Davide Cironi, uomo che nel settore automotive non ha certo bisogno di presentazioni, si è concesso a noi in una approfondita ed emozionante intervista. La sua storia offre innumerevoli spunti di riflessione, ma soprattutto fa comprendere che nella vita, se si vuole ottenere qualcosa di importante, è inevitabilmente necessario accompagnare ai sogni, i sacrifici.
Le auto sono fantastiche, non c’è alcun dubbio: spesso sono matrici di ricordi indelebili e di emozioni fortissime, che alcune persone, che potremmo in un certo senso definire elette, riescono, in maniera assolutamente unica, a regalare al proprio pubblico. Una di queste è senza dubbio Davide Cironi: colui che forse, più di chiunque altro, è riuscito a trasformare la sua smisurata passione per i motori in una professione, divenendo un punto di riferimento degli appassionati delle quattro ruote in tutto il mondo. Davide ha deciso (e per questo lo ringraziamo sentitamente) di fare quattro chiacchiere con noi.
Come nasce la tua passione?
“Nasce senza ragione in un ambiente che non aveva nessun rapporto con i motori. Dal nulla ho sempre subito il fascino della velocità, della libertà di movimento, della bellezza e della pericolosità derivante da essa. Credo che il primo ad assecondare questa mia inclinazione sia stato il mio adorato nonno paterno, semplicemente permettendomi di avere una nuova macchinina 1:43 ogni volta che a scuola la maestra mi dava un “bravissimo”, collezionando per me collane di pubblicazione in edicola e altre cose semplici ma fondamentali nello sviluppo mentale di un bambino che un giorno avrebbe vissuto di automobili. Da lì in avanti per chiunque divenne evidente che mettersi in mezzo tra me e questo amore non sarebbe stata una buona idea…”
Quale è stata la tua prima auto e quale invece rappresenta il tuo sogno?
“La mia prima auto fu una vecchia 500 L del 1972, comprata con i miei sofferti risparmi (600 euro) quando avevo ancora 16 anni, con il benestare leggermente incredulo della mia famiglia, che era curiosa di vedere che cosa avrei fatto con una 500 tutta arrugginita in garage senza poterla neanche guidare per due anni. Ovviamente non resistetti a lungo. Le prime fughe notturne avvennero praticamente subito. Una volta mio padre mi beccò preciso preciso a tornare dal cinema con 4 miei amici anch’essi sedicenni nella 500. Uno affacciato fuori dal tettuccio, una gomma forata, il nostro terrore negli occhi sul vialetto di casa. Eravamo incoscienti, era anche un’altra epoca priva di internet e di connettività. Ci divertivamo in modo più sano e reale. Poi la restaurai mettendo da parte soldi in maniera quasi preoccupante. Arrivai a non spendere più un euro neanche per un panino in centro con gli amici, saltavo sulla pompa di benzina per risparmiare anche quelle quattro lire, cercavo di non consumare troppo le scarpe da basket per non doverle ricomprare a fine campionato. Questo sacrificio mi valse due grosse vittorie: riuscire a restaurare completamente la 500 entro i 18 anni per poterci andare a scuola e uscire la sera (legalmente) e in più mi preparò ad ALTRI grossi sacrifici che mi sarebbero piovuti addosso di lì a poco. L’auto dei miei sogni invece è la F40…”
Come ha avuto origine l’idea di trasformare la tua passione in un lavoro attraverso la divulgazione di video e altri contenuti?
