Nel 1961, con appena tre vittorie in tutta la sua carriera, Phil Hill è Campione del Mondo. È il primo americano a raggiungere l’apice dell’automobilismo agonistico, il quarto pilota Ferrari vincitore di un titolo iridato.

Phil Hill, nasce a Mia­mi il 20 Aprile del 1927. Appas­sion­a­to di musi­ca clas­si­ca e del mani­a­cale restau­ro di auto d’epoca, un giorno del ‘52 decide di parte­ci­pare alla Car­rera Panamer­i­cana, al volante di una Fer­rari usa­ta. Nel 1954, arri­va sec­on­do, un risul­ta­to che gli vale la con­sid­er­azione di Lui­gi Chinet­ti, il quale lo seg­nala imme­di­ata­mente ad Enzo Ferrari. 

Hill è il pri­mo pilota a stelle e strisce a giun­gere in Europa e a riman­ervi per un cer­to peri­o­do, prece­den­do con­nazion­ali quali Dan Gur­ney e Ritchie Ginther, con qui poi for­mò, sul con­clud­er­si degli anni Cinquan­ta e sull’avvio dei Ses­san­ta, una pic­co­la pat­tuglia di piloti amer­i­cani di scuo­la europea.

Già nel 1949, Phil trascorre sei mesi in ter­ri­to­rio europeo, per seguire cor­si di per­fezion­a­men­to e aggior­na­men­to in una fab­bri­ca di car­bu­ra­tori ingle­si SU, e pres­so Jaguar e Rolls Royce. Come pilota di For­mu­la 1, pos­si­amo dire nasca uffi­cial­mente nel 1958, quan­do parte­ci­pa alla sua pri­ma cor­sa, il Gran Pre­mio di Fran­cia, arrivan­do set­ti­mo a bor­do di una Maserati pre­sa in presti­to da Jo Bon­nier. Nel­lo stes­so anno, con­quista due terzi posti in Italia e in Maroc­co, con la Ferrari.

Un inizio roseo, che avrebbe potu­to regalargli un finale irida­to se negli ulti­mi due Gran Pre­mi non fos­se sta­to sac­ri­fi­ca­to da un gio­co di squadra dal quale, ad emerg­ere Cam­pi­one, dove­va essere Mike Hawthorn. Sem­pre nel ’58, Hill con­tribuisce al suc­ces­so del Cav­alli­no nel­la 12 Ore di Sebring e nel­la 1000 Chilometri di Buenos Aires, vin­cen­do insieme a Collins; si aggiu­di­ca, poi, anche la 24 Ore di Le Mans, sta­vol­ta con Gen­de­bi­en come compagno. 

La sua pri­ma vit­to­ria nel­la mas­si­ma serie arri­va nel 1960, a Mon­za. Purtrop­po, una con­quista non total­mente godu­ta con la Rossa di Maranel­lo. Questo per­ché il Gran Pre­mio tri­col­ore viene dis­pu­ta­to in con­dizioni anomale, per via dell’introduzione, nel trac­cia­to, dell’anello di alta veloc­ità. Mal vis­to da tut­ti e accetta­to da nes­suno degli addet­ti ai lavori, gli ingle­si deci­dono di non cor­rere, las­cian­do così cam­po libero alla Ferrari.

1961. Arri­va l’anno più impor­tante del­la car­ri­era di Phil. L’avvento del­la nuo­va For­mu­la 1 mette la casa mod­e­nese in con­dizione di schier­are una vet­tura agile, con cui il suo pilota si tro­va total­mente a pro­prio agio. La rival­ità con il com­pag­no di squadra Von Trips, con cui si con­tende il tito­lo di Cam­pi­one, lo por­ta a primeg­gia­re in Bel­gio e in Italia; arri­va sec­on­do in Olan­da e in Inghilter­ra, ter­zo nel Prin­ci­pa­to di Mona­co e in Germania.

A Mon­za, seg­na la sua terza ed ulti­ma vit­to­ria in For­mu­la 1, anche se ama­ra: muore Von Trips, a segui­to di un inci­dente, e il pilota amer­i­cano viene mes­so a conoscen­za del­la dipar­ti­ta del suo col­le­ga solo a gara ulti­ma­ta. La fre­quen­za con cui la morte fal­cia i cor­ri­dori lo colpisce pro­fon­da­mente, ques­ta ennes­i­ma scom­parsa lo scon­volge ancor di più. Pian piano, si rende con­to che la sua lealtà, la sua men­tal­ità e la sua schi­et­tez­za, si con­trastano con un mon­do che non sente più suo. È forse anche per questo che, per rip­ulire il suo ani­mo da una cres­cente tris­tez­za che gli diven­terà insosteni­bile, pri­ma del via di una qual­si­asi gara si fa inzup­pare d’acqua, da capo a pie­di, con un innaffiatoio. 

L’anno seguente, con­fer­ma­to da Fer­rari, sale tre volte sul podio. Poi, segue l’Ingegner Car­lo Chi­ti in ATS e com­in­cia il suo decli­no. Nel ‘64, con la Coop­er, corre la sua sta­gione peg­giore, nel ‘65 è assente e riap­pare nel ‘66, con la Egle, nel Gran Pre­mio d’Italia, ma non si qual­i­fi­ca. È la sua ulti­ma apparizione in For­mu­la 1, pri­ma di las­cia­re per sem­pre le corse e dedi­car­si alle sue più rilas­san­ti passioni.

 

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