drag al fine di non penalizzare le prestazioni velocistiche, piuttosto sottotono per entrambi i team seppur con risvolti differenti. Se per le monoposto del Cavallino tale scelta si è rivelata di fatto obbligatoria, in virtù di una basale carenza di carico aerodinamico, per Red Bull costituisce più una tappa di affinamento che di rivoluzione, in quanto la RB16 mostra interessanti livelli di carico verticale e buoni rendimenti in quanto a grip meccanico, come dimostrato dai tempi fatti registrare da Max Verstappen e dalle pochissime correzioni, perlopiù dipendenti dallo stile di guida dell’olandese e dalle eventuali modifiche sulla ripartizione in frenata, e che evidenziano una stabilità assolutamente interessante. Al fine di completare il quadro, si citano ulteriori interventi apportati dallo staff di Newey sul musetto delle sue monoposto, ora dotate di una diversa sezione al fine di ottimizzare l’andamento dei flussi in tale zona, che ricordiamo esser nevralgica nella gestione della fluidodinamica dell’intera vettura.
Scelte simili sono state adottate anche da altre squadre, pur tenendo a mente alcune eccezioni che vanno in controtendenza. Tra queste ultime è opportuno citare la Racing Point, che ha deciso di schierare una vettura con configurazione ad elevato carico aerodinamico e senza modifiche alle geometrie caratteristiche delle proprie ali; anche per tale ragione, ognuna delle due “pantere rosa” si è contraddistinta per un ottimo assetto in percorrenza e approccio alla curva molto preciso e diretto. Riguardo alle prime, rilevanti sono le modifiche che hanno coinvolto le McLaren MCL35, dotate anch’esse di un nuovo alettone posteriore con il medesimo profilo descritto per le Red Bull e a cui si abbinano nuovi bargeboard, ora dotati di due profili aggiuntivi a L che collegano il “boomerang” alla paratia verticale della struttura, e una rimozione della doppia T‑Wing, utilizzata per cercare maggior carico aerodinamico in Ungheria e qui ritenuta non più necessaria. A completare il quadro delle novità portate in pista vi è Renault, che conferma la medesima configurazione delle ali già vista in precedenza e che sembra dare i risultati sperati.
Le prestazioni ottenute in pista sono una diretta conseguenza delle scelte tecniche appena analizzate e i parziali messi a segno nei diversi settori ne sono la logica materializzazione. Con Mercedes saldamente ancorata alle prime posizioni, grazie ad un carico elevatissimo, un’eccellente cinematica e l’ottima messa a terra della coppia, la Red Bull è sembrata essere la vettura più performante tra le particolari curve del circuito britannico e non senza che ad essa facciano seguito un gruppo di inseguitori a tratti molto ravvicinati. A valle di tale ragionamento, il responso della pista appare estremamente chiaro ed evidenzia come non mai le differenze tra le varie scelte tecniche operate, rendendo molto intensa e vivace la lotta in top-ten a causa degli ottimi rendimenti di Renault, molto efferata sul passo gara, e delle sue “compagne di classe” McLaren e Racing Point.