“Ho sempre saputo che avrei raggiunto le auto che volevo, ero talmente pronto a tutto dalla più tenera età che questo era evidente sarebbe successo in un modo o nell’altro. Non sapevo però come. Ho sempre lavorato da quando ho potuto, ma la spinta a reagire credo me l’abbia data soprattutto il terremoto del 2009 che ha raso al suolo mezza città dell’Aquila, lasciandoci senza la minima speranza di un futuro decente, non nei successivi 15 anni almeno. Avevo per fortuna una certa abilità (sviluppata per gioco) nella creazione di prodotti audiovisivi, e un caro amico che questa materia la stava studiando professionalmente in accademia. Sia io che lui iniziammo a lavorare nell’unico ambito che le circostanze permettevano, quello della cronaca. Diciamo che era l’unico lavoro che potevi fare in una città alla quale era rimasta solo la cronaca. Così facemmo, entrambi ci buttammo in TV locali e giornali online, producendo video, interviste, servizi quotidiani di politica, attualità e quant’altro. Guadagnavamo veramente una miseria, ma era più di quanto stavano guadagnando i nostri coetanei a casa con le mani in mano. Intanto imparavamo. Io personalmente iniziai a fare anche altri due lavori contemporaneamente e, senza stare a farla lunga, riuscii a comprare un motore funzionante per la 911 Carrera che avevo messo irresponsabilmente in garage qualche mese prima (sull’onda di un lavoro a Maranello che non funzionò mai e fu una grossa e sofferta delusione per un ventenne volenteroso come me). Con questa Porsche pagata due lire e comprata nel retro di uno sfasciacarrozze a Roma, facendomi anche fregare 1.000 euro dalla persona che mi aveva “aiutato” e rimessa a posto con la stessa mentalità della 500 L, mi presentavo a lavoro in redazione. Il mio caporedattore aveva una Bravo diesel e, sapendo che il mio stipendio era di circa 400 euro al mese, mi chiese: “com’è possibile che vai in giro in Porsche”? Mi rendo conto che sia sempre stato molto difficile da capire, sia dai tempi della 500 L, sia poi dopo, il mio modo di vivere in funzione di questa passione. Nell’immaginario collettivo le parole “Porsche” e “scarpe bucate” non vanno a braccetto, ma nel mio sì. Così, sull’onda di questa anomala passione, mi propose di fare una rubrica motori sul loro giornale online. Cosa che feci con Stefano, il suddetto amico d’infanzia e studente di cinema. Preparammo una puntata zero con la Toyota GT86 e gliela presentammo. La risposta del giornale fu qualcosa tipo “non possiamo pagare una qualità così alta, devi fare servizi molto meno onerosi”. Allora, non volendo rinunciare a quel format che avevo inventato per loro, gli proposi di non pagarlo e di pubblicarlo soltanto, cosa che fecero. La rubrica si chiamava “Velocità massima”, ma il canale YouTube che caricava questi video nacque con il nome “Davide Cironi Drive Experience”. Al terzo video mi piovvero addosso numeri che per lo YouTube dell’epoca erano folli. Dagli Stati Uniti mi scrisse Petrolicious per diventare loro contributor, in Italia iniziavano a contattarmi tantissimi personaggi noti e insider del miglior Motorsport internazionale, dal Giappone e Sud America arrivava una pioggia di complimenti che mai mi sarei aspettato. Così capii che era il caso di smettere di parlare in dialetto aquilano, visto che credevo di essere ascoltato solo dai miei conterranei. Ripeto, YouTube non era quello di oggi. Io con il video accompagnavo solo un articolo scritto con foto, era un di più. Oggi si parte per diventare YouTuber, spesso il ragazzino di turno parte solo con l’obiettivo di diventare famoso e non sa neanche ancora cosa vuole fare per diventarlo. Nel mio caso fu l’opposto, se avessi potuto scegliere di ottenere le stesse possibilità che ho oggi di sfogare la mia passione SENZA apparire con la mia faccia, l’avrei fatto di corsa. Ci si è provato, ma la gente voleva un volto e una voce. Così è andata. Iniziai ad agosto 2013 e ad aprile 2014 lasciai lavoro e fidanzata per dedicarmi interamente al Drive Experience. Vendetti la mia GT Junior del ’68 che era la rappresentazione fisica del mio sacrificio e tornai a vivere con mio padre per qualche tempo, per poter investire tutto nella mia creatura. Il tempo mi ha dato poi ragione, ma per vedere il primo soldino ci sono voluti almeno 2 anni di lavoro e investimento. www.DriveExperience.it a distanza di 4 anni mi ha poi dato indietro una GT Junior e anche una casa. Ora continua a darmi tanto e a chiedermi in cambio la totale dedizione, che io gli do 25 ore al giorno…”

Qual è il segreto del successo di Davide Cironi?
