Nel 1980, Alan Jones diventa Campione del Mondo. Un titolo iridato, l’unico della sua carriera nella massima serie, che consente alla Williams di raggiungere, finalmente, la prima delle vette più alte nella sua storia in Formula 1.
Per Alan Jones le corse non erano niente di speciale. Correre era ovvio, scontato, qualcosa di terribilmente naturale, anche perché nella vita non aveva conosciuto altro che macchine, motori e tracciati. Diventare un pilota professionista, per lui, era un percorso già scritto, dove non vi era ambizione o smania di successo ma semplicemente la logica della successione, “un prolungamento logico dell’infanzia e dell’adolescenza” diceva.
Suo padre, il signor Stan Jones, era infatti uno tra i migliori piloti australiani. Quando dovette appendere il volante al chiodo si dedicò completamente al figlio, accompagnandolo ovunque per riuscire ad asfaltargli la strada di un destino motoristico. La voglia di cominciare a calcare le piste il prima possibile, spinge Alan a compiere un piccolo imbroglio. In Australia, sua terra d’origine, erano in vigore varie legislature. Dopo aver scoperto che al Sud si poteva ottenere la patente all’età di 16 anni, a differenza dello Stato Vittoria in cui viveva dove era possibile solo a 18, al sedicesimo compleanno si fa domiciliare proprio al Sud.
Alla sua gara d’esordio esce di strada alla prima curva, un inizio che però non frena il suo talento. Vince, infatti, il campionato australiano delle gare in salita già dopo la prima stagione. Qualche anno dopo, Alan dall’Oceania emigra in Europa, non come pilota ma come spettatore delle gare inglesi. È vedendo correre il suo connazionale Jack Brabham, in quegli anni all’apice della carriera, che decide di seguirne le orme trasferendosi definitivamente nel continente europeo.
Sceglie come meta proprio l’Inghilterra. Per poter guadagnarsi da vivere, ma soprattutto per riuscire a comprare un’auto da corsa, s’improvvisa commerciante di veicoli usati. Con il denaro messo da parte riesce ad acquistare una Merlyn di Formula Ford, che però si rivelerà così poco veloce da essere sostituita con una dignitosa Lotus 41 di Formula 3.
Anno 1975. Sulla griglia di partenza del Gran Premio del Belgio, a bordo di una Hesketh 308, c’è anche Alan Jones. Era riuscito a qualificarsi tra i grandi, ma le soddisfazioni si fanno attendere. Nella massima espressione dell’automobilismo sportivo, Jones all’inizio fatica ad emergere, ma mai smette di avere in fiducia in sé stesso, sa che è solo questione di tempo.
Un tempo che arriva nella stagione 1980, alla corte di Sir Frank Williams. L’etichetta da “artigiano volante” che gli era stata attaccata fino a quel momento della sua carriera, poteva finalmente essere tolta. In molti lo consideravano sì un buon pilota, ma nulla di più. Invece, le sue capacità, la sua intelligenza, la sua saggezza, il suo piede molto, molto pesante nonostante la sua evidente pancetta, unite a una vettura di grande valore in grado di fargli raggiungere obiettivi felici, lo hanno reso Campione del Mondo.
Nell’ ’82, Jones è fuori dal Grande Circo. Si allontana volutamente da un mondo che avrebbe riabbracciato l’anno dopo, ma senza grandi prestazioni. Durante questo periodo di vacanza, passa gran parte del tempo nella sua fattoria di Yea, distante circa un’ora di macchina da Melbourne. La continua lotta con i chili di troppo pare non sia una priorità, nel giro di soli quattro mesi ha preso nove chili e mezzo, ma non ne fa una tragedia. L’importante è alleggerire la mente, che nella sua ultima stagione in Formula 1 era poco collaborativa con la motivazione e la gioia di correre.
Nella sua casa a Melbourne, l’amore per i motori lo racchiude nei suoi garage, in cui custodisce gelosamente i suoi giocattoli a quattro e due ruote. L’artigiano delle corse si è trasformato in un allevatore felice: possiede ben cinquecento pecore alle quali dedica lo stesso amore e le stesse cure che investe in bulloni e rombi. La loro lana è così prestigiosa, che le “ripara” all’interno di un capannone dalla temperatura costante e persino dal sottofondo musicale. Non le fa pascolare per evitare che i cambiamenti climatici mettano a repentaglio il loro manto, necessario al confezionamento di vestiti nuziali. Solo la lana ricavata dalla tosatura di queste creature veniva venduta a quelle che erano 80mila lire al chilo, per non parlare dei guadagni sulle altre attività della fattoria. Di fronte a tutto questo, non è difficile capire perché Alan Jones stesse bene lontano dalla vita dedicata alle corse, per le quali aveva investito un’intera esistenza.
Ha solo un unico rammarico: il padre non ha vissuto abbastanza a lungo per gioire insieme a lui del suo successo. Per Stan, sarebbe stato meraviglioso vedere il proprio figlio ai vertici di quel mondo che amava tanto.