Dopo Niki Lauda, Jody Scheckter porta un altro Mondiale alla Rossa di Maranello. Il sudafricano, vincendo nel 1979, si aggiunge all’elenco dei grandi Campioni che hanno fatto la storia della Formula 1.
Sono pochi i piloti ad aver vissuto un’evoluzione nel corso della loro carriera come quella di Jody Scheckter, il sudafricano che, quando sbarca in Inghilterra in veste di “pilota per l’Europa 1971”, lascia alle sue spalle la fama di driver veloce, audace e combattivo.
Testacoda o vittoria: in pista Jody non ha mezze misure, sia in Formula Ford che in Formula 3, nella quale passa a metà ‘71.
L’arrivo di Scheckter nella massima serie è il biglietto da visita del futuro campione. Dopo circa due anni dal giorno in cui prova per la prima volta una monoposto, gli viene affidata una McLaren per il Gran Premio degli Stati Uniti a Watkins Glen nel ‘72. La McLaren è una monoposto molto valida, ma ciò che stupisce gli addetti ai lavori è il fatto che, dopo un settimo posto in qualifica, in gara si porti subito in terza posizione, dietro all’iridato Stewart e all’esperto compagno di squadra Hulme. Poi, sorpreso da un improvviso scroscio di pioggia che lo manda in testacoda, conclude al nono posto.
La stagione seguente, come terzo pilota della scuderia McLaren, parte dalla prima fila in Sudafrica e nel Gran Premio di Francia: qui, scatenatissimo, è in testa per 41 giri, finché Fittipaldi non decide di farsi strada, portando entrambi al ritiro.
Nell’ambiente, Jody, non riscuote molte simpatie, è concentrato solo sul suo lavoro, quello che considera un divertimento. Poche parole, spesso in disparte, tanto che nel “Circus” gli affibbiano il nomignolo di “orso”. Il tempo, poi, dimostrerà che dietro quell’anti-personaggio si nascondeva una persona con le idee molto chiare, un uomo concreto con una personale visione della vita, consapevole che quell’esperienza rischiosa sarebbe durata giusto il tempo di metterlo alla prova, tutto per soddisfare quell’ enorme passione per i motori condivisa con suo fratello Ian nell’officina paterna.
A Silverstone mostra la sua impetuosità. Al secondo giro perde il controllo della sua monoposto, provocando uno degli incidenti più spettacolari della storia del Campionato del Mondo: quindici vetture entrano in collisione, di cui nove eliminate. La reputazione di Jody è segnata: per gli addetti ai lavori è un irresponsabile. Ma non per tutti. Non per Ken Tyrrell.
Il coraggioso talent scout decide di ingaggiarlo nel suo team in sostituzione dell’uscente Jackie Stewart, Campione in carica, per la stagione ‘74.
Con Tyrrell, Jody ottiene i primi punti: dopo un quinto posto in Spagna, conquista il suo primo podio nel Gran Premio del Belgio. Seguono un secondo posto tra le strade del Principato di Monaco e la prima vittoria in Svezia, dove domina sin dai primi giri, realizzando una doppietta con il compagno di squadra Patrick Depailler. Replica il successo in Inghilterra e, grazie ai numerosi buoni piazzamenti, chiude al terzo posto nella classifica mondiale dopo essere stato in lizza per il titolo con Emerson Fittipaldi e Clay Regazzoni fino all’ultimo appuntamento a Watkins Glen.
Resta in Tyrrell anche nel ‘75 e nel ‘76, ottenendo altre due vittorie e vari podi. È uno dei tre piloti (insieme a Patrick Depailler e Ronnie Peterson) che conduce in gara la P34, l’unica monoposto da Grand Prix a sei ruote di cui quattro anteriori. È l’unico a portarla alla vittoria, nel ‘76, nel Gran Premio svedese. Nel ‘77 passa alla debuttante Wolf. La monoposto è competitiva, e tre vittorie e numerosi podi piazzano Scheckter secondo nella classifica finale dietro al ferrarista Niki Lauda. Il ‘78 non è un anno brillante, e nel ‘79 accetta di correre in Ferrari.
Con la 312 T4 Maranello compie la mossa giusta; in più, Gilles Villeneuve rispetta scrupolosamente il suo ruolo di secondo pilota.
Tra Scheckter e Villeneuve, un altro di poche parole, si crea un sodalizio umano inossidabile, una complicità quasi mai vista tra compagni di squadra.
Col tempo, il pilota sudafricano ha imparato che, per raggiungere la vetta del mondo, bisogna fare punti, evitare incidenti, vincere le corse quando è concretamente possibile.
Enzo Ferrari, dopo i primi Gran Premi, non sembra molto convinto della sua prima guida: “L’avevo preso perché mi era sembrato uno con il coltello sempre tra i denti, e invece mi sono ritrovato con un altro Lauda…”, confida ai suoi collaboratori più stretti.
Scheckter, con tre sole vittorie in campionato, si assicura a Monza il titolo iridato.
Soddisfatta quest’ambizione, Jody corre con la Rossa anche nel 1980. È l’anno peggiore della sua carriera. La 312 T5 non è proprio competitiva, ma Villeneuve, in qualifica, tranne che a Kyalami, lo sovrasta ovunque. È un Campione palesemente demotivato, appagato, a Montréal non si qualifica nemmeno. Nella stagione del trionfo di Alan Jones e della Williams, conquista solo due punti. Ne segue il ritiro dalle competizioni. Ma poco importa: ha ottenuto ciò che desiderava. Ad oggi, Jody Scheckter è l’unico pilota africano Campione del Mondo.