“Dalla risposta precedente si capisce già abbastanza che è stato tutto basato sul sacrificio e sulla dedizione. Oggi sono in molti a dire che vivrebbero di automobili ad ogni costo, ma raramente dicono la verità. Ad alcuni ho dato anche possibilità in passato di dimostrare questa forza di volontà e determinazione, ma nel 99% dei casi poi si dimostravano persone che non erano pronte a questo mondo. Noi siamo pochi, rispetto alla mole di lavoro che abbiamo, ma siamo tutti multitasking all’inverosimile e soprattutto super stacanovisti. C’è posto per almeno due figure in azienda, ma facciamo seriamente difficoltà a trovare qualcuno di valido. Le poche volte che mi sono convinto a dare una possibilità sono stato profondamente deluso e la nostra realtà è talmente affiatata che o si corre come noi o si sbatte al primo muro. Dunque posso dirvi che non ho un segreto, ho solo una pura, vera e reale passione, che fa passare in secondo piano qualsiasi sacrificio e sforzo fisico o mentale. Posso dirvi anche che se hai solo la passione vieni sbranato senza pietà dopo un minuto in questo mondo. Bisognerebbe anche parlare di quanto poco c’entri la fortuna e di quanto i soldi vadano sudati per essere investiti incontro a enormi rischi, ma questo la gente non vuole sentirlo. Questa è però forse la cosa che più mi da forza, sapere il “come” ci sono arrivato qui oggi. Ti metti a letto felice in un modo diverso quando sai certe cose…”
Ci racconti un aneddoto che ti è rimasto impresso durante la tua esperienza?
“Noi siamo una fabbrica di aneddoti… Letteralmente ogni volta che andiamo a lavorare produciamo più aneddoti che frame video. Questo perché siamo veramente amici, chi da 25 anni, chi “solo” da quando esiste il Drive Experience, ma te ne accorgi se passi una giornata con noi a lavoro che non è solo lavoro. Ai nostri ritmi sono sicuro che la maggiorparte dei sognatori stramazzerebbe a terra in mezza giornata, ma lo sforzo fisico e mentale è alleggerito dal fatto che passare tempo insieme ci viene facile. Anche quando si tratta di partire di notte per arrivare dall’altra parte del mondo, non dormire, lavorare 48 ore e non sapere neanche dove poggerai la testa tre giorni dopo. Soprattutto all’inizio del Drive Experience abbiamo fatto delle cose irraccontabili. Adesso che le cose vanno bene ci siamo iniziati a viziare un po’, ma i primi 3 anni abbiamo dormito in macchina, per terra, ci siamo fatti la doccia con i camionisti in autogrill, abbiamo mangiato cose immangiabili in posti dimenticati da Dio, rischiato di schiantarci per il sonno dopo tre giorni filati senza chiudere occhio, migliaia e migliaia e migliaia di km avanti e dietro. Per me non fu facile veder bruciare i soldi che avevo messo da parte in 10 anni di doppi o tripli lavori, senza nessuna certezza che sarebbe valsa la pena. Meno male che ho rischiato tutto in quella maniera, adesso lo posso dire, perché è stato ed è ancora veramente bello. Magari un giorno racconto di quando io e Stefano ci siamo trovati in un dirupo con una McLaren 570s, di notte, con la pioggia tipo Jurassic Park, in Francia, vicino ad un resort di scambisti in mutande bianche alle 3 del mattino. Anche quella è una bella storia…”

Sappiamo che sei un grande fan della F40, come ha avuto i natali il tuo amore per lei?
“Questa storia è già abbondantemente raccontata qui: https://www.youtube.com/watch?v=DWT2EPUxOWc ma non mi ritengo un fan di niente, tranne forse di Michael Jordan. L’F40 per me è l’obiettivo della vita e il simbolo di quello in cui credo. Non sono un fan, quella deve essere la mia macchina e deve stare per sempre con me finché morte non ci separi…”
Elettrico si o elettrico no?
