Discendente diretta della XJR‑9, vittoriosa a Le Mans nel 1988, è stata la prima vettura di produzione interamente realizzata in fibra di carbonio. Nonostante ciò, il suo nome resta sconosciuto ai più: per questo, a trent’anni dalla presentazione, è giunto il momento di riscoprirla insieme.
I costruttori di automobili impegnati nelle competizioni tendono ad usare e abusare sempre più del termine “trasferimento tecnologico” quando parlano della loro gamma stradale, sottolineando quanto stretto sia il legame tra l’attività in pista e la produzione in serie. Tuttavia pochi, se non pochissimi, sono stati quelli in grado di compiere tale atto nel senso più stretto e nobile del termine, quasi sempre lavorando lontano dai riflettori e, per questo, danzando spesso sull’orlo dell’oblio. Uno dei casi maggiormente caratteristici è quello della Jaguar XJR-15 che, insieme alla ben più nota e giovane Ferrari F50, identifica uno dei massimi esempi di “auto da corsa con la targa” nati negli anni novanta.

Inizialmente concepita in seno alla Tom Walkinshaw Racing, il costruttore specialista con cui Jaguar tornò alla vittoria della classica francese nel 1988, quale migliore alternativa alla XJ220, presentata proprio nello stesso ’88, la Jaguar XJR-15 nasce con lo scopo di portare su strada e senza variazioni le tecnologie che hanno regalato alla casa di Coventry il tanto agognato e rincorso successo a Le Mans. Seguendo un modus operandi del tutto analogo a quello già adottato ai tempi della XKSS, ovvero della celebre declinazione stradale della D‑Type, la TWR attinge a piene mani dalle risorse che la vittoriosa XJR‑9 può mettere a disposizione della nascente sportiva. La vettura che da essa deriva, in principio nota come R‑9R, è quanto di più vicino ad una Gruppo C si possa immaginare. Dotata di una nuova, filante e morbida veste in carbonio, una prima assoluta firmata dall’abile Peter Stevens, ovvero il padre della futura McLaren F1, la XJR-15 si distingue per un telaio monoscocca in fibra di carbonio e Kevlar mutuato direttamente dalla già citata controparte corsaiola da cui deriva e da cui si distingue unicamente per una maggiore larghezza e un’incrementata altezza del tetto al fine di conferire una migliore abitabilità a pilota e passeggero. Concettualmente identici sono anche i caratteristici gruppi molla-ammortizzatore posteriori, inseriti nel vano ruota al fine di liberare lo spazio destinato a condotti Venturi di grandi dimensioni e in cui passano unicamente i bracci dei triangoli inferiori, comunque appositamente profilati al fine di evitare nocive interferenze con i flussi d’aria. Analogamente simile è anche l’alloggiamento stesso del gruppo motopropulsore, di fatto collocato in posizione molto avanzata verso il bulkhead e dotato di funzione portante al fine di garantire la miglior rigidezza torsionale all’intero assieme della vettura, con conseguente beneficio prestazionale. E proprio il propulsore in questione resta uno degli elementi più affascinanti, caratteristici e avanzati di questo veicolo in quanto, pur essendo derivato dalla robusta e un po’ vetusta architettura a singolo albero a camme (SOHC) e due valvole per cilindro del V12 da sette litri della XJR‑9, sfoggia una nuova cubatura di sei litri, un’alimentazione ad iniezione elettronica e, soprattutto, un avanzatissimo sistema fly-by-wire per il controllo della farfalla.

Una volta incastrati nell’avvolgente sedile in pelle e circondati da un ammaliante abitacolo in fibra di carbonio a vista, si diventa protagonisti di un’esperienza di guida assolutamente unica e con pochi eguali al mondo. A meno che non si sia piloti professionisti, raramente potrà capitare di dover avviare un veicolo attraverso l’attivazione dei tasti “ignition”, “injectors”, “fuel pumps” e “start” in maniera sequenziale e, forse ancor più di rado, di governarlo attraverso uno sterzo diretto e un cambio “dog-leg” non sincronizzato a sei rapporti — il sincronizzato a cinque era opzionale — mentre si indossa un paio di cuffie, dotate di microfono, al fine di parlare col proprio passeggero mentre si filtrano i rumori altrimenti tenuti a bada da un sistema fonoassorbente. Una volta posta su strada, la XJR-15 è diretta, onesta e non filtrata, purissima nel suo far sentire le sconnessioni e i più minimi disturbi della sede stradale, sassolini inclusi, richiedendo una costante attenzione alla guida e ponendo dei limiti talmente elevati da esser raggiunti unicamente da chi alla ruvidezza della pista ci è abituato per natura. Se portata all’estremo delle capacità proprie della sua variante riservata all’esclusivo uso in pista, essa lascerà che gli scalpitanti 450 CV e, soprattutto, i 569 Nm, vengano governati unicamente da acceleratore, coraggio e prontezza delle braccia a causa dell’estremo numero di controsterzi richiesti dalle gomme: a causa della mancanza di pneumatici slick, all’epoca, adeguati all’utilizzo in pista, la TWR ha dovuto, infatti, ripiegare sulle medesime mescole Bridgestone adottate sulla F40, meno performanti rispetto a quanto originariamente desiderato. E anche l’assenza di un vero effetto suolo, concettualmente possibile ma all’atto pratico annullato dalla maggiore altezza da terra della vettura stradale, non facilitava certamente le cose, lasciando che ad ancorare la vettura a terra fosse unicamente il peso della stessa, fermato comunque a degli esigui 1050 Kg. Guida al limite a parte, su strada la nuova nata della TWR si distingue da subito per un passo estremamente gradevole, anche grazie alla manovrabilità della trasmissione, alla taratura più morbida delle sospensioni e alla prontezza del propulsore, rendendo la guida della stessa fluida, piacevole e acusticamente appagante.
A causa del conflitto interno con la nascente XJ220, nata inizialmente nel tempo libero dei suoi progettisti riunitisi nel cosiddetto “Saturday Club”, la XJR-15 vedrà la sua produzione limitata a poco più di 50 esemplari complessivi, alcuni dei quali destinati ad un trofeo monomarca concepito quale evento di supporto dei Gran Premi di Formula 1 e che vede, tra le sue fila, la presenza di nomi estremamente prestigiosi. Anche a causa di questa disputa, la vettura non verrà mai marchiata direttamente dal Giaguaro ma dalla sua consociata, nata in compartecipazione con la TWR e nota come “JaguarSport”, pertanto non ricevendo il supporto pubblicitario e il seguito da parte della casa ufficiale che tanto avrebbe meritato. La XJR-15 fungerà, verso la fine del decennio in questione, quale nuova base per i progetti legati al gran ritorno di Nissan in quel di Le Mans e che, vista la notevole esperienza accumulata, saranno nuovamente firmati Tom Walkinshaw Racing. Per tale ragione, la splendida Nissan R390 GT1, le cui linee sono firmate dal futuro responsabile dello stile Jaguar Ian Callum, adotta il medesimo telaio impiegato per la fuoriserie del Giaguaro.
Ma questa, di fatto, è un’altra storia…