Nelson Piquet, Grand Prix of Hungary, Hungaroring, 09 August 1987. (Photo by Paul-Henri Cahier/Getty Images)

Dopo il successo della Williams nel 1980 con Alan Jones Campione del Mondo, la stagione del 1981 vede vincere Nelson Piquet, il brasiliano che si aggiunge all’elenco degli eroi iridati in Formula 1.

Orig­i­nario di Rio de Janeiro, Nel­son Piquet ha con­quis­ta­to tre titoli mon­di­ali nel peri­o­do cen­trale del­la sua quat­tordi­cenne pre­sen­za nel­la mas­si­ma cat­e­go­ria: nell’81 e nell’83 con Brab­ham, nell’87 con Williams.

Irriv­er­ente, un po’ guas­cone, si prende gio­co dei gior­nal­isti (Ezio Zer­mi­ani docet) e di alcu­ni piloti. Spes­so sor­ri­dente e con l’aria diver­ti­ta, striz­za l’occhio (e non solo) ad ogni bel­la ragaz­za, ma quan­do è al volante del­la sua mono­pos­to è atten­to, pre­ciso, deter­mi­na­to, cal­co­la­tore, fur­bo, tat­ti­co e veloce.

Non ama cor­rere nei cir­cuiti cit­ta­di­ni. “Guidare a Monte-Car­lo” — dice “è come spin­gere una bici­clet­ta nel salot­to di casa”. Ha dis­pu­ta­to 207 Gran Pre­mi, vin­cen­done uno ogni nove. Non ha mai vin­to nel Prin­ci­pa­to di Mona­co, ma ha tri­onfa­to tre volte ad Hock­en­heim, Mon­za e Montréal.

Nel­son ha sem­pre ama­to gli sport peri­colosi come sci nau­ti­co, moto, auto, con cui si sfi­da­va con gli ami­ci. Quan­do con­quista il suo pri­mo tito­lo irida­to, dichiara che vin­cere un Mon­di­ale non è impor­tante: corre per­ché lo ecci­ta super­are la pau­ra del ris­chio. E ha pau­ra di far­si male, più che morire, per­ché non sop­por­ta l’idea di dover soffrire.

Gira il mon­do, ma non ama fare il tur­ista. Quan­do all’inizio del­la sua car­ri­era ha vis­su­to in Italia, ha vis­i­ta­to solo Novara e Val­lelun­ga. Non è sta­to nep­pure a Roma. Ad un cer­to pun­to si è sta­bil­i­to, in bar­ca, a Monte-Car­lo. Ama pas­sare il tem­po libero guardan­do film a ripe­tizione, anche di fila per tut­ta la notte, a volte fa un giro in bar­ca con qualche ami­co. Insom­ma, relax asso­lu­to. Forse troppo.

Non ama le feste e i ritro­vi ele­gan­ti, men che meno nel Prin­ci­pa­to. E preferisce andare a man­gia­re in una trat­to­ria ital­iana, dove “si man­gia bene e si spende poco”. Il denaro non lo assil­la, non fa il pilota per­ché si fan­no sol­di. Non investe nep­pure in pub­bliche relazioni per guadagnare di più, con spon­sor ed altro. Gli va bene così: “Il mio mestiere è fare il pilota, e sono sod­dis­fat­to di quel­lo che guadagno”.

Non ama essere al cen­tro dell’attenzione, non tor­na nep­pure in Brasile per fes­teggia­re clam­orosa­mente il suo tito­lo. Ma, a volte, sale all’onore delle cronache per la sua lin­gua “tagliente”, pen­sieri che non riesce a tacere e trasfor­ma in parole che non las­ciano indif­fer­en­ti i des­ti­natari. Tra loro, il con­nazionale Ayr­ton Sen­na, la Fer­rari e Patrick Head, che nell’86 e nell’87 sarà il suo diret­tore tec­ni­co in Williams, del quale dice: “Non crea molto, copia bene”. E nel Cir­cus ha poche ami­cizie. Va d’accordo con quel­li del­la Brab­ham, si fre­quen­ta solo con Jody Scheck­ter ed Eddie Cheever.

Ad Hock­en­heim, nell’82, prende a pug­ni Eliseo Salazar, “reo” di non aver­gli dato stra­da in una fase di doppi­ag­gio che si con­clude­va con il fuorip­ista di entram­bi. Piquet un giorno spiegherà che quel­la vol­ta prese il via molto teso, a causa del grave inci­dente occor­so a Didi­er Pironi durante le prove. L’ennesimo di una sta­gione già tris­te­mente lis­ta­ta a lutto.

Da ragaz­zo gio­ca­va bene a ten­nis, ma non gio­ca con i suoi col­leghi per non sfig­u­rare. Ave­va las­ci­a­to il ten­nis per il kart e cor­re­va con il cog­nome del­la mam­ma, per nascon­der­si al padre. Entra nelle gra­zie di Emer­son Fit­ti­pal­di che lo por­ta in Europa, dove vince in For­mu­la 3 bat­ten­do il record di vit­to­rie di Jack­ie Stewart.

Era super­stizioso: nel­la tuta met­te­va l’immaginetta di San Gior­gio e un pic­co­lo Cro­ce­fis­so. Ma vive­va col pen­siero di dover­seli portare sem­pre dietro. Il caso vuole che pose fine a questo “rito” pro­prio all’inizio del­la sta­gione che lo con­sacr­erà per la pri­ma vol­ta Campione.

Nel ‘78 esor­disce in For­mu­la 1 ad Hock­en­heim con la Ensign, poi pros­egue per tre gare con la McLaren e, all’ultima di cam­pi­ona­to, a Mon­tréal, è con la Brab­ham di Eccle­stone. Un sodal­izio che dura ben sette sta­gioni com­plete. Poi tre bien­ni: con Williams, da incor­ni­cia­re con il suo sor­pas­so più bel­lo all’Hungaroring su Sen­na, e con con­quista del ter­zo Mon­di­ale; con Lotus, sen­za trop­pa infamia né trop­pa lode; con Benet­ton, con cui tro­va due vit­to­rie nel ‘90 e una nel ‘91, suo ulti­mo anno in For­mu­la 1.

 

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