“Elettrico in maniera intelligente e non solo per marketing assolutamente sì. Elettrico nella maniera in cui lo stanno promuovendo oggi assolutamente no. Questo argomento è lungo e complesso, ma di base nello sviluppo di questa tecnologia non ci si può appoggiare alle auto sportive, non ha senso. Le auto sportive servono a divertirsi e a dare un’esperienza piacevole. La ricerca di questa nuova tecnologia va sperimentata altrove, non rovinando il mercato delle auto sportive, soprattutto se per farlo devi fare danni enormemente maggiori rispetto a quanto si farebbe continuando ad affinare un sistema di combustione che ad oggi è molto pulito, efficiente e soprattutto al quale non manca la materia prima (non stiamo correndo all’elettrificazione per salvare il pianeta, ma per salvare aziende che hanno altri interessi). Oltretutto, non vi sembra curioso che proprio dopo il Diesel Gate gli uffici di comunicazione e marketing di alcuni furboni si siano messi a spingere come pazzi su una cosa che conosciamo da un secolo (letteralmente)? Ettore Bugatti usava una macchina elettrica costruita da sé stesso per girare sulle sue terre negli anni ’10 del novecento. Adesso tutto a un tratto abbiamo deciso che stiamo distruggendo il pianeta? Proprio oggi che in realtà i motori endotermici sono finalmente puliti? E tutto quello che deriva dalla produzione delle batterie? Quanti decenni ci vorranno per arrivare ad un livello decente di ecologia in questi processi? E una volta sistemato questo, come le smaltiremo queste batterie per costruire le quali sembra scarseggino già da oggi i materiali primi? Mi sta benissimo parlare di elettrificazione di mezzi pubblici, trasporti commerciali, veicoli utilitari, ma questo controsenso dell’attacco alle supercar e alle auto sportive è una vera idiozia e mi meraviglio di chi si lascia scorrere addosso questa roba. Quanti danni fa davvero una Ferrari o una Lamborghini a benzina in un anno? Con i suoi 3.000 km percorsi? Chi la usa di più ci fa 10.000 km in un anno? Che danni fa? E poi mi chiedo, che danno fa invece alla nostra economia eliminare questi oggetti rendendoli tutti uguali e asettici? Anche qui, non è la sede adatta per un discorso approfondito, ma in breve: elettrico per la mobilità intelligente sì, più verosimilmente un buon ibrido finché la tecnologia non permette un’elettrificazione sana e non controversa come quella di oggi. Elettrico sulle auto sportive non ha senso di esistere…”
E per quanto riguarda le vetture a guida autonoma?
“Le vetture a guida completamente autonoma a mio avviso sono limitate da un piccolo particolare: il codice della strada e il nostro sistema di assicurazioni. Provate a pensare come bisognerebbe gestire le auto a guida autonoma a livello assicurativo. Per non parlare di tutte le strutture che accompagnano i viaggiatori nel sistema attuale. Sinceramente però vi dico che non mi importa più di tanto, molto egoisticamente saranno tempi che non vivremo in prima persona e dei quali non mi interessa nulla. Non voglio a tutti i costi essere un nostalgico forzato, odio chi lo è a tutti i costi anche contro evidenti vantaggi tecnologici, ma sinceramente credo che la natura dell’uomo non sia quella di trasformarsi in un qualcosa di inumano, povero di sensazioni ed emozioni con le quali ha convissuto per migliaia di anni. Tutto quello che priva l’uomo del suo modo di essere in contatto con il mondo circostante per me è deleterio. D’altra parte però va considerato anche che l’uomo ha sempre vissuto a cicli. Tende ad esagerare per natura, per poi capovolgere tutto. Dunque, con un concetto che mi valse un bel 10 in Italiano al quinto superiore, ti dico che, quando ci saremo stancati di provare sensazioni sempre più deboli e avremo esagerato di nuovo, vorremo tutti tornare a riscoprire il bello di usare le mani, di toccare la terra, di sentire di più e non di meno, di rapportarci con le persone senza filtri digitali nel mezzo, di decidere noi dove girare il volante e di sentirci un po’ più responsabili di cosa ci succede attorno…”
Quali sono le differenze tra la guida dell’F40 e quella dell’F50?
“Sono due auto vagamente simili dal punto di vista dell’impatto estetico, ma sono in realtà due progetti completamente opposti che non hanno praticamente nulla in comune. Non sono confrontabili in due righe. Si fa prima a dire cosa hanno di simile piuttosto che elencare le differenze. Hanno di simile la velocità massima, nient’altro. Su questo argomento ho lasciato approfondire l’uomo che le ha sviluppate su strada entrambe, Dario Benuzzi, che ce ne parlerà nelle nostre interviste tra qualche settimana…”

Hai conosciuto Horacio Pagani. Cosa ci vuoi dire di lui?
