Campione del Mondo nel 1978 con il team di Colin Chapman, Mario Andretti è uno dei piloti più amati nella storia della Formula 1.
È sempre stato un pilota corretto, veloce, incisivo. Mario Andretti è un uomo pacato, determinato, con progetti da realizzare. Mette famiglia e rispetto davanti a tutto. Il suo sogno: guidare la Ferrari. Con il costruttore modenese instaurerà un rapporto speciale.
Nel Dicembre del 1968, Andretti è impegnato a provare delle gomme Firestone sul circuito californiano di Riverside. Sfrecciando davanti al muretto dei box, vede gesticolare un signore che conosceva, la cui presenza era inattesa. Il giro dopo si ferma. Quel signore è Franco Lini, direttore sportivo della Ferrari, che in assenza di comunicazioni telefoniche aveva viaggiato tre giorni per raggiungerlo e parlargli. “Ciao, come stai?” esordisce Mario con un tipico accento italo-americano. Un lungo viaggio per un incontro di pochi minuti, tanto basta per accordarsi: avrebbe guidato la Ferrari prototipo per alcune gare del 1969.
Mario ha il passaporto statunitense e il cuore italiano. Emigrato tredici anni prima per le conseguenze della guerra che sradicarono la sua famiglia dall’Istria, ha già vissuto esperienze che ne hanno temprato il carattere. Considera Enzo Ferrari la persona più importante della sua vita: è diventato pilota per quello che il costruttore ha fatto, il suo lavoro ne ha ispirato la voglia di riscatto, il desiderio di cambiare vita, di farcela, seguendo il suo sogno.
Conoscerlo, correre per lui, per Mario è un grande onore. Lo incontra la prima volta per la 1000 km di Monza del 1969. Ha ventinove anni e vederlo lo emoziona tanto, al punto di bloccarlo: ha paura di lui. Il “Grande Vecchio” apprezza i piloti che si impegnano al massimo, lo stima, lo mette a suo agio.
Al debutto ferrarista in Formula 1, nel 1971, Andretti vince a Kyalami e le due manches del Questor GP. Dopo quelle vittorie, Ferrari lo invita a Maranello. Lo porta in giro per la fabbrica, gli dice “Guarda, qui lavorano tutti per te”, poi gli offre un contratto a tempo pieno e a lungo termine, che però Mario non può accettare per impegni già presi negli States.
Anche nel 1977 Ferrari lo chiama, per sostituire Lauda l’anno seguente. Ma Andretti ha già stretto la mano a Chapman e… conquisterà il titolo con la Lotus.
Gli anni passano. Nel 1982 Ferrari ha la monoposto vincente, ma la stagione è tragica, perché il Cavallino perde in due incidenti i suoi piloti Villeneuve e Pironi, che era in testa al Mondiale. Peraltro, Tambay, che ha sostituito Villeneuve, ha grossi problemi fisici. Ma c’è da portare a Maranello il titolo riservato ai costruttori e la Scuderia modenese ha bisogno di un valido portacolori.
Così, alcuni giorni prima del Gran premio d’Italia, quindicesima prova iridata, Enzo Ferrari chiama a sé Andretti, che ha quarantadue anni, 126 Gran Premi alle spalle di cui 12 vinti, e che al termine della stagione precedente ha lasciato la Formula 1 per dedicarsi alle corse americane pur avendo gareggiato a Long Beach per la Williams orfana di un Reutemann ritiratosi dalle competizioni.
Al rientro in Italia, Mario, già considerato “Eroe dei due Mondi” dell’automobilismo sportivo, è atteso in dogana da centinaia di tifosi ferraristi, entusiasti per il suo arrivo: bandiere e cappellini rossi, carta e penna per gli autografi.
Quel clima caloroso, una vera e propria festa, accompagna l’amato “Piedone” (questo il soprannome dato ad Andretti dagli appassionati) sino all’abitazione del costruttore, con cui si ferma a pranzo, e sulla pista di Fiorano, dove il pilota, lo stesso giorno, prova per la prima volta la monoposto con cui gareggerà. Sono in programma pochi giri, per concentrare il lavoro il giorno dopo. Enzo Ferrari è presente. Mario si sente a suo agio. Ogni volta che si ferma ai box, il “Grande Vecchio” lo guarda e sorride. Non parla e non gli chiede nulla sulla macchina. Gli basta fissarlo negli occhi per capirne ogni impressione. Ormai, Mario non ha più paura di lui, come durante il loro primo incontro. Gli appare tutto speciale.
Le poche tornate previste diventano ottantasette e, alla fine, Andretti stabilisce il nuovo record del circuito.
A Monza, Mario conquisterà la pole. In gara, con una monoposto che a tratti procede a singhiozzo, concluderà terzo, dietro la Renault di Arnoux e Tambay. Rispetto e riconoscenza per Enzo Ferrari, al quale, per suo rammarico, Andretti non riuscì mai a dire quanto la sua figura fosse stata importante per la sua vita.