“Horacio è una persona spettacolare, come non ne esistono molte. Sono molto felice che abbiamo stretto un rapporto più solido nell’ultimo anno, fino al punto da affidarmi la sua Zonda F Club Sport personale per un giorno intero. Avevamo già avuto vari incontri, dalla prima volta che mi diede una Huayra per andare ad un evento di Montecarlo, la sera stessa della nostra prima intervista nella Fabbrica originaria, poi in occasione di una produzione Omniauto quando andammo a trovarlo con 3 supercar italiane. Sono stato enormemente orgoglioso di essere stato scelto da lui come autore di un suo libro per Mondadori, più varie altre belle esperienze. Con la nostra Drive Experience Academy abbiamo dato una spintarella ad un suo bravissimo meccanico che ha frequentato il nostro corso e che Loris gli ha consigliato di considerare come nuovo collaudatore, cosa che Horacio ha fatto. Ultimamente ha collaborato con noi di nuovo per un imponente documentario che stiamo girando e uscirà entro l’estate. Insomma, nonostante sia impegnatissimo e in cima al mondo dell’automobilismo, sa ancora trovare il piacere di parlare di auto con un ragazzo venuto dal nulla solo per passione. Questo succede con alcuni grandi uomini che ho conosciuto, ma non con tutti…”
Countach o Diablo?
“Il fascino Countach è su un altro livello. La Diablo non esisterebbe senza derivare dalla Countach (e io adoro la Diablo)…”
Qual è l’auto che più di tutte è andata oltre le aspettative?
“Mi ha lasciato senza fiato la potenza e il modo selvaggio di erogarla della Zonda F Club Sport. Mi ha ammaliato l’omogeneità della Impreza 22B, la relativa intuitività della 037 Gr.B, la trazione della EVO VI Tommi Makinen, l’inaspettato comfort da lunghi viaggi della Miura SV, la dinamica della RX7. Il miglior cambio che ho mai azionato è quello della F50. L’esperienza più viscerale e assurda fatta fin’ora è la 155 DTM/ITC. La più intossicante è stata la Huracan Performante, senza limiti. La peggiore delusione invece purtroppo è stata la Mercedes 190 EVO II. Tanto che prima di procedere con la recensione ho telefonato ad un po’ di proprietari ed ex piloti chiedendo conferma. Mi sembrava davvero impossibile che fosse così anonima da guidare, e invece sfortunatamente ho ricevuto da tutti un lungo elenco di dolorose conferme. Davvero un peccato, la ritenevo la mia Mercedes preferita da sempre, ma forse lo è lo stesso…”

Con questa breve carrellata di esperienze si conclude l’intervista a Davide Cironi e mi piacerebbe dunque, per concludere al meglio, concedermi una breve e personalissima riflessione. Devo innanzitutto ammettere che lavorare su alcuni passaggi mi ha emozionato e contemporaneamente insegnato molto. Avrete sicuramente notato quante volte le parole “sacrificio” e “dedizione” si ripetano lungo l’articolo e probabilmente questo è l’elemento chiave del messaggio che le persone come Davide tramandano. La passione, il sacrificio e la dedizione sono fondamentali, senza di esse non ha alcun senso perseverare. Anzi, non è nemmeno possibile. Vogliamo dunque ringraziare Davide Cironi per la sua disponibilità e vi invitiamo, una volta di più, a visitare il suo canale YouTube ( Davide Cironi) e il suo sito web (www.DriveExperience.it).
facili gli articoli SENZA commenti sotto eh ?
Davide Cironi NON è un pilota (ma ci si atteggia, facendolo credere ai più giovani…) si ANNOIA come bimbo viziato se ci sono approfondimenti TECNICI (motori o meccanica) è insopportabile x qualsiasi professionista o (vero) appassionato : se sparisce i programmi TV dove compare tornano Guardabili . punto .
L’invidia.…… brutta bestia !!!